dalla raccolta Magari esisto pubblicata nel 2023.
I
Certo che male – e molto – ma quanto ho fatto
per esistere sempre, punto per punto,
come a rendere conto di qualche cosa
di prescritto e difficile che somiglia
un po’ al pagare un fio, quel catà tìsin1
sibillino di Eraclito onde si rischia
la salute dell’anima alla deriva
senza sponde al suo essere! E fuor di grazia
solo la colpa vale a farti autore
di te stesso e del mondo che per il resto
non è più di una scusa.
come rileva anche Martin Heidegger, può riferirsi tanto alla lode quanto al castigo.
II
Così poco è il futuro, così scontato
da parere presente, e pur stranamente
promette cose, quasi a restituire
il passato, corretto dal tuo abbandono,
l’apertissima carne ritardataria
sulla mia voglia di cantare. Forse.
Oltre quanto dipende dal tuo sorriso,
dal tuo nome che vola.
III
L’acrostico pareva, ostinatamente,
un gioco ambiguo, e poco somigliava
al tuo cuore elegante, al tuo sangue pronto
a ogni spiro dell’essere ancorché niuno
l’abbia svegliato. Io lo spingo in cielo
con ali di parole: due farfalle
si sfiorano in volute troppo belle
per servire a qualcosa, e sapessi quanto
– ove più dolce è il fiato del silenzio –
mi sai far compagnia
IV
Mi sono vestito del mondo, discordemente
abitato da tutto, la mente e il cuore
rimestati da voglie, princìpi primi,
teleologie geometriche, algebre oneste
nei loro zeri a risultare, sempre
contro la morte come non si sapesse
necessaria al destino degli obbligati
ogni tanto a godere.
V
Tu, mistero del sole, pur mai afferrato
da me mediterraneo, eri d’ambra – e rosa
nel profumo e nei petali, nei velluti
della carne indecisa – e ridevi tutta,
tutta promessa, tutta data a un momento,
perché t’ero vicino come una luce
dal bruciar di qualcosa che non sapevi
né quale fosse né quanto potesse
nel suo incanto durare.
VI
Malgrado tutti noi, quello che succede,
è pur sempre Natale. Che cosa nasca
poi ad ogni accendersi di lampadine
galeotte di compera non ha niente
a che fare davvero coi chiaroscuri
dell’anima riposta, distribuita
nei luoghi del presepe sconfessato
dalla fretta degli uomini. Solo è certo
quel bisogno di vita che puntualmente
pervade la memoria, onde si finge
l’amicizia del dio nella produzione
delle grazie incartate.
VII
È cosa buona l’anima che ci guida
al poter essere squarciando il velo
di un oltre, prima e dopo ogni presente
che ingombri il dire, posto che la parola
fu prima dell’evento, sempre imperfetto
in sé e per sé, sgraziato e senza luogo
che ne faccia valore. Tutto è compreso
già nello scorrere del desiderio
condensato nel sangue, e ci volle mente
allenata nei secoli a non capire
come vanno le cose.
VIII
Neanche la pace vale la speranza
per la voglia di vivere, e a un certo punto
per sorte di natura, quando tutto
s’è compiuto nell’anima fino a dare
l’idea di un essere senza potere
diverso dal ripetersi, l’emozione
la riponi negli altri e l’indifferenza
ti fa giusto poeta,
IX
Una casa ben grande e disordinata
può diventarti l’anima, e anche la memoria
cresciuta a dismisura, oltre ogni potere
d’esser tenuta a bada nel rigoglio
delle sue primavere ora dolcemente
minacciose e carnivore, adescatrici
del corpo incerto, poco sostenuto
da un cuore tutto preso a tenere il punto
che perfino la morte, a pensarci bene,
sia soltanto un errore.
X
La Pasqua è festa vera, per conto suo,
e niente può deprimerne la grazia
che natura le impone, ancorché colomba
e cioccolato premano ad ingabbiarla
in vetrine adescanti. La sua promessa
troppo è celeste perché non risulti
garantita finché ci sarà pineta,
aria di mare e luce da respirare.
XI
L’ho chiamata memoria ma chi può dire
che cosa sia davvero questa insistente
tentazione dell’anima a fare meglio,
più vicino all’idea che vi si riveli
col crescere dell’opera. Non è certo
quasi nulla nel grembo di un universo
senza invito occupato ancorché in poesia
tutto avvenga per sempre.
XII
Le semplici parole son rumori
che smontano incantesimi sagomati
dal momento e dal luogo, e non c’è poesia
che non salvi il silenzio, anche sotto i cieli
del più sordo Occidente.