Mostre

Anticipazioni. MUNCH – IL GRIDO INTERIORE

Il 21 maggio, ospite squisito l’Ambasciatore della Norvegia a Roma, è stata presentata l’ormai prossima mostra “Munch – Il grido interiore” che si terrà dal 14 settembre al 26 gennaio 2025 a Milano (Palazzo Reale) e dal 18 febbraio al 2 giugno 2025 a Roma (Palazzo Bonaparte), rispettivamente a quasi 40 e a 20 anni di distanza dall’ultima presenza dell’artista norvegese nelle due città. Patrocinata dalla Reale Ambasciata di Norvegia a Roma e prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia in collaborazione con il Museo Munch di Oslo, la mostra è curata da una delle più valide studiose dell’artista a livello mondiale, Patricia G. Berman.

Saranno esposte cento opere dalle tecniche, spesso miste, e supporti più svariati, taccuini di schizzi, tra cui quello italiano, fotografie e perfino brevi film girati dall’artista: oli su carta, tela o tavola, acquerelli, tempere, pastelli, litografie, incisioni ad acquaforte e a punta secca, xilografie…a documentare l’inesausta ricerca non solo artistica ma anche letteraria di un’anima assetata di senso, che confessava nei suoi diari di non essere nulla senza i suoi quadri. Opere, dunque, come campo di forze dove si gioca quotidianamente l’esistenza del pittore, seguendo il grido lanciato da van Gogh con il quale Munch condivide la paternità non solo dell’Espressionismo ma di un intero filone dell’arte contemporanea, dal Romanticismo all’Informale, radicato nell’humus culturale nordeuropeo, che porta alle estreme conseguenze l’esigenza di infrangere la presunta oggettività della visione per dare forma ai moti ed ai fantasmi interiori. È opportuno qui ricordare che, dal 2020, il nuovo Museo Munch ospita, accanto alle sue, opere ed eventi di arte moderna e contemporanea, con proposte continue di dialogo reciproco, riflessi ed interferenze.

Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo” (Eneide VII, 312) scriveva Freud sul frontespizio de “L’interpretazione dei sogni” nel passaggio tra i due secoli, quasi a significare la volontà della civiltà occidentale di penetrare le profondità della psiche umana, nella tensione se non nella speranza di rivedere il cielo cui ha voltato le spalle riflesso infine in fondo all’abisso. Nel dipinto “Notte stellata”, ispirato al dramma di Ibsen “John Gabriel Borkman” e presente in mostra, alla scalinata discendente e scura su cui si proietta l’ombra del protagonista suicida si contrappongono le luci e i colori smeraldati del cielo e del paesaggio innevato, irraggiungibili, come il mare di nebbia che si estende ineffabile davanti al viator di C.D. Friedrich al termine del suo percorso inverso, ascensionale: due momenti fondamentali di un sentimento tragico della vita che vede l’uomo e l’universo, soggetto e oggetto in un confronto mai risolto, percorso da fremiti, sussurri, grida soffocate cui entrambi gli artisti hanno cercato di dare voce, forma.

Troppo si è scritto sulle drammatiche vicende della vita di Munch, segnata fin dall’inizio da morte (la madre, il padre, la sorella primogenita Sophie, il fratello Andreas), malattia e fragilità (la sua stessa salute cagionevole, la sorella minore Laura affetta da crisi maniaco-depressive), ma una lettura esclusivamente psico-biografica impoverisce la comprensione della sua parabola artistica e non ne spiega la forza e l’influenza perdurante a tutte le latitudini, come ha giustamente rilevato Domenico Piraina nel suo contributo alla presentazione. Soprattutto, non rende onore al continuo sforzo dell’artista di estrarre un senso universale dal magma del vissuto, filtrato dalla memoria ed espresso attraverso un uso mai naturalistico del segno e del colore nella speranza, come dice lui stesso nei diari, di “aiutare gli altri a vedere chiaro”.

L’uso spregiudicato di tecniche e materiali è strumento e sintomo di un linguaggio che vuole aderire in modo immediato alle scoperte di questo viaggio interiore dove luci e ombre, vita e morte, amore e odio convivono lacerando ma anche alimentando l’artista che, come confessa in una nota scritta, si sentiva costretto a camminare su “uno stretto sentiero lungo un precipizio”. In parallelo con gli sviluppi della filosofia da Kierkegaard alla fenomenologia di Husserl a Heidegger, Munch patisce l’inconciliabilità di Essere ed esistere, Verità e fantasmi della psiche ma, da artista, trasforma il conflitto in una nuova bellezza che gli consente, pur nella sua solitudine monacale, di entrare in comunione con gli uomini feriti del suo tempo e non solo.

Forse anche di trovare un approdo ed una pacificazione se dal 1916, nella tenuta di Ekely, dipinge le sue opere all’aperto per lasciarle completare dagli agenti atmosferici ed inserirle così nel divenire eterno della natura, in una traduzione esistenzialista di quell’osmosi con gli elementi della natura necessaria a Friedrich per “essere quello che sono”. Anche i numerosi autoritratti, che registrano fedelmente l’ ansioso interrogarsi di Munch, si concludono con quello celebre – non presente tra i dodici in mostra – tra l’orologio ed il letto, insolitamente calmo per l’insistita ortogonalità delle linee geometriche così lontane dalle fluide serpentine delle opere centrali, equilibrato nella ripartizione tra luce e ombra, colori caldi e freddi, composto nell’atteggiamento di silente attesa, ricco dei colori dell’esperienza alle spalle, non più sconvolto dal divenire del tempo (l’orologio non ha le lancette), lucidamente proteso ad incontrare quell’essenza che ha cercato tutta la vita. Come con altri strumenti farà il suo erede più diretto, Ingmar Bergman.

Maria Cristina Demariassevich


Anticipazioni. PICASSO, LO STRANIERO

Milano, Palazzo Reale. 20 settembre 2024 – 2 febbraio 2025
Sebbene la fama di Picasso sia nota a tutti nel mondo, non è allo stesso modo conosciuta la difficile condizione di straniero che l’artista visse nella città che diventò presto la sua casa, Parigi, a partire dai primi anni del 1900. Una condizione che ha influito e formato la sua identità e che avrà dei riflessi in tutta la sua produzione artistica. La mostra Picasso. Lo straniero, che si terrà a Palazzo Reale a Milano dal 20 settembre 2024 fino al 2 febbraio 2025 indaga per la prima volta l’aspetto della vulnerabilità e della precarietà dell’artista, considerato a Parigi uno straniero che non riuscirà mai ad ottenere la cittadinanza francese. «Veniva trattato come uno straniero», scrive di lui Annie Cohen-Sohal, curatrice scientifica della mostra. Insieme a Cécile Debray, Presidente del Museo Nazionale Picasso di Parigi e a Sébastien Delot, direttore delle collezioni e della comunicazione del Museo Nazionale Picasso di Parigi, ha esplorato il mondo sconosciuto di Picasso chiuso negli archivi e mai raccontato, decidendo di dar vita a un percorso sull’artista e la sua arte, entrambi rifiutati perché troppo lontani e incomprensibili per la tradizione francese del tempo.

Dora Maar (1907-1997). Pablo Picasso dipinge la tela Guernica – Parigi, 1937 ┬® Succession Picasso by SIAE 20 24 – Dora Maar by Siae 2024 (low)

Le 80 opere di Picasso, insieme a documenti, fotografie, video e lettere, permetteranno di conoscere in modo approfondito il mondo di Picasso e, di riflesso, porteranno a riflettere sui grandi temi dell’accoglienza, della diversità, dell’immigrazione e della relazione con l’altro. Il catalogo della mostra, frutto del lavoro di Annie Cohen-Solal, Picasso. Una vita da straniero, è edito da Marsilio per la collana Gli specchi 2024.

Roberta Foresta


“THE OTHER AND OTHERNESS” A INTERACTION NAPOLI 2024

Fondazione Made in Cloister, 16.03.2024 – 21.09.2024

Differenti linguaggi artistici, proferiti da tutto il mondo, parlano di “altro e alterità” nella seconda edizione dell’esposizione biennale “InterAction Napoli” promossa dalla Fondazione Made in Cloister presso il chiostro cinquecentesco della Chiesa di Santa Caterina a Formiello.
In questo caso, luogo espositivo ed ente promotore hanno un legame che è all’origine della vita attuale di entrambe le realtà. Infatti “Made in Cloister” è una Fondazione che nasce nel 2012 con un sogno e un progetto di riconversione: recuperare questo luogo identitario della città di Napoli, splendido esempio di sintesi tra rinascimento ed archeologia industriale, per poi restituirlo alla città stessa come centro espositivo e performativo di arte in dialogo con il territorio.

Un contesto esclusivo per il progetto InterAction che vede artisti di diversi paesi, generazioni e linguaggi, dare vita ad un’esposizione collettiva di opere site-specific che interagiscono tra loro, con lo spazio che li ospita e con la comunità che li accoglie.

Gli allestimenti di questa seconda edizione, curata da Demetrio Paparoni e visitabile sino al 21 settembre, oltre che al chiostro di Santa Caterina a Formiello, ci portano in tre luoghi “off site”: il chiostro del Liceo Artistico di Napoli, il cortile del Palazzo Caracciolo e il Parco di Re Ladislao.
Il progetto artistico di InterAction, in questa attuale edizione, potremmo dire che mette al centro i soggetti dell’interazione stessa parlando di “altro e alterità”. Chi è l’altro e com’è possibile relazionarsi ad esso e alle sue diversità? L’alterità, intesa come mondo il cui abitante esprime valori incompatibili rispetto ai propri, non ha una precisa collocazioni geografica, potrebbe trovarsi a pochi metri da noi così come dall’altro capo del mondo. 30 artisti, attraverso varie tecniche e linguaggi, si sono appunto confrontati sul tema delle relazioni, non sempre facili, tra le diverse culture, tradizioni e religioni. Espongono 14 artisti italiani, tra cui Domenico Bianchi, Giuditta Branconi e Gianluigi Colin, ed altri provenienti da tutto il mondo come, citandone solo alcuni, Troy Makaza dello Zimbabwe, Andres Serrano degli Stati Uniti, i norvegesi Henrik Placht e Mortem Viskum, Samuel Nnorom della Nigeria, ecc…

Il visitatore è accolto da una miriade di colori ed attratto da molteplici linguaggi che incuriosiscono e invitano a interagire in maniera percettiva e personale. Nel chiostro di Santa Caterina a Formiello le opere si susseguono lungo le pareti laterali del porticato ma invadono anche la parte centrale in cui vi è l’antico essiccatoio ligneo. Ci sono opere figurative, opere astratte, collage fotografici, istallazioni polimateriche, opere tessili e sculture iperrealistiche.

Al centro campeggia un tubo luminoso che sinuoso volteggia per parlare d’instabilità metereologiche e di squilibrate dinamiche sociali: è un’istallazione aerea dal titolo “US2-Migration” realizzata dal coreano Jung Hye Ryun. Ogni opera affronta un aspetto diverso della stessa tematica: si parla di sfruttamento e abuso delle tecnologie, di macchine dotate di intelligenza artificiale, di capitalismo e neocolonialismo, razzismo e globalizzazione, schiavitù e flussi migratori, di natura violata e difficile accesso ai mezzi di sostentamento ma anche di guerra come fa il norvegese Mortem Viskum che con una scultura iperrealista si autoritrae sovrapponendo le sue sembianze a quelle di Putin. Dunque un’arte profondamente umana che parla di comportamenti disumani, un’arte di denuncia che nasce dalla speranza di poter finalmente annientare la paura del diverso e guardare all’“altro” come una grande risorsa a vantaggio di quell’arcobaleno di colori che ha bisogno di tutte le possibili sfumature per poter essere un affascinante spettacolo.

Matilde Di Muro

ANSELM KIEFER. ANGELI CADUTI

La grande Mostra ”Angeli caduti”, visitabile presso Palazzo Strozzi a Firenze fino al 21 luglio p.v., promossa e organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi e curata da Arturo Galansino, il cui catalogo è edito da Marsilio Arte, è un esposizione che permette al visitatore di avere una ampia panoramica delle opere del grande maestro tedesco Anselm Kiefer.

Attraverso un percorso espositivo di straordinaria potenza espressiva è possibile ammirare 25 grandi opere di pittura, scultura, installazione e fotografia, tra lavori storici e nuove produzioni di superba fattura su misure straordinarie, con l’uso audace di diversi materiali e tecniche, di forte presenza fisica e tattile, in cui da ogni piccolo dettaglio scaturisce un riferimento simbolico che spinge ad approfondimenti interiori ed ha riflettere sulla complessità della nostra esistenza.

Anselm Kiefer a Palazzo Strozzi

Si ha, così, l’opportunità di entrare nell’arte di Kiefer, certo non di facile comprensione da parte di sguardi frettolosi o superficiali, e di osservare la sua sfida di tradurre in termini plastici pensieri spirituali, attraverso sia lo spazio fisico che quello concettuale delle sue opere; opere che celebrano l’intreccio tra figura e astrazione, natura e artificialità, creazione e distruzione, sempre con un  rifiuto del limite da parte dell’artista, non solo per la monumentalità o materialità delle realizzazioni, ma soprattutto per l’infinita ricchezza e l’uso audace di diversi materiali e tecniche, con le quali Kiefer esplora le profondità della memoria e del passato.

Il percorso espositivo coinvolge i visitatori in un mondo suggestivo, dove memoria, storia, guerra, mito e filosofia stimolano ad una profonda riflessione ed introspezione sull’essere umano del passato, presente e futuro e sulle connessioni tra spiritualità e materialità, con un effetto di stupore e turbamento che solo la grande arte é capace di suscitare, perché, come dice Kiefer, «… l’arte dovrebbe permettere di guardare al di là delle cose, il visibile dovrebbe essere semplicemente il supporto dell’invisibile, l’emanazione del mistero divino».
Il desiderio dell’artista di tradurre in termini plastici pensieri spirituali si palesa immediatamente nella monumentale installazione di cm 750×840 che accoglie il visitatore nel cortile di Palazzo Strozzi, Engelssturz (Caduta dell’angelo), concepita appositamente per la Mostra, di cui costituisce la traccia e filo conduttore, ed esposta alle intemperie per essere, quindi, trasformata perché, come è solito affermare Kiefer, la sua produzione cambia «perché l’opera stessa cambia. C’è un cambiamento nell’interpretazione e c’è anche un cambiamento reale».

Il dipinto si inserisce nella linearità del disegno del cortile di un edificio simbolo del Rinascimento fiorentino, senza, tuttavia, determinare dissonanze, ma, invece, creando una riuscita fusione fra tradizione e contemporaneità.
Descrive il combattimento tra l’Arcangelo Michele e gli Angeli ribelli, metafora della lotta tra Bene e Male, con esplicito riferimento al brano dell’Apocalisse (Ap 12,7-9); gli Angeli ribelli sono cacciati dal Paradiso dall’Arcangelo con l’elmo piumato che impugna la spada con la destra e con l’indice sinistro indica il cielo.
L’artista si è ispirato al San Michele Arcangelo di Luca Giordano, precisamente a quello conservato nel Museo di Cadice (1692- 1702), di cui un’altra superba precedente versione sul tema è conservata a Napoli nella chiesa dell’Ascensione a Chiaia.

La figura scura su fondo dorato, con un rimando alla tradizione bizantina simbolo dello sguardo di Dio sull’umanità, ma anche alla tradizione della pittura italiana trecentesca, emerge nella metà superiore, mentre in quella inferiore sono visibili solo volti e vesti mescolati nella parte scura, dove, incorporati in un indistinto impasto di materiali vari, si distinguono indumenti moderni, resti sopravvissuti a una catastrofe.
Filo conduttore della Mostra è, quindi, proprio la caduta, la caduta dell’Angelo ribelle, simbolo di male, tentazione, peccato, concetto che attraversa molte culture e religioni, provenendo da antichi miti e leggende, e che Kiefer, assumendolo a metafora della lotta tra bene e male, esprime alla sua maniera, facendolo cadere su un mondo distrutto pieno di macerie.

Siamo tutti noi questi Angeli caduti con l’ aspirazione umana ad elevarci alla spiritualità e la zavorra delle nostre debolezze e fragilità umane, anche interiori, che generano solo macerie, Angeli caduti che si dimenano in una perpetua contraddizione che spinge ad interrogarsi sul mondo contemporaneo ed a riflettere su ciò che è l’esistenza nel nostro millennio.

Ma è da questa contraddizione che traspare la domanda cristiana: come riconoscere il divino nella condizione umana così oscura, che genera solo macerie, macerie che, comunque, per l’artista, consentono sempre una rielaborazione possibile per ricominciare perché:« le rovine non sono una catastrofe, è il punto in cui gli oggetti rinascono a nuova vita».

Negli allestimenti delle sale del piano nobile il tema viene riproposto nel Luzifer, con la sua minacciosa ala di aereo in piombo che sporge da una massa di materia, creando un diretto riferimento al tema della guerra.
Seguono, poi, Für Antonin Artaud: Helagabale e il Sol Invictus Heliogabal, i quali, traendo spunto dal libro del drammaturgo francese Artaud, forniscono l’occasione per la rappresentazione della fragilità del potere, incarnato dall’imperatore romano Eliogabalo, vittima della sua spregiudicatezza e tracotanza, e per la rappresentazione ciclica del tempo e della vita, in cui gli eventi si ripetono senza fine, ma anche per celebrare la vittoria della luce nell’eterna lotta contro l’oscurità.

In questi giganteschi dipinti su fondo oro compaiono simboli spesso presenti nel vocabolario visivo kieferiano: girasoli, pianta legata al sole, ma anche alla terra, che Kiefer rappresenta neri come il firmamento, ed i serpenti, simboli del male, ma anche allegoria di rigenerazione.

Altre sezioni dell’esposizione sono basate su riferimenti alla filosofia, con un grande omaggio ai pensatori e filosofi greci, che tanto ricordiamo e studiamo, ma di cui non siamo più capaci di seguirne gli insegnamenti, alla mitologia, ed alla poesia con tre celebri versi del poeta Salvatore Quasimodo, scritti su una parete di una sala: «Ognuno sta solo sul cuore della terra / trafitto da un raggio di sole / ed è subito sera», per richiamare la precarietà della vita umana e la transitorietà del tempo.

Non può, altresì, non farsi riferimento alla particolare installazione immersiva Verstrahlte Bilder, composta da 60 dipinti che riempiono completamente le pareti ed il soffitto di una delle più grandi sale di Palazzo Strozzi; si tratta di “dipinti irradiati”, creati con materiali diversi, oli, tela, gommalacca ecc, poi scarificati e scoloriti da radiazioni, che trasmettono una suggestione inquietante e malinconica sul tema della distruzione e del decadimento, insiti nella condizione umana stessa.

Il percorso espositivo si conclude, infine, con una sezione speciale dedicata alla celebre serie Heroische Sinnbilder (Simboli eroici), con quattro fotografie stampate su piombo che ritraggono l’artista nel 1969 con la divisa tedesca o con il braccio alzato del saluto nazista su uno sfondo di macerie delle città tedesche distrutte nella seconda guerra mondiale, immagini di forte impatto che scuotono e fanno riflettere.

Non si tratta certo di un amarcord nazista, ma l’artista, invece, con intento provocatorio, vuole sollecitare il popolo tedesco a non cancellare la sua storia recente che non si può cambiare, ma a superare quel funesto periodo ed elaborare l’eredità emotiva e culturale della Germania per proiettarsi verso il futuro.

Tutti noi, anche senza accorgersene, dobbiamo fare i conti con le macerie dell’umanità che per Kiefer «sono come il fiore di una pianta; sono l’apice radioso di un incessante metabolismo, l’inizio di una rinascita».

Giovanna Via