Mario Dal Bello
L’autore presenta un excursus di opere d’arte sul tema della pace. Essa è celebrata come dono portato dagli uomini, come nell’Ara pacis voluta da Augusto, o nell’opera del Canova che ritrae Napoleone Bonaparte nelle vesti di Marte il pacificatore. La pace è soprattutto un dono soprannaturale, visibile nel ciclo di affreschi di Giotto su Francesco d’Assisi. Figura della pace è Maria, il cui amore protegge e pacifica; soccorre donando pace; è portatrice di pace nella vita famigliare; anche apportatrice di armonia nel creato e nell’anima; è colei che debella ogni malattia. La pace è raffigurata allegoricamente nel corso della storia da molti artisti con i suoi effetti a cui si contrappongono le conseguenze della guerra. Sempre, tra i simboli preferiti, la colomba e l’ulivo sono stati utilizzati per annunciare la pace, intesa come cessazione di ogni guerra ma anche, in senso biblico, come perdono da parte di Dio dei peccati dell’umanità. Infine, la pace è un grido, una denuncia fatta attraverso la visione del dolore dell’umanità.
Un breve excursus sul tema
A partire dall’antichità fino al nostro tempo, si rincorrono attraverso alcuni maestri e varie iconografie, forme e stili diversi per un’aspirazione fondamentale dell’uomo, sempre attuale. Per ripercorrere la storia di questo tema iconografico, vasta e molteplice lungo i secoli, è forse utile iniziare da un monumento romano di primaria importanza, che testimonia nell’antica Roma il bisogno della pace dopo quasi un secolo di lotte intestine. Si tratta dell’Ara Pacis voluta da Augusto e costruita da blocchi marmorei fra il 13 e il 9 avanti Cristo. Ottaviano Augusto si presentava come colui che aveva finalmente portato al mondo la pace, aprendo un’era nuova celebrata da Orazio nel Carmen saeculare e dall’Eneide di Virgilio. È il motivo per cui sui fianchi dell’altare viene raffigurata una solenne processione sacrificale come ringraziamento per la cessazione dei conflitti, a cui partecipano l’imperatore e la sua cerchia intima. Interessante è il rilievo dell’Alma Mater, ossia della Terra come giovane donna florida circondata dall’Aria e dal Mare personificati, elementi anch’essi ormai votati alla tranquillità. Un’opera di propaganda politica, certamente, tuttavia di valore simbolico alto oltre che di egregia fattura classica che nella sua armonia esprime compiutamente l’aspirazione alla pace universale da parte del committente.
Nell’epoca dei secoli medievali, diversi cicli mosaicati o affrescati riportano il biblico episodio del Diluvio. In particolare, si evidenzia il momento in cui la colomba porta a Noè il ramoscello di ulivo, segno che la vita è ritornata, Dio ha perdonato i peccati dell’umanità e quindi, mediante l’arcobaleno, l’uomo può confermare la pace con il suo Creatore. Il mosaico realizzato da una équipe di artisti bizantini fra il 1174 e il 1175 nella Cattedrale di Monreale è pregno di simbolismo ma anche di uno spirito di riconciliazione che dona serenità alla scena.
Nel secolo XIII, incontriamo il ciclo di affreschi che Giotto ha dedicato alla storia di un personaggio che della pace ha fatto uno dei motivi emergenti della sua vita e della sua attività, ossia Francesco d’Assisi. Nel ciclo dipinto con i collaboratori sulle pareti della Basilica superiore di Assisi (1290 – 1292 circa) spicca la scena del santo davanti al Sultano. Secondo la narrazione, Francesco doveva sostenere una prova del fuoco con i sacerdoti del “Soldano il Babilonia” e così si osserva costui seduto su un trono gotico, il santo davanti ad un fuoco crepitante e ai sacerdoti ostili di lato. L’impianto è monumentale, le architetture cosmatesche, gli spazi vuoti e larghi a dare respiro. Francesco, venuto a parlare di pace non ha paura delle ostilità e finirà trattato con benevolenza dal Sultano. La scena sarebbe drammatica, ma Giotto interpreta lo spirito pacificatore del santo con le figure che si accampano tranquille nello spazio a dar sicurezza al messaggio di pacificazione tra cristiani e musulmani.
Fondamentale risulta poi il celebre episodio del “Presepe di Greccio”, una delle invenzioni più suggestive dell’artista. Giotto colloca la scena all’interno della cappella di Greccio dentro un recinto marmoreo sacro ove il sacerdote sta celebrando la messa sotto un ciborio di chiara ascendenza dalla scultura romana di Arnolfo di Cambio. I ritratti realistici delle donne, dei frati cantori, degli uomini devoti formano delle presenze umane spontanee come delle foto istantanee. Straordinaria è poi la raffigurazione del retro della croce dipinta aggettante verso l’interno del luogo, mentre Francesco, vestito da diacono, colloca il piccolo Gesù nella culla. L’atmosfera è di grande dolcezza, di raccoglimento, un Natale semplicissimo, limpido e pieno di musica: il Natale della pace.
La pace fa bene alla società.
È quanto emerge in un contesto di lotte civili molto frequenti in questi anni, e non solo. A Siena Ambrogio Lorenzetti dipinge nel Palazzo dei Priori un vasto affresco dal titolo significativo: “L’Allegoria del buon governo” (1337 -1340). È il popolo senese che protetto dai soldati in armi si stringe fiducioso intorno all’immagine rassicurante del Buon Governo, raffigurato trinitariamente in tre virtù: la Fortezza, la Prudenza e la Pace. Quest’ultima è una affascinante figura di donna distesa con in mano il ramoscello d’ulivo in un atteggiamento di riposo: è bionda, ha la veste candida, e un corpo fiorente, classicheggiante. La pace infatti dona salute, bellezza e porta la purezza degli spiriti nel quotidiano. Tant’è vero che nell’affresco sugli Effetti del Buon Governo vediamo la vita cittadina animata: fanciulle che danzano, uomini a cavallo verso la caccia, botteghe di artigiani, scuole, muratori all’opera, palazzi dai colori vivaci. Dove c’è la pace, la vita scorre armoniosa in ogni suo aspetto.
Maria è la figura della pace
Si afferma l’icona della Madonna della misericordia che avvolge con il suo manto e raccoglie sotto di esso l’umanità, non solo delle confraternite ma di tutti gli uomini e le donne del mondo. Il Polittico della Misericordia di Piero della Francesca a Sansepolcro (1445-1455) vede sul fondo dorato, simboleggiante il divino secondo l’uso bizantino, la Vergine giovane donna dalla bellezza astratta, vestita di rosso, segno di amore, che sotto il manto blu – segno del cielo – accoglie i due gruppi distinti di uomini e donne in atteggiamento fiducioso, giovani e anziani. Maria è isolata da tutti come una statua luminosa, ma sono le sue mani che l’artista vuole evidenziare presentandole nel gesto ampio della protezione e quindi della pace. Il soggetto si diffonde ovunque e gli esempi sono molteplici, come la Madonna della misericordia di Francesco Granacci, agli inizi del secolo XVI, con la Vergine che protegge i trovatelli dell’Ospedale degli Innocenti, ma ancor prima la tavola, davvero originale, di Cosimo Rosselli (1475 – 1485) di Maria del Soccorso.
Qui infatti Maria è raffigurata nell’atto di colpire un mostricciattolo demoniaco che vuole prendere un bambino, turbandone l’innocenza. La Vergine porta la pace di fronte alle tentazioni diaboliche e salva la purezza dei piccoli.
Assai interessante è poi la raffigurazione della metà del secolo XV a Firenze (Loggia del Bigallo) forse di Bernardo Daddi che mostra Maria mater misericordiae nella funzione di episcopa: vestita di mitria e piviale è una icona monumentale e frontale attorno a cui si assiepa l’umanità cittadina che vive le cosiddette “opere di misericordia” citate in altrettante scritte latine sul bordo del manto. Maria è la protettrice della pace fisica e interiore, colei che soccorre gli stessi soccorritori.
L’immagine di Maria come regina della pace ricorre in un soggetto tipico del secolo XIV, che poi si svilupperà, ossia quello della Virgo humilis. Maria è ritratta dentro un giardino fiorito, seduta anche a terra col Bambino e circondata da angeli, come nella Madonna della quaglia del Pisanello (Verona, Castelvecchio, 1420-22). Sono opere deliziose dipinte per la devozione privata, create per trasmettere un sentimento di pace specie in ambito familiare. Talora anzi sono concepite come dono di nozze beneaugurante.
È il caso della celebre Madonna del cardellino di Raffaello (Firenze, Uffizi, 1507) eseguita per le nozze dell’amico Lorenzo Nasi come simbolo di maternità dolce e di augurio di una pace duratura. Maria infatti è seduta su un masso in mezzo ad una natura primaverile immersa nella più aerea distensione: il piccolo Gesù accetta il dono dal cuginetto Battista. Una madre, due bambini, un augurio di fecondità nelle nozze. Maria veglia come protettrice della pace familiare.
Sotto questo aspetto, anche consolatorio, vanno considerate le numerose Madonne col bambino e santi di Tiziano, fra cui una delle più dense di significato personale è la Madonna del coniglio (Parigi, Louvre, 1530). Maria, che ha le sembianze idealizzate della moglie Cecilia appena morta, è seduta sull’erba al tramonto dentro una natura rigogliosa. Lontano il pastore (Tiziano) la osserva mentre santa Caterina prende il figlio in braccio. Il dolore della scena autobiografica è smorzato, anzi calmato dalla quiete di una Vergine dolce nel paesaggio pieno di vita e di speranza.
Tocca ad un altro veneziano ritrarre Maria in preghiera immersa nella natura: piccola creatura dalla quale si diffonde una armonia universale. È la tela di Maria in meditazione del Tintoretto alla Scuola Grande di san Rocco. Un microcosmo in una notte sciroccosa con la luna nascosta e la sua luce diffusa a creare vita tra le forre e i monti, distendendovi l’anima della pace. Essa fiorisce dove c’è Maria, sembra dire il pittore nel 1587.
Lo dirà pure Caravaggio nel serotino Riposo durante la Fuga in Egitto (Roma, Galleria Doria Pamphilij) nel 1596. L’angelo violinista che suona una nenia soave per far addormentare la madre e il bambino sullo sfondo di una nebbia padana è immagine di Dio che con la sua musica porta il silenzio e l’armonia. Dovunque arriva Maria arriva la fine di ogni dramma. Lo dirà ancora Caravaggio nel 1609 poco prima di morire nella Natività di Messina (Museo Regionale). Nella stalla dove i pochi e poveri pastori contemplano l’evento, la madre giace col figlio che la accarezza, seduta sulla paglia. È il vangelo degli umili, quelli che secondo l’artista sono più vicini a Dio perché hanno poco o nulla. In una carriera e vita agitata come quella del pittore, la tela in esame rappresenta un momento di silenzio, di intimità: è il Natale dei semplici quello che porta la pace più sincera. Maria è certo la madre della misericordia e perciò è anche colei che debella le pestilenze che periodicamente si affacciano sulla terra.
È infatti nel 1630 che la peste si porta via a Venezia un quarto della popolazione. Il doge Niccolò Contarini pronuncia un voto: innalzerà una basilica alla Vergine affinché cessi il morbo. Nasce così la chiesa di santa Maria della Salute, affidata all’architetto Baldassarre Longhena. È un edificio barocco di avvolgente sinuosità, con cupole che richiamano quelle di San Marco, ma sono originali insieme alle statue che girano intorno in un contorno bellissimo di pieni e di vuoti. È un’architettura celeste e terrestre perché Maria unisce terra e cielo. L’interno è luminosissimo e confluisce nell’altare maggiore con le eleganti statue marmoree della Vergine con il bambino. La peste cesserà, come di fatto avvenne, e Maria trova la sua gloria pacificatrice nel gigantesco ricamo che è questa chiesa.
Ma il Seicento è teatro di guerre lunghissime come quella dei Trent’anni. Ecco perché il pittore fiammingo Rubens, che spesso è ambasciatore di pace, dipinge l’insensatezza dell’uomo bellicoso nella Allegoria della Pace (1630, Londra, National Gallery) offerta al re inglese Carlo I dopo la tregua tra Spagna e Paesi Bassi. Il dipinto, realizzato con lo stile esuberante del pittore, raffigura la Pace personificata dalla donna al centro che elargisce i suoi doni portati da Minerva, la ragione che disprezza la guerra e allontana Marte, il dio feroce che suscita conflitti. Un invito chiaro alla serenità nei rapporti tra i popoli, anche se la ricomposizione dai conflitti è difficile come dipingerà ancora Rubens nel 1638 nella tela Le conseguenze della guerra (Firenze, Pitti) in cui c’è solo dolore, strazio, furia e disarmonia.
Alcuni grandi personaggi si sono sentiti apportatori di pace dopo aver loro stessi fomentato eventi bellici, come successe a Napoleone. È così in classica nudità che lo ritrasse lo scultore Antonio Canova nel 1803-1806 come Marte pacificatore (Londra, Apsley House, The Wellington Museum). Solenne, plastico, il volto severo. La presenza dell’asta e del globo sormontato dalla vittoria raffigurano quindi Bonaparte come dio della guerra e al contempo pacificatore. In verità l’immagine classica è ambigua in una personalità che si vuole far ritrarre come il continuatore dell’epos antico, che sa essere feroce come Marte per poi concedere benignamente ai vinti la “sua” pace.
Sicuramente rende meglio l’idea della pace un altro marmo del Canova, ossia la Figura della Pace (San Pietroburgo, Ermitage). Scolpita per il cancelliere Nicolaj Ruminianzev è indicativa del desiderio di tranquillità da parte dell’élite russa. Canova vi ha raffigurato una elegante figura angelica, dalla bellezza classica gentile che luminosamente si erge a diffondere la concordia sull’umanità.
Nel “secolo breve”, cioè il Ventesimo, la pace è stata quasi sempre un miraggio, date due guerre mondiali e infiniti conflitti tutt’ora in corso. Spetta a Pablo Picasso dopo l’esplosione di un dipinto antibellico come Guernica in cui tuttavia una lampada accesa pare aprire alla speranza, disegnare una Colomba messaggera di pace in diverse versioni. In quella del 1961 eseguita con un lapis azzurrognolo per il Manifesto del Congresso Nazionale del Movimento per la pace, l’animale tiene nel becco il classico, biblico ramoscello di ulivo. Un invito alla tolleranza e alla fine di ogni divisione nel mondo.
Per rimanere nell’attualità, di fronte ai conflitti presenti di disumana ferocia, si alza forte il grido dell’arte. Un giovane scultore come Jacopo Cardillo, classe 1987, in arte Jago, propone nella mostra romana a Palazzo Bonaparte un gruppo in marmo, realizzato con tecnica virtuosistica eccellente: una Pietà che rivisita la statua michelangiolesca in modo personalissimo nel 2021. È un inno doloroso alla pace, una necessità che il vecchio seminudo che tiene in braccio un giovane morto invoca e grida. Blocco doloroso, rifinito in parte e in parte lasciato volutamente incompiuto è un lamento che vuole essere universale sulla assurdità della guerra che provoca solo morte.
Osservare questo marmo dove è il padre ora che si fa madre sul figlio morto genera stupore e commozione profonda. Jago come molti giovani del nostro tempo invoca la pace e ne presenta le amare conseguenze quando essa viene impedita o distrutta dall’ingiustizia umana.