Andrea Dall’Asta
Esiste una critica d’arte in relazione all’arte sacra contemporanea?
Di fatto, a distanza di circa sessanta anni dal Concilio Vaticano II, non è mai stata compiuta una seria riflessione sul senso dell’immagine, non solo dal punto di vista teologico, ma anche critico. La produzione di immagini per la liturgia si situa nella quasi totalità al di fuori dei canali ufficiali dell’arte. Non stupisce dunque che manchi completamente una critica artistica che dia spunti di riflessione o criteri di orientamento in un panorama così diversificato e frammentato.
Se da un lato si avverte in ambito ecclesiale un disagio espresso da tutti in modo più o meno aperto, dall’altro ben pochi hanno il coraggio di intervenire secondo un serio approccio critico di fronte alle diverse produzioni contemporanee. Nell’assenza di un giudizio competente, tutto appare assumere lo stesso valore. Non esiste alcun dibattito serio e incisivo, su una produzione che è per lo più frutto di un irresponsabile dilettantismo e di un imbarazzante «fai da te». Il dialogo tra arte e fede diventa una sorta di manifesto portato avanti da tanti, ma pochi hanno il coraggio di assumere posizioni precise di fronte a casi concreti e attuali. Non c’è alcun tipo di analisi critica sull’infinita quantità di immagini che vengono prodotte. E anche negli spazi più importanti dal punto di vista storico religioso si assiste a «eventi» che possono lasciare interdetti per la scarsa qualità delle proposte e per la loro improvvisazione. Se dopo il Concilio Vaticano II sono state realizzate alcune esperienze significative, sia in campo artistico che in quello architettonico, per la maggior parte dei casi si è trattato di casi isolati. Se ci chiedessimo quale volto la Chiesa intende oggi darsi attraverso le immagini, probabilmente diremmo che si ha oggi la sensazione di una differenziazione di esperienze che fanno emergere dispersione e smarrimento. Nell’immaginario religioso cattolico non si richiede, d’altronde, una qualità estetico-formale che veicoli un nuovo messaggio, ma la conformità a un passato visivo «pre-moderno».
Purtroppo, per quanto riguarda l’arte liturgica – direbbe Qoelet – è come se dall’età barocca a oggi nulla fosse accaduto sotto il sole. Come se la buona notizia del Vangelo avesse già detto tutto e non riservasse alcuna novità. Dio è morto, proclama Nietzsche. Dio muore realmente nelle banalizzazioni che vengono date della sua immagine. In questo senso, l’invito di Paolo VI, rivolgendosi agli artisti: «Noi abbiamo bisogno di voi!», emerge ancora oggi in tutta la sua drammatica novità in un silente deserto.