FerrarottiFranco Ferrarotti 

Art does something for the environment insofar as, by contemplating the artwork, it transforms man in his interiority. From the gaze on inert matter, man comes to an intellectual and moral self-awareness that makes him perceive the sense of Beyond. The artist, thanks to his art, fruit of authenticity and full autonomy, makes the self-awareness of a people grow.

L’atto artistico, nei vari campi (pittura, musica, scultura, poesia), in quanto espressione essenzialmente individuale, unica e irripetibile, pena la caduta nel manierismo o nella riproduzione meccanica, considerata da Walter Benjamin, non può proporsi, non si risolve né corrisponde a nulla di utile. Non è un’attività di servizio, neppure quando, come fa Christo, copre di tela il Central Park di New York.

L’unico, splendido, inimitabile contributo dell’atto artistico all’ambiente consiste nel far capire la necessità dell’inutile, la bellezza del superfluo, come certi paesaggi alle spalle dei ritratti di Leonardo. L’atto artistico non  serve a nulla salvo che, se lo contempli o lo ascolti, ti trasforma dentro, in interiore homine. Trasforma un’esperienza empirica, circoscritta, puramente personale, in un valore universale. Alla domanda: «Ma, allora, a che cosa serve l’atto artistico?». Si può rispondere con un’altra domanda: «A che serve un bambino?». Viviamo prigionieri di una rete di linee, segni, messaggi: a tutti e a nessuno.

L’atto artistico spezza la linea senza mutilarla. La linea, come un sentiero interrotto, resta aperta su possibilità indefinite, e quindi infinite. L’uomo non è. Diviene. L’uomo è un progetto per l’uomo. Dalla materia inerte alla vita fremente, dal fremito vitale all’autocoscienza intellettuale e morale. Creato con poca acqua e un pugno di polvere, ma a Sua immagine e somiglianza, è mosso dal senso di una deità originaria, che oscuramente lo richiama, attirante e inattingibile. L’uomo non va riferito all’Essere, come hanno tentato filosofi oracolari e saccenti (Martin Heidegger, Emanuele Severino), ma all’esistere (ex-sisto: emergo dal nulla e al nulla ritorno). È già stato detto: quia pulvis es et in pulverem reverteris. Non si pensi che, affermando la fondamentale autonomia degli artisti, si ceda qui al mito romantico e narcisista dell’arte per l’arte. In altra sede ho chiarito che l’artista è nella società (Arte nella società, Solfanelli, 1980). Non è per caso che Mozart, la cui musica viene definita da un teologo “una risata di Dio”, comincia con composizioni sacre per giungere al Flauto magico e al Don Giovanni. Lo stesso Michelangelo, di cui sono noti i rapporti talvolta tempestosi, con un papa guerriero, affresca la cappella Sistina come parlando con Dio e con se stesso, e nello stesso tempo offre al popolo dei credenti analfabeti la sua opera come i cartoni animati del racconto biblico.
Quanto più l’artista è autentico, e quindi autonomo, tanto più aiuta il crescere dell’autocoscienza di un popolo.