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Paola Gobbo Sr
Cos’è il silenzio?
Se andiamo a cercare la definizione di “silenzio” in una qualsiasi enciclopedia troviamo questo: “assenza di rumori, di suoni, voci, come condizione che si verifica in un ambiente o caratterizza una determinata situazione […] Il fatto di non parlare o di smettere di parlare (e, più in generale, di non gridare, cantare, suonare, fare rumore) per un certo periodo di tempo”. Tale definizione fa supporre che il silenzio sia innanzitutto “assenza”, caratterizzato da qualcosa che non c’è, come ad esempio un rumore, un suono.
Veramente possiamo relegare il silenzio a tale definizione o c’è qualcosa di più profondo? Il silenzio è spesso inteso come assenza, come abbiamo visto, ma se provassimo a intenderlo, invece, come presenza?Il silenzio è generativo, è fecondo, perché permette il nascere dentro di noi di una parola vera, autentica, nata da un incontro. È quello stesso silenzio che aleggiava prima della creazione. Il silenzio è creativo. Il silenzio è un bambino che viene “intessuto nel grembo di sua madre, ricamato nelle profondità della terra”, come descrive con splendide parole il salmo 139. Il silenzio non è assenza: è attesa. È gravido. Possiamo osservare un dipinto, leggendolo in questa chiave di lettura. Un’opera di incomparabile bellezza, dai toni caldi della tenerezza. È il racconto di una notte, della notte che ha portato con sé il fiore della nostra salvezza. Si tratta di un dipinto di Antonio Allegri, detto il Correggio, databile intorno al 1525/1530 e conservato a Dresda: L’Adorazione dei pastori .Osserviamo, innanzitutto, dove è ambientata la natività. Possiamo notare tre scalini che conducono al luogo dove è posto il bambino, simbolo della Trinità, ad indicare che l’incarnazione è un dono di tutta la Trinità. Altro elemento architettonico di non poca importanza è la colonna che vediamo in posizione leggermente decentrata a sinistra. La colonna è elemento di congiunzione tra cielo e terra; infatti, si slancia da dietro la pastorella fino al gruppo di angeli. La colonna è, quindi, immagine di Cristo, che unisce in sé la terra al cielo. Inoltre, la natività non avviene in una grotta, in una stalla, ma tra le rovine di un tempio. Cristo è colui che lega in sé passato e futuro, è il Presente di Dio, Colui che porta a compimento tutte le cose.

Poniamo, ora, la nostra attenzione sui personaggi. In altro a sinistra troviamo un gruppo di angeli, circondati da una nuvola, che osservano con ammirazione, stupore, curiosità, la scena sottostante. È interessante il primo angelo a destra, con il dito indice della mano destra a indicare la scena e gli occhi fissi nel nostro sguardo. È il personaggio che si pone in dialogo con l’opera, colui che ci fa entrare, che ci mette in relazione. È la figura che si pone accanto a noi e ci accompagna nel cammino, che non ci lascia soli, che ci conduce. È il silenzio che ci guida, semplicemente con la sua presenza, chiedendoci, solo, di seguirlo con docilità. Se spostiamo lo sguardo sulla scena sottostante incontriamo un gruppo di tre personaggi, che ci offrono tre diverse reazioni a quanto stanno osservando. Sono tre pastori, accorsi in quel luogo nel cuore della notte, quando il silenzio attorno a loro fu interrotto dal canto degli angeli. Il primo è un pastore che ci si offre ritratto a figura intera, mentre si pone una mano sul capo, quasi a mostrare la sua non comprensione della scena che ha davanti ai suoi occhi. Ha appena udito l’annuncio, come leggiamo nel Vangelo al capitolo secondi di Luca :

«Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”».1

Eccolo allora, il silenzio di chi non sa capire, di chi si interroga e non sa trovare una risposta perché la sua mente è ancora lontana dal suo cuore. E’ il silenzio dello smarrimento. È il silenzio di chi è in ricerca.
Il secondo pastore ha il volto incantato, meravigliato, si gira verso destra incontrando lo sguardo smarrito del primo personaggio. È il silenzio dello stupore, il silenzio del cuore che ammutolisce per qualcosa di troppo grande che vede davanti a sé e non trova le parole per esprimerlo. Incontriamo, poi, la donna, che si para gli occhi dalla troppa luce, in una espressione di tenerezza che si interroga su ciò che si pone davanti al suo volto. È il silenzio che prova a penetrare il mistero, ma non vi riesce perché è troppo luminoso. E ritorna nella gravida notte. Questa donna porta in dono un cesto con degli anatroccoli, simbolo di difficile interpretazione. L’anatra, infatti, essendo un volatile migratorio assume il senso del cammino spirituale dell’anima e, inoltre, si rende mediatore tra terra e cielo. Quindi è simbolo del cammino che compiamo ogni giorno nella fede, cercando la Vita vera.
Arriviamo al cuore della scena, dove troviamo un abbraccio che scalda di luce la notte. Possiamo notare come l’unica che riesce a guardare Gesù, nonostante la grande luce che la abbaglia, è proprio la Madre, in virtù della sua pienezza di Grazia.
Possiamo fare il raffronto molto evidente con la pastorella che deve schermarsi gli occhi, come abbiamo visto. Inoltre, notiamo come Maria sia totalmente avvolta nella luce, vivendo questo evento illuminata di Grazia, con le parole dell’annuncio custodite nel cuore, compiendo nella sua carne ciò che le era stato annunciato. La madre è china sul Figlio, continua la sua missione di colei che, nel silenzio, custodisce e avvolge, cura e protegge. Madre del Figlio e madre di noi tutti.

Come leggiamo nel prologo del vangelo di Giovanni:

«In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. […] E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi».2

Luce che splende nelle tenebre, Parola che irrompe nella notte. Il silenzio è atteso, è contemplazione, è gravido: porta alla luce. E la notte si tinge dei colori dell’aurora, come possiamo osservare in fondo al dipinto.
Un’antica espressione in uso nell’Ordine dei Predicatori, di cui faccio parte come monaca contemplativa, dichiara che “il silenzio è padre dei predicatori”. Potrebbe suonare strana all’orecchio tale citazione, perché qualcuno potrebbe pensare che padre sia lo studio, oppure che madre sia la meditazione, la preghiera. Invece no: si parla esplicitamente del silenzio. Ed ora possiamo comprenderne il motivo: non può esserci parola vera nella confusione, nata dal caos perché questa determina smarrimento. La parola degna di essere pronunciata, che porta luce, che dona un messaggio, è quella che si custodisce nel silenzio del cuore.

Lo stesso vale per l’arte. Un’opera d’arte ha bisogno di silenzio per essere concepita, formata, generata, data alla luce. L’esperienza dell’artista è quella del buio, della notte, dove, poi, irrompe una luce: l’ispirazione.
San Giovanni Paolo II, nella sua indimenticabile “Lettera agli artisti”, così scrive:

«L’artista è sempre alla ricerca del senso recondito delle cose, il suo tormento è di riuscire ad esprimere il mondo dell’ineffabile […]. Lo Spirito Santo, «il Soffio » (ruah), è Colui a cui fa cenno già il Libro della Genesi: « La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque » (1,2).

Quanta affinità esiste tra le parole «soffio – spirazione» e «ispirazione»! Lo Spirito è il misterioso artista dell’universo. Nella prospettiva del terzo millennio, vorrei augurare a tutti gli artisti di poter ricevere in abbondanza il dono di quelle ispirazioni creative da cui prende inizio ogni autentica opera d’arte. Cari artisti, voi ben lo sapete, molti sono gli stimoli, interiori ed esteriori, che possono ispirare il vostro talento. Ogni autentica ispirazione, tuttavia, racchiude in sé qualche fremito di quel «soffio» con cui lo Spirito creatore pervadeva sin dall’inizio l’opera della creazione. Presiedendo alle misteriose leggi che governano l’universo, il divino soffio dello Spirito creatore s’incontra con il genio dell’uomo e ne stimola la capacità creativa. Lo raggiunge con una sorta di illuminazione interiore, che unisce insieme l’indicazione del bene e del bello, e risveglia in lui le energie della mente e del cuore rendendolo atto a concepire l’idea e a darle forma nell’opera d’arte. Si parla allora giustamente, se pure analogicamente, di «momenti di grazia», perché l’essere umano ha la possibilità di fare una qualche esperienza dell’Assoluto che lo trascende»3.

Ogni opera d’arte nata da questa collaborazione tra Spirito divino e l’uomo che si pone in ascolto, che si mette in relazione, nasce per portare un messaggio. Per questo è necessario porci, poi, in silenzio di fronte a tale opera: essa ha un messaggio da consegnarci, ma se il nostro cuore è nel rumore, come potrà essa raggiungerci? Il rumore possono essere i pensieri, le preoccupazioni, le ansie, i dolori che ci portiamo dietro nelle nostre giornate, nel nostro vissuto, con il rischio di sentirci sopraffatti, esausti, privi di forza vitale. Di fronte all’Arte occorre svuotare il cuore, far cessare le voci, unificare il nostro spirito. Occorre entrare in quella che santa Caterina da Siena chiamava la “cella interiore”, quel luogo intimo dove solo noi e il Padre possiamo entrare e dimorare, anche se tutto intorno a noi è frastuono. Far cessare le voci e dimorare in quel punto profondo del nostro spirito dove, nella tenebra, si genera la Sua luce.

Scrive S. Ambrogio che “Ogni anima che crede, concepisce e genera il Verbo di Dio e riconosce le sue opere”, così come ha compiuto la B. V. Maria. Di lei l’evangelista Luca ci ripete più di una volta che «custodiva e meditava nel suo cuore»4; questo è l’atteggiamento di colui che ascolta, di colui che fa spazio in sé, di colui che mette in pratica quanto concepisce nel cuore. Questo è ciò che dona il silenzio: la capacità di ascolto e custodia, che conduce alla vita.
Se ci poniamo in questa maniera anche di fronte ad un’opera, lasciando che essa, nel silenzio, ci parli; essa si aprirà a noi e ci donerà il suo mistero, farà sorgere in noi la contemplazione e la contemplazione genererà in noi nuova vita per noi e da donare a chi abbiamo intorno.
Perché, come dice s. Tommaso, “è più perfetto illuminare che ardere soltanto”. Ecco perché il silenzio è “padre dei predicatori”.


NOTE
1. Lc 2, 9-12.
2. Gv 1,5-14.
3. GIOVANNI PAOLO II, Lettera agli artisti, Roma 4 aprile 1999, n. 13 e 15.
4. Lc 2,19.