Lorella Giudici
Nell’arte del XX e XXI secolo il divino, o la sacralità o la trascendenza che dir si voglia, è stato smaterializzato, umanizzato o addirittura messo in discussione fino al limite della blasfemia, ma mai l’arte ha evitato il tema, anche nei momenti di apparente abbandono. Lo ha ben sottolineato Maurice Tuchman con la mostra che ha curato al County Museum di Los Angeles nel 1986, intitolata The Spiritual in Art Abstract Painting 1890-1985. Così, il Quadrato nero su fondo bianco di Malevič (1915) è l’erede delle icone russe (originariamente esposto dall’artista nell’angolo del soffitto, dove solitamente erano collocate le icone domestiche), gli angeli di Emilio Vedova sono il segno di una ribellione che non discute coi santi ma con l’umanità e le sculture di Ettore Spalletti sono forse quanto di più vicino c’è al colore dell’anima.
Se per secoli la Chiesa e stata la committenza privilegiata, il cambiamento delle condizioni storiche, la diversificazione del collezionismo e il differente sguardo critico al sacro e alla fede, hanno portato a un allontanamento reciproco.
Un’incrinatura che si è acutizzata nella seconda metà del secolo scorso (suppergiù quando Lucio Fontana all’interno della serie dei Concetti spaziali dipingeva tele ovoidali intitolate La fine di Dio – 1963 –, oppure quando un artista come Remo Bianco ha cominciato a seviziare corpi di santi e Madonne con le sue sadiche Trafitture), al punto che papa Paolo VI nell’omelia pronunciata in occasione della “Messa degli artisti” tenuta nella Cappella Sistina il 7 maggio 1964 ha esordito con questa frase: “Bisogna ristabilire l’amicizia tra la Chiesa e gli artisti”. Trentacinque anni dopo, un altro papa, Giovanni Paolo II, è ritornato sull’argomento, in una Lettera agli artisti datata 4 aprile 1999 (n. 6 e n. 10), nella quale, oltre a sottolineare ancora una volta una progressiva affermazione di “una forma di umanesimo caratterizzata dall’assenza di Dio e spesso dall’opposizione a lui”, causa di un diminuito interesse per i temi religiosi, riscatta il ruolo dell’arte perché e ricerca del bello che e per sua natura “appello al Mistero”. Persino quando scruta le profondità più oscure dell’anima o gli aspetti più sconvolgenti del male, “l’artista si fa in qualche modo voce dell’universale attesa di redenzione”.
Nel corso del tempo, anche per contrastare questo distacco, i Musei Vaticani sono corsi al riparo e si sono arricchiti di un folto numero di opere acquistate o donate da artisti e collezionisti, come dimostrano le mostre curate da Micol Forti, la prima a Mestre nel 2003, con le acquisizioni dal 1980 al 2003, e la seconda nella Città del Vaticano con opere che andavano da Medardo Rosso a Giacometti e da Boccioni a Ernst.1 Oggi ci sono collezioni private a tema, una delle più note e completa è quella di Carlo Cattelani, una raccolta interamente composta di opere a soggetto sacro e realizzate da artisti contemporanei di tutto il mondo. Tra loro numerosi sono gli italiani che, su richiesta del collezionista o una tantum, hanno creato un’opera a soggetto religioso: da Eliseo Mattiacci a Franco Vaccari, da Aldo Mondino a Luigi Ontani, a cui si aggiungono Leonardo Santoli, Ferdinando Greco, Federico Simonelli, Milo Sacchi, solo per fare qualche nome.
Nelle università e nelle Accademie negli ultimi decenni sono nati corsi di studio specifici, potrei citare come esempi quello dell’Accademia di Brera, magistralmente diretto da Andrea Del Guercio, o quello all’Albertina con Anna Valle, percorsi di studio che indagano il senso del sacro e le iconografie con cui si esprime.
Assodato che l’arte non ha mai abbandonato il sacro e che il sacro continua ad essere oggetto di studio (ma l’argomento è complesso e meriterebbe un approfondimento più articolato), che è un campo vivo e ricco di spunti, allora il punto è un altro: c’è qualcuno che lo affronta in chiave critica? Qualche tempo fa mi sono ritrovata a fare delle ricerche proprio su questo tema: volevo capire se nell’Italia del XX secolo si poteva parlare ancora di arte sacra. Con mia grande sorpresa mi sono ritrovata con una bibliografia davvero esigua rispetto all’ampiezza del tema, o meglio, ho raccolto molti saggi con altisonanti nomi stranieri (Kandinskij, Rouault, Van Gogh, Gauguin, Rothko, Beuys, solo per citarne alcuni), ma pochi che facessero una vera e profonda riflessione sul nostro Paese. Questo significa che l’arte sacra in Italia non ha l’attenzione dei critici?
Non credo, penso invece che non ci siano abbastanza spazi e occasioni per un dibattito specifico e continuativo. Certo esistono ancora delle mostre d’arte sacra (poche), esiste qualche spazio espositivo che se ne occupa in modo serio, nel campo editoriale è ancora viva una rivista storica, “Arte Cristiana”, che ogni due mesi dà voce alla critica, ma forse non è abbastanza. E in questa restrizione, gli interventi critici si disperdono in tanti rivoli (dentro alle biografie degli artisti, in saggi che trattano alcuni momenti storico-artistici, tra le analisi di qualche tema iconografico…) e non danno l’impressione della forza di un coro, piuttosto di spezzettati canti solitari.