Giuseppe Florio
Gesù non ha scelto la via della rivolta e della violenza; ha avuto fiducia che i poveri e gli umili, gli sconfitti della storia, potessero “fare” la pace, edificarla attraverso la fraternità. Il Regno inaugurato da Gesù si rende presente tra i poveri, in un mondo ferito che chiede di essere sanato dall’umanità e dalla creatività della fraternità. Da figli di Dio, come vengono chiamati i costruttori di pace nelle beatitudini, a fratelli che decidono, con fatica e con uno sforzo interiore, di non usare violenza su chi l’ha esercitata. La pace è un’opera, frutto della laboriosità e di una creatività che impari a costruire la fraternità. Anche gli artisti, con le loro opere, possono contribuire alla edificazione della fraternità.
Forse siamo abituati a proclamare o ad ascoltare le cosiddette ‘beatitudini’.
Potrebbe essere utile porci alcune domande radicali. Come mai vengono considerati ‘beati’ i poveri, i miti, quelli che piangono o sono perseguitati? Erano affermazioni inedite e non accettabili a quel tempo. La cultura dominante nell’impero romano glorificava gli eroi, coloro che sapevano fare la guerra e vincerla! I deboli e tutti gli sconfitti non avevano certo l’onore della cronaca. Come mai i cristiani si presentavano nella società di quel tempo con simili affermazioni?
Bisogna andare nelle comunità che stanno ‘dietro’ al vangelo di Matteo. Nei decenni successivi alla vicenda di Gesù di Nazareth, a partire dalla sua morte ignominiosa e dalla sua resurrezione, nelle comunità hanno iniziato a fare memoria di come lo avevano visto e conosciuto durante la sua vita itinerante in Galilea. A differenza del Battista che proclamava e attendeva l’ira di Dio imminente (Mt 3, 7), il Nazareno si recava nei villaggi dove nessuno andava, dove vivevano quelli che non contavano per nessuno. Ed erano molti i malati, i poveri, gli esclusi del popolo; erano molti coloro che avevano subito dei torti imperdonabili.
Al tempo di Gesù, la Galilea era governata da Erode Antipa, figlio di Erode il Grande. Ha regnato per 43 anni con modalità talmente dispotiche che alla fine anche i Romani lo hanno mandato in esilio. Luca ci lascia intendere che Antipa, per tutta la sua vita, non si era mai accorto che Lazzaro bussava alla sua porta (Lc 16, 19-31). Antìpa ha ricostruito la città di Sefforis (a sei Km da Nazareth) e fondato la città di Tiberiade. In queste città erano convogliati anche tutti i ‘fedeli’ al regime… e a questi privilegiati veniva anche offerta della terra in campagna. Quelle terre a chi venivano sottratte? Ai poveri che solo con un po’ di terra potevano con difficoltà sussistere. Nei villaggi molte famiglie si sono viste ridotte alla fame. La gente comune cercava allora un lavoro a giornata oppure riusciva a sopravvivere mendicando. Ma molti, non sopportando quella brutalità, si aggregavano ai briganti. Alcuni studiosi ipotizzano che i briganti fossero circa 20-30 mila! Ecco ‘il contesto’ in cui Gesù ha invitato le vittime a ‘costruire’ rapporti di pace e non di vendetta.
Ma c’è un altro aspetto da tener presente. I discepoli di Gesù, considerando il vissuto insieme a lui nei villaggi, hanno dovuto constatare che la sua ‘religiosità’ era espressa nella sua umanità fraterna verso i deboli e le vittime. Per lui contava prima di tutto la sintonia con quanti erano esclusi o emarginati. Non predicava la Legge e i precetti, non parlava del culto al Tempio o nella Sinagoga, ma si chinava sulla sofferenza di chi, a volte per motivi religiosi, veniva giudicato e segregato. E, nella sua umanità, Gesù ha lasciato intendere che proprio in quel modo si rendeva presente, già ora, il Regno di Dio. Dio regna, quindi, nel nostro tempo quando riusciamo a sanare un mondo ferito, con tutta la nostra umanità e creatività fraterna. Una vera novità, profetica, che la comunità cristiana non può mai dimenticare, magari preferendo una religiosità legata al culto.
Se torniamo nei villaggi che Gesù visitava dobbiamo ammettere che ci voleva del coraggio a invitare le vittime di gravi soprusi a ‘costruire’ pace, dialogo, fraternità. Gesù non ha esitato a proporre un ideale molto alto proprio a quanti erano stati duramente colpiti. Forse è questa la via per interpretare quel misterioso versetto che troviamo in Matteo al c. 11: “Il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono” (v. 12). Per liberarsi dalla violenza contro Caino bisogna usare violenza contro noi stessi, contro il nostro ‘io’. A tal proposito mi sono sempre chiesto: ma Gesù, nell’ultima cena narrata da Giovanni al cap. 13, avrà lavato i piedi anche a Giuda? Sembra proprio di sì… e c’è voluta una grande forza/violenza interiore.
Ora veniamo alla nostra beatitudine; “Beati i costruttori di pace (letteralmente, in greco: i ‘facitori’, che fanno qualcosa di positivo) perché saranno chiamati figli di Dio”. Appare chiaro che Gesù non ha scelto la via della rivolta e della violenza, come accadrà qualche decennio dopo, e si concluderà con la distruzione di Gerusalemme (nel 70 d.C.). Ha avuto fiducia che i poveri potevano manifestare visibilmente le vie della fraternità.
Ecco perché troviamo un’affermazione assoluta: “saranno chiamati figli di Dio”. Sono “figli” perché hanno interpretato concretamente la volontà del Padre. Anche se il mondo li potrà considerare dei deboli o dei perdenti. Infatti, alla fine del capitolo 5, troviamo nuovamente parole ardite: “…amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro…” (vv. 44-45). Teniamo presente che le beatitudini sono all’inizio di un lungo discorso di Gesù che si estende per ben tre capitoli- 5-6-7, poiché per Matteo, il ‘maestro’ di Nazareth è il nuovo Mosè … e quindi il vangelo è scandito da ben 5 discorsi, la nuova Torah dei cristiani. Inoltre, al cap. 18 (il quarto discorso), prima di una parabola molto provocatoria, Gesù rispondendo a Pietro che chiedeva quante volte perdonare il “fratello” colpevole, afferma: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (18, 22).
Si direbbe che per il Nazareno non esistono le mezze misure, i compromessi al ribasso … Perché una tale radicalità? Forse il motivo ispiratore è semplice: i “figli” … riescono ad essere “fratelli”? Non è forse proprio questo il dramma dell’umanità nostra dai tempi di Caino?
Per essere semplici e concreti proviamo a pensare ai conflitti che sorgono nelle nostre famiglie per le questioni legate all’eredità. O, in forma quasi banale, quanto è difficile ‘costruire’ rapporti pacifici nelle assemblee di condominio! Se poi guardiamo il momento triste e drammatico che stiamo vivendo con la guerra in Ucraina restiamo senza parole di fronte alle dichiarazioni del patriarca Kirill. Viene spontanea una domanda inevitabile: ma leggiamo lo stesso vangelo? Se l’invasione dell’Ucraina è una crociata contro la degenerazione morale dell’Occidente … forse siamo rimasti al tempo dell’imperatore Teodosio.
Per terminare, allarghiamo l’orizzonte, nella complessità del nostro mondo globalizzato. A tale scopo è profetica e provvidenziale l’enciclica Fratelli Tutti (FT). Ci sono dei paragrafi che di fatto interpretano la nostra beatitudine con indicazioni molto vere e concrete. È una enciclica “sociale”, con intenzioni ecumeniche, ma ci sono ben 56 citazioni bibliche! Al paragrafo 217 è scritto: “La pace è laboriosa, artigianale”. Sì, è proprio una creazione ‘artistica’! Tutti possiamo essere ‘artisti’. Creatori di bellezza … Subito dopo leggiamo: “Ma questa pace sarebbe superficiale e fragile, non il frutto di una cultura dell’incontro che la sostenga. … Quello che conta è avviare processi d’incontro, processi che possano costruire un popolo capace di raccogliere le differenze”. Ecco l’arte della pace.
Sono numerosi i paragrafi contro la Guerra, da 255 al 262. “La questione è che, a partire dallo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, e dalle enormi e crescenti possibilità offerte dalle nuove tecnologie, si è dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile, che colpisce molti civili innocenti … Mai più la guerra!” (258). E Papa Francesco non esita, a tal proposito, ad affermare che bisogna rivedere quanto è scritto nel Catechismo sulla eventuale “guerra giusta”. Sì, è giunto il tempo di riscrivere il Catechismo, di ripensare la teologia della pace, di rifondare la politica. È giunto il tempo. Non perdiamo “il kairos” (l’antico “chronos” già lo conosciamo). “Perché la ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità” (FT 272).
Che possiamo essere gli artisti/ artigiani della Fraternità.