Hegel nel diciannovesimo secolo ci avvertiva che nessuno si inginocchiava più davanti all’immagine della Madonna, cogliendo così un mutamento destinato a essere palese negli anni a venire. L’arrivo a Dresda della Madonna Sistina di Raffaello, acquistata da Augusto III di Polonia a metà del XVIII secolo, produsse perciò un acceso dibattito sull’arte da parte di letterati, filosofi, religiosi, artisti.
La discussione, in realtà assai in anticipo rispetto ai tempi, ruotava sulla domanda se fosse ancora un dipinto religioso o semplicemente un’opera d’arte. E se dovesse stare in un luogo sacro o in un museo. Al dibattito, nel corso del tempo, ha partecipato il meglio degli umanisti dell’epoca, ma in generale è stato uno spartiacque sul senso dell’arte: da Winckelmann a Wagner, da Schlehel alla moglie Carolina. Tutti questi parteggiavano per una Madonna che esprime sacralità e spiritualità; Nietzsche, suggeriva invece carnalità e lussuria.
Un dibattito prolungato che sottolineava quanto l’idea dell’arte moderna e contemporanea passasse attraverso il come, il quando e il perché, qualcosa sia un’opera d’arte? La Madonna, con la Crocifissione e l’ultima cena, è uno dei temi religiosi più rappresentati ancora oggi. Sono argomenti sui quali, fin dagli inizi, ruota la disputa sulla necessità e modalità della loro rappresentabilità, che li fa essere oltre una questione religiosa, anche di segno e segni d’arte.
Ciò di cui discutiamo oggi in realtà è stato deciso e ha le radici in un Concilio ecumenico, il secondo di Nicea, nel quale furono poste le basi per tutta la storia dell’arte universale successiva.
La discussione verteva sulla possibilità della rappresentazione del sacro, soprattutto del corpo di Cristo, su cui il cristianesimo si divise tra due anime, rispondenti a due diverse concezioni dell’arte.
Una preferiva una sorta d’inerzia iconografica, mentre l’altra optò per una iconografia in divenire. Per i primi l’opera icona non è considerata frutto dell’artista ma di Dio o dei padri della Chiesa; mentre per gli altri è manufatto del pittore che la esegue. Due distinti modi di vedere che ora ritroviamo negli ortodossi, il primo; nei cattolici, il secondo.
Come è evidente queste discussioni mi appassionano, ma non è tanto l’arte a colpirmi o non solo, ma la curiosità dell’apprendere. Ho letto molto, ho viaggiato leggendo da fermo nel mio letto o nel salotto di casa o dove capitava: nei luoghi più impensati.
«Il mondo è un libro, e chi non viaggia legge solo una pagina» scriveva Agostino d’Ippona. Tanto ho letto che a un certo punto sono salito su un treno e sono andato a Dresda. La città che ospita il capolavoro del Raffaello. E arrivando ho scoperto che la Madonna è conservata nella Gemäldegalerie, un museo. Avevo ottenuto la prima risposta.
Poi è arrivata subito dopo la seconda. La «maraviglia» donata dalla visione del quadro era accresciuta dal viaggio mentale che avevo compiuto per anni soffermandomi a leggere tutto ciò che lo riguardava e le controversie che lo avevano accompagnato.
Ecco, non so se la dissertazione è stata noiosa oltre che lunga, ma per me il viaggio in definitiva è proprio questo. «Se il dolore e la noia dominano l’esistenza – spiegava Giacomo Leopardi nelle Operette Morali – c’è pure in essa l’anelito alla felicità, a una pienezza dell’essere, che la ragione scopre illusoria, ma tuttavia ineliminabile. Ben vengano la navigazione, il balzo nel buio e nell’ignoto; quel rischio che solo ci può dare l’illusione di ricominciare la nostra vita in uno slancio costruttivo, facendoci per un attimo scordare la consapevolezza del nulla in cui siamo immersi». Cioè il viaggio è viaggio di scoperta, impresa temeraria alla conquista dell’ignoto: tanto lontano dai propri lidi, tanto alzando gli occhi ai tetti delle case della propria città, tanto comodamente seduti sul divano del salotto.
E’ anche viaggio alla ricerca di un semplice quadro conservato in un museo o in una chiesa; o di un tesoro inabissato in mare; o di un’isola misteriosa al centro della terra. Ma anche il sapore di una granita siciliana con brioche a Noto; o il pizzicorio di un Ouzo greco sul palato; o infine, ma solo per motivi tipografici, la vista di una donna bella a spasso per strada e il desiderio istintivo di alzarsi per rivolgerle la parola.
Scoperta, scoperta scoperta. In definitiva «Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza», ci diceva il sommo Poeta. Fatti, non siamo! Buon viaggio, viaggi…