Andrea Bellandi
Sempre la bellezza ha parlato un linguaggio significativo per la creatura umana, ma forse oggi costituisce una delle rare “porte” attraverso le quali il messaggio di un Oltre può entrare e far innalzare lo sguardo. L’universo tecnologico in cui siamo immersi, la difficoltà a dialogare su aspetti della vita che esulino dalla mera fattualità, l’invasione delle immagini “usa-e-getta” dei social e, ultimamente, la tendenza – nella comunicazione – ad amplificare quasi unicamente tutto ciò che è limite e negatività, pongono l’esigenza dell’incontro con la dimensione della bellezza assolutamente al centro della vita personale e sociale.
Tralasciando qui le complesse questioni filosofiche e teologiche che concernono la categoria del “bello” – se debba o meno considerarsi uno dei “trascendentali”, tommasianamente parlando – e sapendo altresì che, anche da un punto di vista estetico, il discorso si aprirebbe necessariamente su orizzonti ermeneutici di non immediata condivisione, mi limito semplicemente e brevemente ad indicare dove questo slancio di apertura verso l’Oltre, che il “dardo della bellezza” (per usare un’espressione ripresa più volte dal card. Ratzinger) provoca, viene da me sperimentato.
Un primo “luogo” è rappresentato dall’imponenza dello spettacolo della natura. Già la Scrittura ci invita a riconoscerla come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà: «Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore» (Sap 13,5) e «la sua eterna potenza e divinità vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute» (Rm 1,20). Papa Francesco, richiamandosi nella Laudato sì allo sguardo contemplativo di San Francesco, ci ricorda che «il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode» (n. 12) e che «prestare attenzione alla bellezza e amarla ci aiuta ad uscire dal pragmatismo utilitaristico. Quando non si impara a fermarsi ad ammirare ed apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e abuso senza scrupoli» (n. 215). Lo spettacolo di un cielo stellato, della vastità del mare, dell’imponenza delle catene montuose, della splendida varietà del regno animale è qualcosa che non può lasciare indifferenti e che, come ricorda il dettato biblico, sollecita il cuore ad un atteggiamento di stupore e gratitudine verso la misteriosa origine di tutto ciò.
Un altro “dardo” di bellezza che mi apre al riconoscimento grato di un Mistero più grande – quasi fosse un invito potente alla trascendenza – è l’incontro con i bambini e la loro apertura alla realtà. «Con la bocca di bambini e di lattanti: hai posto una difesa contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli», recita il Salmo 8; infatti – ci ammonisce Gesù – «a chi è come loro appartiene il regno di Dio» (Mc 10,14), e perciò «chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me» (Mc 9,37). Guardare la loro semplicità, cogliere il loro stupore di fronte alle cose, imparare dal loro consegnarsi fiducioso nell’abbraccio dei genitori e dal loro pianto quando essi non ci sono, provoca sempre, in me, un moto di apertura al divino, richiamandomi alla struttura originale del cuore, fatto per Dio.
Un’esperienza analoga la vivo quando mi imbatto in un gesto di libera e piena gratuità: non solo rivolto a me, ma tutte le volte che lo rintraccio nei rapporti interpersonali. È in fondo quella carità di cui parla San Paolo nella Prima Lettera ai Corinti: può concretizzarsi in un gesto di aiuto materiale (quelle opere di misericordia corporale e spirituale, che la Chiesa tradizionalmente menziona), ma può anche semplicemente trasparire in un sorriso o in un saluto agli estranei, in una preghiera rivolta a Dio per il bene di chi non conosciamo, in un moto di vera compassione o partecipazione per le sofferenze o le gioie di un’altra persona (cfr. Rom 12,5). Emerge qui, pur in espressioni e anche motivazioni diversificate, qualcosa di quella “santità” che papa Francesco definisce “della porta accanto”, «di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio» (Gaudete et exsultate, n. 7), anche quando non appartengono – o ne vivono ai margini – alla nostra Chiesa. D’altra parte, come ci insegna il Concilio Vaticano II, la santità non è altro che la carità pienamente vissuta: «Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1Gv 4,16).
Ovviamente, adesso, potrei e dovrei aggiungere altre modalità – legate particolarmente al campo artistico – in cui un raggio della bellezza spesso percuote il mio animo, sospingendolo verso l’alto. A questo proposito, non posso non ricordare un bellissimo intervento rivolto da Benedetto XVI agli Artisti il 21 novembre 2009, di cui cito solamente un passaggio: «La bellezza, da quella che si manifesta nel cosmo e nella natura a quella che si esprime attraverso le creazioni artistiche, proprio per la sua caratteristica di aprire e allargare gli orizzonti della coscienza umana, di rimandarla oltre se stessa, di affacciarla sull’abisso dell’Infinito, può diventare una via verso il Trascendente, verso il Mistero ultimo, verso Dio. L’arte, in tutte le sue espressioni, nel momento in cui si confronta con i grandi interrogativi dell’esistenza, con i temi fondamentali da cui deriva il senso del vivere, può assumere una valenza religiosa e trasformarsi in un percorso di profonda riflessione interiore e di spiritualità».
Desidero, invece, concludere con quella bellezza che, in questi anni, non finisce mai di attrarmi in modo sempre nuovo: quella che mi viene incontro nei testi del Vangelo. «Io penso che non potrei più vivere se non Lo sentissi più parlare», così scriveva Johann Adam Möhler, e anno dopo anno tale affermazione del teologo tedesco del XIX secolo la sento sempre più vera anche per la mia vita. Le parole “autorevoli” di Gesù, il suo sguardo verso tutto l’umano, i suoi gesti di accoglienza e di misericordia, il suo costante richiamo al “Padre che è nei cieli” fanno risuonare le corde più intime, vere e profonde del cuore umano: davvero Egli è il “Pastore bello”, in cui la bellezza assume un volto umano. Per questo, c’è assoluto bisogno che la sua buona notizia risuoni ancora oggi – forse ancora con maggiore urgenza – nella vita delle persone.