Sidival Fila
All’interno della mia ricerca la tematica ambientale gode di uno spazio privilegiato che è di per sé totalmente legato al mio rapporto con la materia e alle trasformazioni che cerco di attuare su di essa, sia sul piano del significato che sul piano più specificatamente tecnico; lavorare con materiali spesso antichi come il lino, i cotoni, le sete, mi spinge a studiarne e comprenderne sempre meglio l’essenza, il processo naturale che ha fatto nascere questi tessuti; si tratta sempre di un processo umano che utilizza la tecnica (non la tecnologia) per trasformare quanto l’ambiente ci offre, e il mio lavoro si nutre di questo, attraverso una ricerca di armonia e nuovo significato con quanto già creato in precedenza da altri. Il desiderio di lavorare con materiali naturali e poco impattanti per me ha sempre rappresentato una forma di rispetto per l’ambiente; oltre ciò, il riutilizzo di materia che al momento sembra inutile ha poi la fondamentale qualità di agire fuori dal vecchio processo economico di produzione, costruendone uno tutto nuovo e completamente avulso dal precedente, che non prevede un impatto sull’ambiente ma un riposizionamento fisico e spirituale della materia trovata.
Riconoscere il valore di questa materia, sapere che nasce da un processo di elaborazione in cui l’uomo è protagonista in positivo, educa le persone ad avere rispetto, sensibilità per la materia stessa; un cambio di sguardo, una comprensione diversa di quanto ci circonda, l’arte come processo pedagogico che può educare le persone al rapporto con il creato, attraverso il significato di una nuova creazione. Per questo per me il rattoppo, il recupero della materia, il cucire, assumono forma compiuta di riscatto, di espressione della tensione dell’uomo, del suo vivere nel mondo, nella natura.
Nel 2019, per un progetto per Art Basel Miami, ho cercato di condensare tutto questo in una mostra personale dal titolo “Amazonia”, dove la denuncia per quanto sta accadendo in Sud America ha trovato forma in una serie di opere denominate “Fenici”, realizzate con pittura mista a cenere di tronchi di vite bruciati; all’interno della tela dipinta con la cenere ho incorporato altri tronchi di vite trattati con lo stesso tipo di pittura, a testimonianza del forte legame tra l’uomo, l’ambiente, la vita e la morte; lo scopo non era quello di innescare un processo di adorazione della natura, ma definire con coscienza un dialogo fruttuoso e vivo, che possa favorire le forme umane e naturali in modo sinergico. Una pedagogia dello sguardo che renda all’uomo, attraverso l’arte, la capacità di comprendere il creato e ritrovare con esso quell’equilibrio che ad oggi sembra perduto.