Spiritualità del pellegrino russo *

Maciej Bielawski
Maciej Bielawski
Epiphanies by Bielawski
At the hearth of the epiphanies that reach and transform the life of the protagonist of the Tales of a Russian pilgrim there is an experience dynamic, internal and external, a centrifugal and centripetal dynamism that from despair leads to self- knowledge, to proximity to others, to a transfigured relationship with the world and union with God.
Nei primi vent’anni della sua vita lo strannik vive l’esperienza di un crescente oscuramento. Gli muoiono i genitori, i nonni, la moglie, mentre il fratello si mostra come un brigante. Il corpo dello strannik si storpia e lui si sente circondato dal buio, è paralizzato e disperato. Non sa a chi rivolgersi, non possiede né un luogo in cui rimanere né un posto a cui arrivare. Dio è assente e la sua mente muta. Impazzito, vaga senza scopo, mosso più da un automatismo cadaverico che da energia vitale. Ma entrando in una chiesa, inaspettatamente sente due parole – «pregate incessantemente» – che gli cambiano la vita. Questa è la sua prima epifania che fa di lui un ricercatore della preghiera incessante. Seguono altre epifanie, piccole e grandi, fatte dai volti delle persone incontrate, dai racconti ascoltati e dagli insegnamenti accompagnati da letture a cui si aggiungono le personali esperienze spirituali. I dodici o più anni delle sue ricerche, peregrinazioni e pratiche spirituali di cui parlano i Racconti sono costellate da un crescente numero di epifanie in cui il mondo, gli uomini e Dio gli appaiono meravigliosi.

Grazie alla preghiera incessante, lui stesso si trasforma, diventando epifania per se stesso, per gli altri, per Dio e per il mondo.
Grazie all’epifania della parola, che chiamerei logofania, lo strannik ritrova, all’inizio forse in modo inconsapevole, se stesso. Le due parole del Nuovo Testamento diventano il suo sostegno e il motivo della sua vita, e fin dal momento in cui, indifeso, viene colpito, viene anche ricreato. D’ora in poi sa chi è: uno che cerca di comprendere e di realizzare queste parole, che ricordate e giacenti nella sua mente lo dirigono verso gli altri. Non importa se le prime esperienze a proposito sono deludenti, conta il fatto che lui si approssimi alle altre persone. Persistendo in questa apertura, il protagonista ha l’esperienza di una seconda epifania, quella dell’altro, che chiamerei antropofania, tra cui prima di tutto rientra la relazione dello strannik con il suo starec.

Certamente il maestro gli insegna la preghiera incessante che gli guarisce il cuore, ma sana anche il suo relazionarsi con gli altri. Di fatto il giovane ricercatore, dopo qualche settimana della prassi orante in solitudine, esce percependo la presenza delle persone: «Di giorno, se mi succedeva d’incontrare qualcuno, tutti senza eccezione mi erano così amabili (ljubezny), quasi fossero i miei famigliari (rodnye), benché non mi occupassi di loro» (I, 44-45). Tutto ciò si lega al senso della quiete interiore, dello stare bene con se stessi e nel posto in cui si vive:

I pensieri si acquietarono da soli, e io non pensavo a nulla, se non alla preghiera, alla quale cominciai a piegare l’ascolto della mente, mentre il cuore iniziava da solo, di quando in quando, ad avvertire calore e un senso di piacere. […] La mia baracca solitaria mi appariva come un magnifico palazzo, e io non sapevo come ringraziare Dio, di aver inviato proprio a me, miserabile peccatore, un tale anziano come guida sulla via della mia salvezza. (I, 45)

In un altro passo aggiunge ancora qualche parola sui sentimenti e i pensieri che lo inondano grazie alla prassi della preghiera incessante:

cominciai anche ad avvertire nel cuore e nella mente sensazioni disparate e fuggevoli. Talvolta era come se qualcosa di piacevole ribollisse nel cuore, e in esso vi era una tale levità, libertà e consolazione, che mi trasformavo tutto ed ero invaso dall’entusiasmo. Altre volte sentivo un amore infuocato per Gesù Cristo e per tutta la creazione di Dio, oppure scorrevano da sole dolci lacrime di gratitudine per il Signore, che aveva misericordia di me, peccatore miserabile. A volte poi la mia intelligenza, prima intontita, diventava così limpida, che facilmente comprendevo e meditavo cose che in precedenza non avrei potuto nemmeno immaginare. (II, 66-67)

Insomma la disperazione si muta in ringraziamento, lo stato di diffidenza nei confronti degli altri cambia in fiducia e l’ignoranza diventa una conoscenza del tutto nuova.
La terza epifania è quella cosmica, cioè una cosmofania, descritta nel modo seguente:

Quando cominciai a pregare con il cuore, tutto ciò che mi circondava mi apparve in un aspetto meraviglioso: gli alberi, le piante, gli uccelli, l’aria, la luce, ogni cosa era come se mi dicesse che esisteva per l’uomo, testimoniava l’amore di Dio per l’uomo, e tutto pregava, tutto cantava la gloria di Dio. Allora compresi quello che la Filocalia definisce “conoscenza dei lógoi della creazione”, e vidi il modo in cui è possibile conversare con le creature di Dio. (II, 58)

In altre parole, la preghiera ristabilisce la relazione con Dio e, poiché si pratica con il cuore, fa percepire anche il mondo, che unito all’immagine orante, con Dio prega e appare meraviglioso (voschititelnyj).
Lo strannik fa una lunga strada per fuggire dal mondo, che gli appare ostile, ma grazie alla prassi della preghiera torna a sentirsi ospitato e incantato dalla sua bellezza. Questo ovviamente apre la domanda riguardo al mondo, se sia sempre stato così, e lui incapace di vederlo in tale modo, o se il mondo abbia subito qualche trasformazione. La prima opzione sembra esser la più facile da comprendere, perché suppone che la percezione del mondo dipenda solo dal cuore umano, ma la seconda è più affascinante perché suggerisce che l’opera orante non riguarda soltanto l’uomo, ma genera un impatto sul mondo. In questa seconda ipotesi il mondo esterno cambia in parallelo al cambiamento interiore dell’uomo. Anche se lo strannik non si pronuncia in proposito, tale stato di cose sarebbe più in armonia con la visione filocalica del mondo, in cui la dimensione spirituale penetra la materia e la preghiera genera un effetto sia sulla mente che nel corpo.

Riprendendo poi il discorso sulla Filocalia, bisogna aggiungere che l’espressione dello strannik, forse inserita qui dal teologo Arsenij Troepol’skij, «conoscenza dei lógoi della creazione» (vedenie sloves tvari) nel testo originale dei Racconti, è di Massimo il Confessore, che la presenta nell’originale greco come «theorìa tôn lògon tôn ònton». Sullo sfondo si stende un vasto panorama teologico che collega i pensieri (logoi) di Dio a proposito degli esseri (ta onta), pensieri che non solo sono presenti in Dio, ma risiedono anche realmente negli esseri da Lui creati. Quando l’intelletto (nous) umano coglie questi ‘logoi della creazione’ ha un’esperienza contemplativa (theoria), che da una parte riguarda il mondo visto come creato e governato da Dio, dall’altra si rapporta anche a Dio, i cui logoi sono appunto contemplati dall’uomo. Importante in tutto ciò è il nesso tra uomo, mondo e Dio. La prassi orante dello strannik possiede basi teologiche piuttosto profonde e sofisticate, d’altra parte la sua esperienza, in questo caso frammista forse con quella dell’autore dei Racconti, si ritrova con il testo filocalico.

C’è ancora un particolare legato con la cosmofania che vale la pena sottolineare e che riguarda la relazione del protagonista con la terra. Quando il giovane perse la moglie, dalla disperazione «urlava e cadeva a terra privo dei sensi». In seguito al cambiamento avvenuto in lui grazie alla prassi orante, nel lasciare il luogo che l’aveva ospitato, baciò «quel pezzo di terra». Il bacio va visto come un gesto simbolico che riassume il cambiamento avvenuto nel protagonista ed esprime il suo nuovo stato d’animo.
L’esperienza spirituale di cui parla lo strannik è una e pluriforme. Sono presenti in essa vari elementi e diverse dimensioni: corpo e spirito, Dio e cosmo, parola e persona, esteriorità e interiorità, sensazione e pensiero. Il fulcro di tutto ciò, come il perno per i raggi di una ruota, è il cuore, che da una parte è errante, perché si sposta ovunque in un movimento centrifugo, ma dall’altra, proprio perché è un cuore anche orante, non si disperde e riunisce tutto in sé in un movimento centripeto, entrando a far parte dell’unità più estesa, cosmico-divina. I Racconti non sono un trattato di mistica speculativa o metafisica, perciò non vi si trovano riflessioni su trascendenza e immanenza, su essere, ente e analogia, su tutto e nulla, così amati da altri autori spirituali di varie tradizioni. La forza e la bellezza di questo libro sta nel saper dire tutto ciò con un linguaggio narrativo, figurativo e poetico, che però non è sprovvisto di una raffinatezza intellettuale implicita, quella radicata nella mente profonda e sottile di Arsenij Troepol’skij, formatosi alla scuola dei pensatori filocalici.

Esiste in tutto ciò ancora un elemento che tinge l’intera opera e l’esperienza qui trasmessa di un colorito particolare, che è il nome di Gesù Cristo. Se la dimensione centrifuga e centripeta trova il suo fulcro nel cuore, nel suo centro giace il Nome, che non è percepito in modo impersonale, ma come rappresentazione che si fa presenza. Per questa ragione si può parlare di una cristofania, che simbolicamente riassume in sé tutte le altre epifanie sopra menzionate. Un frammento lo mette in rilievo in modo stupendo, là dove lo strannik così racconta:

La preghiera del cuore mi dava una tale dolcezza che mi sembrava che nessuno fosse più felice di me sulla terra, e non riuscivo a capire come nel regno dei cieli ci potesse essere una gioia maggiore e migliore. Non solo la sentivo nella mia anima (ne tol’ko čuvstvoval sie vnutri duši moej), ma anche al di fuori (no i naružnoe) tutto il mondo mi appariva meraviglioso (vsë predstavljalos’ mne v voschitel’nom vide), ogni cosa mi attraeva ad amare e ringraziare Dio. Uomini, alberi, piante, animali, tutto mi era famigliare, in ogni cosa vedevo impresso (na vsëm ja nachodil izobraženie) il nome di Gesù Cristo. A volte avvertivo una tale leggerezza (čustvoval takuju lëgkost’), quasi che non avessi più corpo, e non camminassi più, ma mi librassi gioiosamente nell’aria. Altre volte penetravo interamente in me stesso (vchodil ves’ sam v sebja) e vedevo (videl) con chiarezza tutta la mia vita interiore, colmo di stupore per la sapiente architettura (ustrojstvu) del corpo umano; a volte sentivo una tale gioia, che ero come fatto re, e in tali condizioni desideravo che Dio mi concedesse al più presto di morire ed effondermi in gratitudine ai suoi piedi nel mondo degli spiriti. (II, 124)

Questa pagina è l’espressione della mistica suprema raggiunta dai Racconti e una delle più belle e profonde della letteratura spirituale di tutti i tempi.