Incursioni nell’iconografia dei Pellegrini e dei Folli per Cristo nell’arte di Mikhail Vasilʹevič Nesterov

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Alessia Brombin

Pellegrini e folli per cristo nella tradizione russa

Gli jurodivye, i folli in Cristo (o santi idioti) in russo, sono parte integrante della tradizione orientale del cristianesimo; essi intraprendono innanzitutto un itinerario di rinuncia ispirato a Gesù, il quale abbandonò la sua condizione divina per condurre una vita semplice. Lo jurodivyj (il folle) spesso assimilato allo strannik, ossia un vagabondo mosso da profonde motivazioni di fede e sociali, che desidera il ritornare alle radici autentiche del Cristianesimo.

Eppure, questi è solo in parte assimilabile alle figure del pellegrino e del viandante in occidente. L’etimologia del termine stranničestvo (vagabondaggio) è composta dalle parole strannyj, che significa «bizzarro, singolare e strano», e čest, che allude all’onore e alla verginità. Secondo quest’accezione il carattere proprio di questa declinazione particolare di peregrinazione, quale eredità della cultura religiosa bizantina, è molto vicina alla condizione dello straniero. Lo strannik è infatti slegato dai consueti legami familiari, si potrebbe dire che è il figlio di nessuno, il fratello di nessuno, il padre di nessuno, un senza fissa dimora, un vagabondo e molto spesso anche un esule. Solitamente non si configura come un eremita, ma trascorre la sua vita stabilmente in compagnia degli uomini, eppure rimane in qualche modo a loro estraneo, alla stregua di un esiliato che si auto pone ai margini della società civile, tuttavia è al contempo in mezzo al mondo ma non ne fa parte1.

Il folle è libero, uno straniero. La parola slava ecclesiastica stran’nikъ corrisponde al greco xénos (ξένος) e significa primariamente «straniero». In questo senso, lo strannik, nel suo continuo spostarsi da un luogo all’altro, conduce una vita di estraneità rispetto alle consuetudini umane, perché si allontana dal mondo cercando la “patria celeste” (Eb 11,16). Di conseguenza, il termine strannik condensa in sé sia uno stato di estraneità (l’antica ξενιτεία, xeniteía, 1Pt 2,11), sia la figura del pellegrino e del mendicante motivato sul piano religioso. Si configura come lo “straniero nel mondo”, in totale assenza di legami spaziali e sociali, preferisce una forma di vagabondaggio religioso e di fuga, questa è l’essenza che ha in comune con un’altra figura: lo jurodivyj. Come lo jurodivyj, lo strannik è uno “strano individuo”, viene considerato pio e santo dal popolo, ma è di frequente ritenuto un fannullone dalle autorità ecclesiastiche e statali, poiché vaga come un mendicante e si sostiene elemosinando. Lo strannik assume spesso le caratteristiche dello jurodivyj, per tale ragione è difficile distinguerli nettamente.

Se consideriamo il loro l’abbigliamento possiamo osservare che li accomunano gli abiti semplici, talvolta laceri, di sovente portano con sé un bastone da pellegrino, talvolta indossano delle catene di cilicio da penitenza (вериги, verigí). Inoltre, numerosi asceti in passato furono chiamati sia jurodivyj che strannik. Però, non ogni strannik è anche un jurodivyj: si parla di jurodivyj quando il comportamento, o lo stile di vita, raggiungono un grado più alto di stranezza, o vengono percepiti dal popolo come dei folli a motivo del loro atteggiamento scandaloso e provocante. A differenza dello strannik comune, lo jurodivyj è caratterizzato da una forte accentuazione carismatica, poiché in molti casi gli sono attribuiti i doni dello Spirito come la profezia e il discernimento, sino a giungere ad atti di vero e proprio esorcismo. Mentre lo strannik vaga incessantemente per paesi e monasteri, lo jurodivyj tende a sostare temporaneamente in città, vi è una certa sedentarietà; il suo luogo privilegiato è il villaggio, desidera vagare tra la gente, nei pressi del sagrato delle chiese e nei mercati, luoghi dove si affolla la maggior parte della popolazione.

La rappresentazione artistica di Mikhail Vasilʹevič Nesterov

A partire dal XVI secolo in Russia si assiste a un progressivo aumento di queste figure emblematiche, nei secoli successivi l’idea della “santa follia” è ricongiunta a quella del pellegrino itinerante e si sviluppa pienamente trovando posto nella letteratura soprattutto nei Racconti di un pellegrino russo, in Puškin nel Boris Godunov (1831), in Dostoevskij, che descrive magistralmente lo stranničestvo interpretato da Maksìm Ivànoviè ne L’Adolescente (1875), e prima ancora nel principe Myškin dell’Idiota (1869), nonché ne Il sogno di un uomo ridicolo (1877)2.

Il secolo in cui operarono questi eminenti scrittori diede i natali al pittore Mikhail Vasilʹevi Nesterov (1862-1942), che studiò alla Scuola di pittura, scultura e architettura di Mosca con I.M. Prjanišnikov, A.K. Savrasov e V.G. Perov (1876-1880, 1884-1886), ed all’Accademia delle arti con P.P. Čistjakov (1881-1884). La sua arte riflette la ricerca spirituale del popolo della Russia pre-rivoluzionaria, il pathos degli artisti della cultura socialista e la bellezza della natura russa. Egli stesso fu uno strenuo viaggiatore, visitò l’Italia, l’Austria, la Francia, la Germania, la Grecia e la Turchia. A metà degli anni Novanta dell’Ottocento attraversò le antiche città russe sino a giungere nel 1905 lungo il Volga. Fu l’autore di alcuni dipinti nella cattedrale di Vladimir a Kiev (1890-1895), nella chiesa di Alexander Nevsky ad Abastuman in Georgia (1902-1904), nel convento femminile Marfo-Mariinsky a Mosca (1910-1912); inoltre ideò gli schizzi per i mosaici della cattedrale della Resurrezione a San Pietroburgo (1894)3. Dopo il completamento della cattedrale di Vladimir, divenne un pittore di immagini religiose molto stimato. In questo periodo iniziò a elaborare l’idea di una pittura onnicomprensiva che riunisse tutte le sue esperienze e la sua comprensione del mondo russo. Nesterov concretizzò questo concetto nella trilogia: Il Cristo e la Santa Russia (Святая Русь, Galleria Nazionale Tretyakov di Mosca, 1901-1905)4, La Via verso Cristo (Путь ко Христу, 1908-1911, Convento di Marfo-Mariinsky a Mosca) e In Russia. L’anima del popolo (На Руси. Душа народа, Galleria Nazionale Tretyakov di Mosca, 1914-1916).

Alla fine del 1901, aveva iniziato a lavorare su un’opera di ampio respiro intitolata Il Cristo e la Santa Russia. Poco prima, si era recato nella parte settentrionale del paese, visitando Solovki, dove realizzò una serie di studi preparatori. Il maestro impiegò circa quattro anni a completare l’opera, finendola solo nel 1905.

Cristo
Il Cristo e la Santa Russia

Il paesaggio è invernale, nella parte sinistra si staglia Cristo, avvolto in abiti luminosi, accanto a lui Sergio di Radonež, Nicola il Taumaturgo e San Giorgio, i santi più venerati della Rus’. Natalino Valentini a proposito di questa rappresentazione affermò che:

«Nel Il Cristo e la Santa Russia, prorompe la luminosa figura del Cristo circondata da mendicanti, sofferenti, storpi, infermi e piccoli di questo mondo in un atteggiamento naturale di contemplazione mistica, compassione, invocazione e lode. Invocazione e perdono, pietà e misericordia sono i sentimenti più radicati e diffusi in questa tradizione di fronte all’enigma della sofferenza»5.

La radice biblica di questa rappresentazione sono le parole messe in bocca a Cristo dall’evangelista Matteo: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28).
Nesterov tentò di esprime l’idea di un ritorno a Cristo da parte di coloro che soffrono e sono nell’indigenza, questi sono i giovani e gli anziani raffigurati nel dipinto che raggiungono il monastero posto sullo sfondo in alto a sinistra, essi sono come sperduti in una remota valle boscosa, ognuno con la propria sventura. Il paesaggio si ritiene influenzato alla natura delle isole dell’arcipelago di Solovki. I pellegrini convenuti davanti a Cristo sono gli eroi preferiti di Nesterov, i vagabondi, i monaci, i vecchi anziani credenti, le ragazze e bambini, tutti furono ritratti dal vero o autenticamente ispirati a personaggi che aveva incontrato nei suoi viaggi.

Tuttavia, il risultato fu un’opera che appare forzata e contraddittoria, non solo a livello contenutistico, ma anche nella sua realizzazione iconografica, poiché l’estetica fatica a intrecciarsi con la spiritualità. Il dipinto è, per così dire, diviso in due metà fievolmente connesse. Nella parte destra vi sono anziani, donne e bambini, tra la folla si scorge proprio un pellegrino e un folle. A sinistra collocò i santi e la figura ieratica di Cristo. Quest’ultimo non fu però al centro delle sue attenzioni, perché la seconda parte del titolo è quella più esplicativa, ossia allude alle “Santa Russia”, che assunse il ruolo predominante, si trattò di raffigurare misticamente l’unità indistinta del popolo russo alla ricerca di Dio.

Nesterov non fu soddisfatto del risultato ottenuto. A questo dipinto seguì l’affresco per il convento di Santa Marta e Maria di Mosca (Marfo-Mariinsky, 1910-1912). La principale decorazione della chiesa, secondo il progetto originale, doveva essere l’affresco La Via verso Cristo (Путь ко Христу). Con rinnovato entusiasmo l’artista dipinse il refettorio, ma presto si spense a causa di errate procedure nella preparazione dei materiali che compromisero la prima realizzazione. Stanco, Nesterov dovette ricominciare da capo.

Via
La Via verso Cristo

Nesterov tentò una nuova variazione sul tema della ricerca di Dio, basandosi ancora sul passaggio di Matteo 11,28, cui integrò i versi successivi: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero»(Mt 29-30). Inoltre, si possono intravvedere nelle pennellate le parole del Vangelo di Giovanni:«Una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi (Gv 6,2) […] Colui che viene a me, non lo respingerò, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6,37-38).

Lo spettatore ha una visione dell’infinito paesaggio russo che pacifica l’anima, viene posto davanti a un fiume maestoso, dove scorrono placide acque in cui si riflettono i primi raggi dell’alba. Intorno al corso d’acqua i campi, i boschi cedui e prati punteggiati di primule. Sull’alta collina a destra, che si erge sullo sfondo, le suore del convento si avvicinano alla figura di Cristo, ritratto come se stessero ricevendo una visione, alle loro spalle la gente comune, persone di ogni età, sesso ed estrazione: uomini, donne e bambini, impiegati, studenti, malati, mendicanti, vagabondi e contadini. Tutti protesi verso Cristo, come a dare seguito all’anelito di fede che li animava e per trovare consolazione in lui.

In questa raffigurazione emerge la cifra contraddistintiva di questa serie di dipinti: il pellegrinaggio a Dio.
A differenza de Il Cristo e la Santa Russia, non vi sono né monasteri, né santi, Cristo compare sulla scena provenendo dalla radura tra le betulle, avvolto da una foschia verde e bianca, segno della primavera incipiente, dalle bianche tuniche, piene di grazia e mestizia, tende la mano sinistra verso una ragazza dai capelli scoperti che si protende verso di lui, e porge l’altra per aiutare una donna dal capo velato. Quest’opera conservò un grande significato per l’artista, ma non di rado venne criticato lo stile impresso, poiché si allontanava dai canoni ortodossi avvicinandosi sempre più a quelli moderni.

Nesterov ampliò ulteriormente la cerchia dei “cercatori di verità” in una delle sue opere principali In Russia. L’anima del popolo (На Руси. Душа народа, 1914-1916), un dipinto di grande formato (206×484), che si fondava sugli studi compiuti nel corso di un decennio. In Russia. L’anima del popolo, portata a termine poco prima della Rivoluzione russa del 1917, rappresenta una sorta di conclusione alla trilogia. L’artista decise consapevolmente di non includere tra i figuranti della processione Cristo, che sembra essere appena passato uscendo fuori dal campo visivo; ma riprodusse una sua icona concentrandosi per questo nel trasporre in immagini i differenti itinerari verso Dio percorsi dai russi alla ricerca della verità e della loro fede perduta. Un tale approccio ben si accordava alle coeve tendenze mistico-religiose protese a comprendere la verità di Dio.

Anima
In Russia l’anima del popolo

È l’inizio dell’autunno, la visione si apre sulle distese dell’alta sponda del Volga. Il cupo paesaggio autunnale della riva sinistra, che Nesterov considerava lo spirito essenziale del paesaggio naturale russo, incarna un’idea di Russia che segue i tradizionali stilemi della fine del XIX secolo. Una processione religiosa scende dalla collina dirigendosi lentamente verso il suo polo attrattivo collocato fuori dalla cornice compositiva, quest’ultima è costruita in modo tale che il confine della processione sia a perdita d’occhio. Vi sono i rappresentanti di tutte le classi della società, dai tempi più antichi sino a quelli moderni. Tra gli astanti sono visibili le figure dell’Intelligencija russa: Tolstoj, Dostoevskij e il filosofo Vladimir Sergeevič Solov’ëv. Alla testa della processione un’icona dell’acheropita consunta dal tempo, alla sua sinistra, un prete ortodosso in paramenti sacri e un monaco. A destra, in abito monastico nero, la madre dell’artista raffigurata prima della sua morte. A sinistra nei pressi della riva, contornato da due donne e un uomo attoniti, il folle per Cristo che profetizza qualcosa di terribile gesticolando, prevede un tempo di grandi cambiamenti. Nesterov mise a capo dell’immensa folla, assieme al pellegrino mendicante, un giovane puro, che sarebbe entrato per primo nel Regno dei Cieli, perché era l’unico tra tutti in grado di vedere Dio oltre i confini del dipinto. Il bambino è il fulcro di tutta questa composizione multiforme. La sua immagine fu resa dal maestro sul modello del figlio Aleksej, destinato a diventare l’incarnazione compiuta dell’anima del popolo. La moltitudine simboleggia coloro vivevano e vivono nella Rus’ riuniti attorno all’antico santuario – Cristo – in una processione popolare convenuta solennemente e intrisa di afflato mistico, come se le anime di tutto il popolo russo, presenti e passate, si fossero unite in un’unica essenza spirituale, l’anima ortodossa del popolo: «Perché il Signore non respinge il suo popolo, la sua eredità non la può abbandonare » (Sal 93,14).

Epilogo

Ognuna di queste opere corrisponde a un momento di difficoltà per il paese o l’anticipava, perché Nesterov tentò di mostrare con la sua arte una via d’uscita dalle situazioni difficili, con soluzioni che non implicavano dei violenti moti di sangue, ma si appellavano alla luce della verità cristiana, alla fede in Dio e all’unità del popolo. Seppur non fosse un grande iconografo, lo si può reputare un artista intimista, attirato dai tratti più insondabili dell’animo umano che riproduceva nei soggetti delle sue opere. Si curò di promuovere negli spettatori la fede. Nell’opera di Mikhail Vasilʹevič Nesterov, il pellegrino e il folle per Cristo assumono una dimensione metafisica, trasponendo l’esperienza terrena sul piano delle ricerca spirituale. Attraverso la sua pittura, l’artista ci conduce lungo un cammino di rinuncia e contemplazione, in cui le figure dei pellegrini e dei folli divengono simboli vividi della tensione umana verso la trascendenza. L’arte di Nesterov si eleva a una dimensione altra dove pellegrino diventa il protagonista dell’itinerario mistico verso la conoscenza di sé e di Dio. Attraverso le sue opere invita a unirsi al popolo in questo viaggio interiore abbracciando la propria follia per Cristo.


NOTE

1. K. Ware, The Inner Kingdom, vol. I, St Vladimir S Seminary Press, Crestwood (NY) 2000, 154.
2. C. Münch, In Christo närrisches Russland Zur Deutung und Bedeutung des ›jurodstvo‹ im kulturellen und sozialen Kontext des Zarenreiches, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2017, 200-203.
3. A. Rusakova, Mikhail Nesterov (1862-1942), Aurora Art Publishers, Leningrad 1990, 1-15.
4. I restauri dell’opera sono stati effettuati nel 2019, a questo link il reportage fotografico (Fonte: https://restoration.rusmuseum.ru/rest-nesterov-rus-svataya-russ(2).htm, consultato il 9 maggio 2024).
5. N. Valentini, Volti dell’anima russa. Identità culturale e spirituale del cristianesimo slavo-ortodosso, Paoline, Milano 2012, 333.