
Michelangelo aveva realizzato il disegno per Vittoria Colonna, una donna speciale da lui molto ammirata, anzi molto amata e celebrata in diverse sue poesie.
Le tre immagini a confronto di Venusti, Michelangelo, Bonasone. Click per ingrandirle e leggere le didascalie.
1. Vittoria Colonna
Per capire la profonda relazione, spirituale ed affettiva, che era nata tra i due a partire dal 1531, bisogna tenere presente che in quegli anni nella Chiesa erano molto accesi i dibattiti relativi alla Riforma e alla questione luterana: anche in ambito cattolico alcuni circoli riformatori si erano attivati per un rinnovamento eccelsiale ( “Gli Spirituali” Contarini, card. Pole, vescovo Gian Matteo Giberti, Bernardo Ochino…) e tra le figure più attive di questo movimento si distingueva proprio Vittoria Colonna, nipote di Federico da Montefeltro di Urbino, marchesa di Pescara, legata agli Aragonesi (vedova di un D’Avalos).
Vittoria Colonna era una donna colta, una poetessa amica di Ariosto, Aretino, Bembo, Tasso… La sua profonda spiritualità era riconosciuta: era pure una donna di carità che aveva accolto e curato molti cittadini vittime del terribile sacco di Roma del 1527. Si fece avvocata dei Cappuccini, schierandosi in loro difesa circa alcune questioni controverse che avevano messo sotto accusa questo istituto francescano riformato, nato da pochi anni (1528).
Col linguaggio del nostro tempo si potrebbe definire Vittoria Colonna una pacifista ed una femminista ante-litteram. Per lei, Michelangelo realizzò degli splendidi disegni di omaggio, oggetto di meditazione personale, tra cui una Pietà, una drammatica Crocifissione, ed anche un Cristo e la Samaritana; da queste opere traspare un’intonazione dolorosa e commovente, che manifesta l’inquieta ricerca personale dell’artista sul tema della salvezza che si ritrova pure nel Giudizio Universale e che fu oggetto di intensi dialoghi tra i due presso il Convento di S. Silvestro al Quirinale.
2. La Madonna del Silenzio di Marcello Venusti
La “Madonna del silenzio” è una invenzione ben orchestrata della maturità michelangiolesca che offrì lo spunto a diversi artisti per una interpretazione pittorica, e tra questi, in prima fila, ci fu Marcello Venusti.
Lombardo di origine, Venusti era cresciuto artisticamente nella Mantova dei Gonzaga sotto la guida di Giulio Romano. Questo pittore conobbe Michelangelo e tradusse “a colori” diverse composizioni del maestro, ed in particolare i disegni creati per Vittoria Colonna.
Secondo la storica la storica dell’arte, Cristina Acidini Luchinat:
Ed è sempre la stessa Cristina Acidini Luchinat che, così, ci descrive la tela del Venturi:
3. Maria
Al centro sta Maria, figura dominante della composizione.
È davvero molto elegante questa madre che contempla il suo tesoro addormentatosi tra le sue braccia, sfiorandolo delicatamente, con delle carezze che dicono tenerezza, cura, protezione, dialogo: sono queste le mani della Chiesa che non solo Michelangelo, ma anche il credente di ogni tempo, auspica di poter incontrare: mani che restano fedeli a Dio e all’uomo; mani che invitano a non allontanarsi da quel centro che è Cristo; mani che tengono insieme il cielo e la terra, la Parola e la vita, anima e corpo, gioia e turbamento, vita e morte.
Infatti, in questo clima di silenzio dolce ed intenso, Maria, si rivela capace di tenere insieme (la Synballousa), « colei che custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19).
Maria, infatti, nel Natale tace: parlano gli angeli (Gloria…), parlano i pastori (Andiamo…), ma Maria sta in silenzio; non parlerà nemmeno sotto la Croce. Questa Madonna sembra riproporre anche a noi le parole dell’amata del Cantico dei Cantici: «Non svegliate l’amato…» (Ct 2,7 e 8,4). Sono parole che ci offrono la prima delle due chiavi interpretative dell’opera, quella scritturistica, poiché qui la visione si allarga fino a comprendere anche il Mistero Pasquale: solo Dio potrà risvegliare il suo Figlio dal sonno della morte il mattino di Pasqua. Per questo Maria sembra invitare anche noi a rispettare questo sonno, i suoi tempi, i suoi momenti, perché:
e ciò che si può ricevere da lui non lo si conquista, non lo si afferra, perché è pura grazia… come la salvezza donata dal sacrificio di Cristo.
Questo tema era molto caro agli Spirituali ed allo stesso Michelangelo. Ciò che dobbiamo, quindi, risvegliare non è tanto Lui, quanto piuttosto il nostro desiderio dell’incontro con l’Amato.
4. Il sonno del bambino
Il Bambino sta con la sua testa proprio al centro del dipinto, all’incrocio degli assi verticale ed orizzontale. La sua posa riversa in grembo alla Madonna, come pure il suo sonno, vengono presentati in questo dipinto come una profezia della Pietà, per evidenziare il collegamento spirituale tra il Natale e la Pasqua, tra il Mistero della Incarnazione e il Mistero della Redenzione.
Venusti ripropone un soggetto che era sempre stato fondamentale per Michelangelo e che:
L’intonazione natalizia dell’opera, va, dunque, compresa nel quadro della raffinata rappresentazione della Passione, nel suo compiersi terreno dell’ultimo atto umano della Deposizione di Cristo dalla Croce.
Il piccolo Gesù ha un corpo robusto e forme molto ben proporzionate; nel suo dormire non è scomposto ma, anche se si avverte la pesantezza del suo sonno, resta, comunque, con una postura elegante. Quello che l’artista vuole suggerire, pur rimanendo un richiamo alla morte di Cristo, è un riposo sereno, un’evocazione del Salmo 131: «Io sono tranquillo e sereno, come un bimbo svezzato in braccio a sua madre».
5. I testi del “Corpus Hermeticum”
Oltre alle scritture, per capire questa iconografia bisogna però tenere presente anche un secondo riferimento fondamentale, che era ben conosciuto negli ambienti colti del Rinascimento.
Tra il Quattrocento ed il Cinquecento, in seguito alla riscoperta di documenti greci e latini relativi a tradizioni e miti dell’antichità, tornò di moda la figura di Arpocrate. una divinità di origine egizia, citata nel cosiddetto “Corpus Hermeticum”.
Questa raccolta di testi, redatti nell’ambiente alessandrino, raggruppava opere di natura filosofica, esoterica, alchemica ed astrologica, genericamente attribuiti ad un certo Ermete Trismegisto. Il rifarsi ideale ai classici antichi, evocava anche la ricerca di una via per giungere ad una conoscenza superiore e, tramite questa, alla perfezione spirituale ed alla salvezza.
Al tempo di Michelangelo e del Venusti si riteneva quindi che:
È interessante segnalare anche che l’immagine di Arpocrate, fu sovrapposta a quella di Horus bambino, rappresentato in braccio alla dea Iside: il suo culto, di natura solare, si era diffuso nell’Impero Romano dopo la conquista di Alessandria, insieme a quelli di Iside e Serapide e la sua iconografia ispirò quella delle Madonne col Bambino.
6. Arpocrate
Secondo la mitologia antica (ripresa da Plutarco) Arpocrate era un dio che era stato partorito nel solstizio invernale e la cui parola è divina: allora si può intuire che quel Gesù che ora vediamo dormiente, viene qui presentato come il vero nuovo sole che risorgerà il mattino di Pasqua e quale Verbo di Dio.
È dunque, questa, la seconda chiave interpretativa dell’opera, dopo quella scritturistica.
Su questo sfondo va compreso, anche, il dettaglio relativo ai piedi di Cristo, che in questa tela sono sovrapposti come nella posa del Crocifisso. Può sembrare un dettaglio secondario, ma va ricordato che nei “I Geroglifici di Horapollo”, si ritrova la precisa affermazione che i piedi congiunti del piccolo Arpocrate indicavano l’arrestarsi del corso del sole nel Solstizio d’Inverno, confermando così la tradizione mitica che collocava la sua nascita proprio in tale periodo.
Questo particolare è inserito nell’opera proprio per esaltare il simbolismo solare arpocratico, quale attributo della luce spirituale che sorge dalle tenebre, come riporta anche il Prologo di Giovanni proclamato nella liturgia natalizia.
Si tenga presente che, a loro volta, i libri ermetici ispirarono un’altra importantissima opera, che offrì spunti di ispirazione a vari artisti del Rinascimento (ad esempio Botticelli): si tratta della “Hypnerotomachia Poliphili”, edita a Venezia nel 1499 da Aldo Manuzio, considerata in assoluto tra i più bei libri della storia della stampa a motivo degli eccellenti caratteri tipografici e per le xilografie che illustrano una storia d’amore in cui si riprende l’immagine di un eroe che viene risvegliato dal suo sonno mortale con la potenza dell’amore.
7. San Giovannino e le Scritture
Alla destra di Maria, dietro le sue spalle, sta il piccolo San Giovanni Battista, facilmente riconoscibile dalla tipica veste di peli di cammello citata nei Vangeli, segno particolare della sua iconografia; ha appoggiato sul bancone una piccola croce inclinata verso Gesù Bambino. Il gesto che compie San Giovannino mentre si sporge in avanti, particolare che dà il nome all’intera composizione, era definito “Signum harpocraticum”.
Ritorna in questa denominazione il riferimento più esplicito ad Arpocrate, che nella statuaria antica veniva raffigurato proprio nell’atto di portarsi l’indice alla bocca. Più specificamente, il gesto del San Giovannino, interpreta una evidente allusione alla necessità di conservare il segreto, tipica di ogni tradizione iniziatica e connessa anche alla filosofia ermetica.
Inoltre va qui colto anche un richiamo alla Chiesa, perché non perda mai il riferimento alle Scritture (cfr. il Sola Scriptura di Lutero!).
C’è da segnalare anche una nota mariologica: in un’altra versione pittorica dello stesso soggetto, (cfr. Museo di Casa Buonarroti a Firenze) nel libro della Bibbia si legge una citazione del Cantico dei Cantici riletta già da San Bernardo proprio nella prospettiva di Maria “Nigra sum sed formosa, filia Jerusalem.
8. Dettaglio michelangiolesco
Un ulteriore elemento, è dato dall’abbigliamento del San Giovannino, che nel disegno originale di Michelangelo è costituito da una pelle ferina che egli porta sulla testa: anche questo dettaglio curioso (che venne ripreso in un’altra versione del Venusti oggi a Londra), risulta comprensibile nell’orizzonte simbolico legato ad Arpocrate, poiché già Plutarco, interpretando il “signum harpocraticum”, affermava che noi facciamo fin troppe chiacchiere insensate e fallaci sugli dei e perciò questo dio tiene un dito sulla bocca come simbolo di discrezione e silenzio.
Dunque, il gesto del San Giovannino sembra alludere al tema del cosiddetto “segreto messianico”, collegato alla Cristologia dello svelamento e del discepolato tipica del Vangelo di Marco: per capire chi è Gesù, infatti, non ci si può fermare al Natale, ma bisogna imparare a seguirlo fino a Pasqua… perché lui è sempre oltre!
Questo è il significato del “segreto messianico”, che ci esorta, non solo a contemplare e meditare, ma anche ad evitare ogni ambiguità e ogni tentazione di appropriarsi indebitamente della messianicità di Gesù fermandosi, soltanto, a letture parziali riduttive o paggio a strumentalizzazioni ideologiche della sua persona e del suo messaggio.
Il biblista Daniel Marguerat afferma che il segreto messianico:
L’invito al silenzio che fa parte anche dalla tradizione spirituale monastica (ad esempio l’Obbedienza di Giotto o il San Pietro Martire di Beato Angelico) non è, dunque, semplicemente un’esortazione moralistica a stare zitti, quanto piuttosto un “memento”, un ricordo che ogni comprensione del divino, è sempre imperfetta, incompleta, come sottolineava la teologia apofatica, per cui Dio resta sempre inconoscibile e trascendente (Palamas).
Anche Sant’Agostino nella sua Esposizione sul Salmo 99 afferma che:
Dunque, appare chiaro che il San Giovannino così rappresentato, testimonia il superamento della religione antica e tiene il dito sulla bocca, richiamandoci al silenzio, per poter ascoltare la Parola, la Voce vera, che non è più quella degli antichi oracoli pagani, ma è quella Parola che nel Figlio si fa carne (Gv 1,14): il credente, iniziato alla fede, sa che Dio parla al cuore e, pertanto, è bene osservare il silenzio nella consapevolezza che la sua Parola va accolta ed interiorizzata, così da permetterle di agire con la sua potenza creatrice di vita e salvezza.
9. Giuseppe e la clessidra
Alla sinistra di Maria sta San Giuseppe che rimane defilato e un po’ in ombra: questa sua raffigurazione meditabonda ricorda quella del profeta Geremia della Cappella Sistina.
Prima Michelangelo, e poi Venusti, con questa immagine ritornano ad esaltare il tema del silenzio, prendendo spunto dallo studio di un colto letterato esperto di filologia, Andrea Alciati, autore degli “Emblemata”. Questo trattato di araldica fu pubblicato nel 1531, ebbe un grande successo (oltre 170 edizioni!) e dal latino fu tradotto in diverse lingue. Alciati, nella sua raccolta di simboli ed allegorie, aveva delineato la personificazione del concetto di Silenzio con l’immagine di un anziano studioso con la mano sulla bocca, simbolo di prudenza e di saggezza, analogo al San Giuseppe dell’opera, conferendovi un carattere morale, non solo teologico.
La figura di Giuseppe, uomo del silenzio, che resta un passo indietro nell’ombra, è stata riproposta all’attenzione dei credenti anche da papa Francesco, nella “Patris Corde”, la lettera apostolica a lui dedicata nel 2020:
Sotto San Giuseppe è dipinta una clessidra, simbolo riconosciuto del tempo che scorre.
Questo simbolo, presente in diverse opere d’arte come Memento mori, ci ricorda che per il cristiano il tempo non è una successione inesorabile di ore, ma è, soprattutto, tempo dell’attesa e di preparazione all’incontro col Signore che viene a noi (ed in questo contesto vi è un collegamento con i piedini del Bambino).
La clessidra, genialmente inserita in questa composizione sotto l’anziano Giuseppe, ci ricorda, non solo di misurare il tempo a partire dalla prima venuta del Signore nella carne (Natale), ma ci insegna, anche, a contare con sapienza i nostri giorni all’insegna dell’attesa della sua seconda venuta nella gloria (Parusia).
Il desiderio di conoscere i tempi di Dio diventa, dunque, spazio per la vigilanza e per l’invocazione: “Vieni Signore / Maranathà”.
Ricordiamo che al tempo del dipinto, questo aspetto escatologico era sentito in modo forte e drammatico (in special modo da Michelangelo), a partire dal tragico evento del Sacco di Roma del 1527, che è stato vissuto come un segno epocale della fine del mondo.
10. Conclusioni
La profondità e la complessità di sovrapposizioni simboliche presenti in questo dipinto interpreta il duplice mistero dell’Incarnazione e della Redenzione, quel mistero che gli antichi sapienti e le sibille avevano profetizzato, quel mistero che i Padri della Chiesa, i pensatori e anche gli artisti del Rinascimento custodivano sotto il velo dei simboli.
È quel mistero che anche i poeti, come Angelo Silesius hanno cantato:
Con tutta probabilità è proprio questo il significato indicato della presenza dello stipo chiuso del cassone in basso a sinistra e, soprattutto, del grande drappo, posto dietro i personaggi, che allude alla Rivelazione divina compiuta nell’umanità del Figlio e nella sua oblazione: è il Velo del Tempio che sarà squarciato nel sacrificio di Cristo in Croce.
Si può ben dire che la Madonna del Silenzio è un’opera con cui:
L’immagine ci fa meditare e ci esorta non tanto a conservare gelosamente i segreti di Dio, quanto, piuttosto, come mirabilmente ha scritto nella sua Lettera “Sul silenzio” il Vescovo di Verona, Domenico Pompili, a:
Solo dopo aver fatto tacere i troppi rumori disordinati ed assordanti che segnano la nostra vita, accompagnati da Maria, Giuseppe ed il Battista, noi potremo accogliere la grazia del silenzio come condizione necessaria ed imprescindibile per poter ascoltare la Parola a noi rivelata e penetrare nel Nuovo Tempio che è questo Bambino.