Un archetipo del pellegrinaggio cristiano:
I discepoli di Emmaus e Cristo
di François Bœspflug
Traduzione di Emanuela Fogliadini
The evangelist Luke devotes great space to the theme of the journey: the journey of Jesus to the Temple of Jerusalem and the journey of the disciples of Emmaus testify to the deepest meaning of Christian existence, of life as a pilgrimage that the author makes of proposes to deepen through the comparison with some works of contemporary art.
Il Vangelo secondo San Luca, discepolo siriano di Paolo che si dice sia stato pittore e medico, tradizionalmente considerato dai cristiani il patrono di queste due corporazioni professionali, contiene racconti che sono vere e proprie perle: preziosi specchi di umanità, o se si preferisce, delle “bussole” per la spiritualità. Ci riferiamo in particolare al racconto delle due lunghe camminate, accomunate dalla rara caratteristica, nel Nuovo Testamento, di essere dei viaggi di andata e ritorno in compagnia di Cristo, e nelle quali la tradizione cristiana ha visto, a giusto titolo, dei pellegrinaggi.
Il primo pellegrinaggio si riferisce al viaggio che il dodicenne Gesù intraprese con Maria e Giuseppe da Nazareth a Gerusalemme – le due città distano non meno di cento chilometri in linea d’aria –, rispettando gli obblighi rituali della religione ebraica, quando i genitori lo persero di vista nella Città Santa. Fu cercato affannosamente per tre giorni, e infine ritrovato nel Tempio a parlare con i dottori, stupiti dalla sua penetrante vivacità1. Tornò, infine, a Nazareth con i suoi “genitori”, ai quali «era loro sottomesso» (Lc 2, 41-52), ma non senza essere passato per delle spiegazioni, sia nel Tempio che rientrati a casa2, dell’incidente accaduto, che in realtà era, nell’ottica del vangelo di Luca, un anticipo sulla missione di Gesù e sulla sua attenzione prioritaria alla volontà del Padre.
Il secondo racconto, questa volta la sera di Pasqua, narra che Cleopa (Lc 24, 18) e un discepolo anonimo3, profondamente scoraggiati dalla morte di Cristo in croce sul Golgota il giorno precedente, furono raggiunti sulla strada per Emmaus, un villaggio situato «a due ore di cammino da Gerusalemme»4, da un marciatore che non conoscevano o almeno non avevano identificato. Lo trovarono così appassionante che si dimostrarono desiderosi di continuare con lui la conversazione una volta giunti a Emmaus. Perciò insistettero affinché il loro misterioso interlocutore accettasse il loro invito a cena, cosa che fece: qui, durante il pasto, lo riconobbero finalmente nello spezzare il pane (Lc 24, 31) prima della sua misteriosa scomparsa, che li spinse a tornare immediatamente a Gerusalemme dagli Undici ancora rinchiusi nel Cenacolo, di corsa, per raccontare il loro incontro con Gesù e testimoniare così la realtà della sua risurrezione5 (Lc 24, 18-35).
Questi due racconti, certamente molto diversi, testimoniano tuttavia lo stesso talento narrativo, e soprattutto si illuminano a vicenda e contribuiscono a svelare un aspetto importante, se non addirittura il significato più profondo, della concezione propriamente cristiana dell’esistenza, globalmente parlando, che potrebbe essere, in sostanza, un pellegrinaggio verso la vita eterna, con e verso Gesù Risorto, durante il quale il credente, nel corso della sua vita, fa esperienza della vita del Risorto. Il credente, per tutta la vita-pellegrinaggio, sperimenta sia la sensazione di una presenza misteriosa sia il dovere di testimoniarla, due aspetti che sono una sorta di andata e ritorno dell’esperienza cristiana.
L’essenza del pellegrinaggio, nel senso più consueto del termine, è certamente un po’ diversa e più concreta: si tratta di una pratica religiosa molto diffusa e di un rito che consiste nel recarsi da soli o in gruppo in un luogo sacro, e che termina una volta che questo luogo è stato raggiunto e onorato come tale dal pellegrino. In altre parole, l’uso abituale del termine, e la conseguente pratica diffusa da secoli in molte religioni, lo intende come un momento particolare della vita, di durata limitata, che comporta un viaggio di andata e un ritorno, prima di tornare alla vita “normale”.
Senza tradire questo significato abituale, ci proponiamo di estenderlo, ampliarlo e superarlo, immaginando, approfondendo e facendo nostra una concezione cristiana della vita come pellegrinaggio, e più precisamente come un cammino breve o lungo o anche molto lungo, cioè per tutta la vita, verso e con Cristo, obiettivo che richiede di ascoltarlo e cercarlo con perseveranza, come fecero Maria e Giuseppe angosciati di averLo perso di vista, ed iniziare un cammino duraturo con il Cristo invisibile ma presente, che si rivela misteriosamente a noi mentre la nostra esistenza si svolge come un cammino alla sua presenza, verso la felice unione con lui nella vita eterna. Questa è, per così dire, la via del cammino spirituale.
Camminare con un compagno misterioso, quando si è scoraggiati, parlare ed ascoltare, creare con lui, senza disporre di una ricetta preconfezionata, una sorta di bolla mobile temporaneamente libera da ogni contingenza, simile a una conversazione spontanea e sfrenata, fino alle confidenze che si osa fare a se stessi e a Cristo, un sogno ad occhi aperti, in questo caso, che porta a sentirsi così sicuri con lui da volerlo trattenere: è quanto hanno vissuto la sera di Pasqua i due discepoli di Emmaus. Questo getta luce sul significato stesso del pellegrinaggio nel senso cristiano del termine, e rivela persino il senso della vita umana stessa: il parziale anonimato dei discepoli nel racconto di Luca permette a ogni cristiano di mettersi nei loro panni6. È almeno questa convinzione che saremmo felici di condividere e rendere plausibile e abitabile nelle righe che seguono, con l’aiuto di alcuni quadri che non hanno certo Luca come autore, ma che possono aiutare a fare propria l’intuizione che la vita è un pellegrinaggio verso e con il Signore.
Che l’esistenza umana possa essere paragonata non a uno stare fermi, anche se confortevole, né a un’ostinata salita di quelle interminabili e spiritualmente estenuanti scale della ricchezza e del potere, ma a una passeggiata, che implica libertà di movimento, un itinerario e una meta, tappe, momenti di sforzo e pause che permettono di respirare, è ovvio e non ha bisogno di insistenti dimostrazioni. Che questa percezione sia vera sia per un momento particolare della vita, durante il quale ci si reca in una città santa come Gerusalemme, Roma, Santiago de Compostela, Assisi, Fatima o Lourdes, sia per tutta la vita, è qualcosa di cui ognuno di noi si convince presto, anche se la meta e la concezione di essa cambiano con il passare degli anni e con il rinnovarsi dei gusti e degli obiettivi personali. Anche laddove l’idea di una destinazione geografica precisa perde progressivamente importanza, per lasciare il posto a una percezione rafforzata dell’esistenza umana come un cammino paziente più o meno lungo, percepito come troppo breve da alcuni e come interminabile da altri, durante il quale il soggetto si trasforma, fa i conti con se stesso, scopre le sue potenzialità e soprattutto ciò che gli sta a cuore, lo aiuta a resistere, gli mette addirittura le ali. Dopo essere stata una città santa, una località ritenuta vicina o lontana, la meta o meglio il senso del pellegrinaggio della vita si trasforma gradualmente in una rotta, e questa intuizione serve poi da bussola, e la vita in movimento e progresso, in pazienza e tenacia.
Camminare con altri facilita e persino provoca uno scambio, crea un inizio di vita comune, di solidarietà, come tutti i pellegrini e gli escursionisti sanno per esperienza. Camminare contribuisce a liberarsi dagli attaccamenti legati all’immobilità, alla vita quotidiana, all’essere proprietario di un immobile, all’avere un’identità riconosciuta, titoli, gradi, professione, che implicano compiti da portare a termine, e rende disponibili per un’altra forma di esperienza. Ma non si sottolinea abbastanza che l’esperienza della fatica che segue una lunga camminata insegna a ciascuno i propri limiti, lo rende modesto e attento a chi, come lui, è impegnato in una lunga “marcia”, contribuendo a creare tra loro una sorta di potenziale comunione che è nota a tutti coloro che sono abituati a camminare in montagna: “decontestualizzati”, i camminatori rompono la bolla in cui molti si chiudono, almeno all’inizio, e stabiliscono tra loro un tipo di vicinanza e di solidarietà profonda: tra pellegrini non ci si abbandona, ci si sostiene, ci si scambia idee, fino a dimenticare il tempo che passa. Ognuno di loro, proprio perché sta camminando, è come libero, almeno in parte, dai propri legami geografici, dai suoi titoli e funzioni sociali, dalle sue maschere abituali. Tra persone che sono “abituate a camminare”, a differenza di quelle che lo fanno solo brevemente per strada, si stabilisce rapidamente un contatto, si instaura una solidarietà, nasce una simpatia, è un’esperienza che abbiamo fatto molte volte.
Esistono opere d’arte sul viaggio della Sacra Famiglia a Gerusalemme o sul suo ritorno a Nazareth, ma sono rare e spesso più edificanti che dense, e quindi deludenti. D’altra parte, non mancano opere d’arte che raffigurano i Discepoli di Emmaus che camminano insieme al loro misterioso accompagnatore prima dell’arrivo alla locanda di quel villaggio e del loro sedersi a tavola con Cristo, fino allo spezzare e benedire il pane: è certamente il momento più frequentemente rappresentato di questo episodio, comprese le sue due fasi finali, la scomparsa di Cristo agli occhi dei discepoli e il loro precipitoso ritorno a Gerusalemme per raccontare agli Apostoli, riuniti nel Cenacolo, ciò che è loro accaduto.
Anche il momento preciso in cui i due pellegrini, fermi all’ingresso della locanda, pregano Cristo, che fa finta di proseguire il suo cammino, di restare con loro («Rimani con noi, perché si fa sera e il giorno sta per finire» Lc 24, 29), è qualcosa da meditare e da mettere in pratica. Pregare Cristo di stare vicino, essere pronti a invitarlo alla propria tavola: sta a ciascuno di noi immaginare come queste prospettive possano iscriversi nella nostra vita e aprirla ad esperienze meravigliose. I pochi dipinti che hanno tentato di rendere questo preciso momento della narrazione lucana sono, a nostro avviso, un invito all’inventiva, all’audacia, a una certa insistenza mistica carica di speranza. Pensiamo in particolare al dipinto di Luigi Filocamo, Resta con noi, si fa tardi, olio su tela di 70 x 50 cm, realizzato intorno al 19607 (Fig. 1).
Per essere più precisi e più completi, aggiungiamo che il racconto di Luca dei discepoli di Emmaus e del loro incontro con Cristo comprende almeno una mezza dozzina di tappe, sette se contiamo la scomparsa di Cristo come una di esse, otto se si aggiunge il ritorno dei due discepoli presso gli Undici e i loro discepoli a Gerusalemme, e nove con una rara scena che mostra la gioia che essi crearono nel cenacolo con l’annuncio del loro incontro con il Risorto8, quest’ultima scena fu raffigurata da una suora canadese, Evelyne Breault, nel 19889 (Fig. 2).
Per tornare a questa successione di tappe, va notato che pochi artisti le hanno trattate tutte, insieme o separatamente. Tuttavia, molti di loro si sono assunti il compito, se non di rappresentare l’episodio nella sua interezza, almeno di evocarne l’inizio, la fine e il cuore, ad esempio attraverso una serie che comprende il viaggio di andata, il pasto e il ritorno precipitoso dei due discepoli da Emmaus agli apostoli, come nel trittico di un’artista del Quebec, Anne-Marie Forest, dipinto nel 202110 (Fig. 3).
La scena più spesso trattata dagli artisti è senza dubbio il pasto alla locanda di Emmaus, con Cristo al centro, affiancato dai due discepoli, come un sacerdote sull’altare. La stragrande maggioranza delle opere d’arte sul tema di questa storia non raffigura le prime due tappe, cioè quella dei due discepoli che camminano da soli verso Emmaus, e poi il cammino con Cristo una volta che questi li ha raggiunti. Ciononostante, una minoranza di artisti ha trattato con cura questa marcia la sera di Pasqua: una parte di essi raffigura i tre “pellegrini” di spalle, altri li mostrano di fronte, con il pittore che si posiziona mentalmente a volte immaginando di camminare dietro di loro e a volte camminando in un certo senso all’indietro, al fine di raffigurarli mentre parlano tra loro, ascoltando attentamente quanto si dissero in quel momento. Ognuna di queste due presentazioni è in grado di ispirare riflessioni rilevanti in coloro che contemplano queste opere.
Alcune di queste rappresentazioni artistiche del cammino verso Emmaus ci sembrano particolarmente suggestive, in particolare quelle che mostrano i tre di spalle, che a nostro avviso costituiscono un messaggio silenzioso e un invito rivolto senza parole al conscio o all’inconscio degli spettatori, di avvicinarsi a questi tre pellegrini, ascoltare ciò che dicono o, più radicalmente, seguirli imitandoli, per avere a loro volta la possibilità di seguire e accompagnare Cristo e lasciarsi istruire da lui lungo il cammino, fino alla gioia di poter dire: «Allora i loro occhi furono aperti e lo riconobbero» (Lc 24, 31).
Tra i dipinti che hanno ispirato le righe precedenti, citiamo innanzitutto quello di Fritz von Uhde, del 1891 (Fig. 4), che ha saputo trasportare l’episodio in un paesaggio europeo così banale, o così familiare, che qualsiasi spettatore di questo continente può sentire il desiderio di mettersi in viaggio11, nella speranza di essere raggiunto lungo il percorso dalla presenza dell’invisibile Risorto.
Ma un’esperienza del genere si può dire e vivere anche in altri continenti. Lo dimostra il dipinto di He Qi, un sopravvissuto alle carceri di Mao Tse Tung che, un secolo dopo von Uhde, nel 1998, e certamente in un contesto completamente diverso, inventa una camminata verso Emmaus molto più colorata ma altrettanto misteriosa (Fig. 5), che invita lo spettatore, cinese o meno, a seguire i due pellegrini, con le braccia aperte di Cristo e le sue mani strette dietro le spalle dei due discepoli: la prospettiva di sentire la sua presenza invisibile, come una mano sulle spalle, è eloquente ed incoraggiante…
Arcabas, nome d’arte di Jean-Marie Pirot (1926-2018), ha trascorso decenni intorno alla storia dei Pellegrini di Emmaus12, realizzando, tra l’altro, nel 1993-1994, una serie di sette dipinti per la Cappella della Resurrezione nella Chiesa di Torre de’ Roveri, vicino a Bergamo, di cui il primo, qui riprodotto (Fig. 6), mostra i due pellegrini che camminano insieme, con il Risorto che li ascolta. Nessuno dei due guarda Cristo e ognuno sembra immerso nel mistero di se stesso e nella faticosa espressione dei propri sentimenti. Il pittore è riuscito a trasmettere senza parole come il cammino verso Emmaus sia stato l’occasione per i due discepoli di prendere coscienza delle loro speranze deluse e della loro insondabile tristezza dopo la morte di Cristo sulla croce. Sono visibilmente assorti nell’esprimere il proprio vissuto, ben lontani dall’immaginare che colui di cui lamentano l’improvvisa e definitiva eliminazione sia in piedi in mezzo a loro.
L’aspetto di “ritorno” della vita umana come esperienza di cammino in compagnia di Cristo e come pellegrinaggio – l’abbiamo suggerito sopra – è quello che porta il cristiano a testimoniare, ex abundantia cordis, per una gioia traboccante, la presenza preziosa di Cristo nel profondo dell’esistenza umana, fino a “tornare al galoppo” dal proprio prossimo per raccontare tale esperienza con gioia e forza, come fecero i due discepoli agli Undici rinchiusi nel cenacolo. È l’altra faccia della medaglia: quella della confessione della fede, della condivisione dell’esperienza dell’incontro con il Risorto, dell’annuncio del Vangelo. Per la maggior parte di noi, questo aspetto della vita di fede è inseparabile dal primo, ossia il “viaggio di andata” del pellegrinaggio dell’esperienza credente. Può darsi che alcuni privilegiati tra gli esseri umani ricevano la grazia di una fede innata, esente dal dover camminare per giorni, anni, decenni, passare attraverso mille e una esperienza e/o prove, prima di quella sorta di illuminazione simboleggiata dall’arrivo a Emmaus e dal sedersi e condividere l’Eucaristia. Ma per la maggior parte, vi è una lunga attesa preliminare, o contemporaneamente, un lavoro tenace e attento su se stessi prima di essere visitati e illuminati, fino a trasformarsi in testimoni sereni e convinti dell’incontro con il Risorto.
È proprio verso queste misteriose ed inesauribili andata e ritorno che punta il racconto dei discepoli di Emmaus nel Vangelo di Luca: è come una parabola dell’esperienza di fede stretta a quella della vita attenta e alla cascata di domande, prove ed enigmi che l’esistenza comporta…
Note
2. Uno dei dipinti più audaci e toccanti di questa spiegazione, in cui Maria è seduta, quindi molto probabilmente a casa, è un piccolo quadro (49,5 x 35,1 cm) di Simone Martini, giustamente intitolato da alcuni storici dell’arte Ritorno di Gesù a Betlemme dopo la disputa con i Dottori, conservato alla Walker Art Gallery di Liverpool.
3. Nel Medioevo, alcune opere d’arte che rappresentano questo episodio, come il Codice Egbert, indicano Cleopa e Luca come i due discepoli.
4. La distanza tra Gerusalemme ed Emmaus, secondo svariati studiosi, è di “170 stadi”. La distanza tra Gerusalemme e l’attuale città di Emmaus-Nikopolis, nei pressi dell’Abbazia di Latroun, è di 30 chilometri (il Patriarcato latino di Gerusalemme organizza un pellegrinaggio intitolato Sulle orme dei discepoli di Emmaus, ovvero 30 chilometri per incontrare Cristo). Altri studiosi ritengono invece che l’Emmaus del racconto lucano coincida con la città di Abu Gosh, situata a 8 km da Gerusalemme.
5. François Bœspflug, Emanuela Fogliadini, La Resurrezione di Cristo nell’arte d’Oriente e d’Occidente, Jaca Book, Milano 2019; François Bœspflug, Il giorno di Pasqua nell’arte. Gli incontri del Risorto, Jaca Book, Milano 2021.
6. E quanto sottolinea, a nostro giudizio a giusto titolo, Bruno Maggioni, Il racconto di Luca, Cittadella Editrice, Assisi 20226, p. 394-397 (sp. p. 395).
7. Cecilia De Carli, Collezione Arte e Spiritualità Brescia, Catalogo Generale. La Pittura, Edizioni Studium, Roma 2006, fig. 403 p. 191.
8. Ecco un elenco delle tappe, che tengono conto del testo evangelico e della creatività dei pittori, della storia dei Discepoli di Emmaus: 1/ I due discepoli in cammino, da soli; 2/ I due discepoli raggiunti da Cristo, il momento del loro incontro; 3/ I due discepoli e Cristo che camminano insieme; 4/ I due discepoli e Cristo che arrivano ad Emmaus, si fermano davanti alla locanda e cercano di convincere Cristo, che finge di proseguire il cammino, ad entrare a cena con loro; 5/ I due discepoli e Cristo a tavola; 6/ Cristo che spezza il pane e/o benedice il vino, provocando lo stupore abbagliato dei due discepoli; 7/ La scomparsa di Cristo; 8/ Il ritorno precipitoso dei due discepoli a Gerusalemme; 9/ La gioia nel Cenacolo.
9. Évelyne Breault, 1988, Suore di Notre-Dame-du-Bon-Conseil, Chicoutimi, Canada. Questa suora, artista di pittura, scultura e ceramica, è morta nel 2014 all’età di 100 anni. L’opera qui proposta fa parte di una serie di tre lavori su Emmaus. È abbastanza rara in quanto mostra il finale della storia, a Gerusalemme (v. 33-35), dal quale emerge un’atmosfera gioiosa.
10. Quest’artista francese vive in Québec da quarant’anni. Ha studiato arte presso la Scuola di Belle Arti di Lione e Parigi. Formatasi in teologia presso l’Istituto Domenicano di Pastorale di Montreal, segue la spiritualità di Sant’Ignazio di Loyola. Ha lavorato come illustratrice per diversi anni. Ha dipinto murales nella scuola di Sant’Antonio a Pierrefonds, nelle chiese di Saint-Émile, Sainte-Bibiane e Saint-Esprit a Rosemont, a Montreal. Dal 2000 offre un servizio di educazione alla fede ed evangelizzazione attraverso le arti e, dal 2010, è impegnata con diverse comunità in aree remote e territori aborigeni. È membro di Racef, la rete di Educazione all’Arte e alla Fede cristiana. Sembra che uno dei due discepoli di Emmaus sia qui rappresentato come una donna.
11. Un quadro molto vicino sia per il paesaggio che per la data d’esecuzione (1896) è quello di Martha Cunz, un’artista svizzera (1876-1961), olio su tela, 119 x 157,5 cm.
12. François Bœspflug, Arcabas. Les Pèlerins d’Emmaüs, préface de l’Abbé Pierre, Le Tricorne, Ginevra 20042; Id., Les Pèlerins d’Emmaüs dans l’œuvre d’Arcabas et dans l’histoire de l’art, préface de l’Abbé Pierre, éd. Scriptoria et éd. du Tricorne, Lione/Ginevra 2011; Id., «Les paysages autour de Jésus et des disciples en marche vers Emmaüs», in Le cèdre et le papyrus. Paysages de la Bible, Sagep Editori, Genova 2020, p. 44-49.