In the journey it is possible to find a conjunction between art(s)and theology(s); both, in fact, from the beginning they expressed themselves in the language proper to the journey, like a walk, a wandering. Through images, symbols, concepts the arts and theologies are the expression of the Church’s Way, witness to the presence and continuous search for the mystery of the Risen.
Il viaggio: una riflessione tra arte e teologia
I primi seguaci di Gesù vengono chiamati anche i discepoli della via (At 9,2). Il concetto di via indica la via della fede, dell’incertezza, della precarietà, del viaggio. Le prime esperienze delle comunità cristiane menzionano il fattore della “strada”, come “proto-struttura”, ossia una forma che rende riconoscibile la loro nuova identità; una identità non statica ma dinamica, in fieri.
La stessa vita sembra essere un viaggio per l’uomo.
L’uomo percorre la storia, avanzando in una definitività già data, ma che tuttavia continua a darsi in modo sempre nuovo: ciò spiega in che modo il chrónos sia possibilità di kairós.
La via per la Chiesa è Cristo e la fede è un viaggio; un viaggio entusiasmante che porta il credente a rivivere l’evento della morte e resurrezione del Signore (Kērygma). La missione che Gesù affida ai suoi può vedersi compendiata nelle Parole da Lui pronunciate nell’Ultima Cena: «Fate questo in memoria di me» (1Cor 11,24-25 e Lc 22,19) con queste significative parole il profeta galilaico dà il mandato di celebrare il memoriale della sua Pasqua, per radunare l’Israele della nuova Alleanza. Queste parole implicano non una semplice memoria, ma al contrario il “farsi contemporaneo” di un evento che appartiene al passato, ma per la potenza dello Spirito Santo si ripresenta alla comunità celebrante.
I discepoli della via sperimentano, in questa affascinante avventura della fede, il senso stesso di un viaggio sia storico sia metaforico.
1. Il viaggio nell’arte e nella teologia
La teologia come l’arte è un viaggio. Quest’ultimo può essere inteso non solo in senso spazio temporale, ma anche, come c’insegna Marcel Proust, in senso metaforico, come espressione di ricordo, abbandono e/o di ricerca. Il viaggio è anche rievocazione, come nello straordinario libro, sempre di Proust, in più volumi, dal titolo, À la recherche du temps perdu, di sensazioni e sentimenti ormai dimenticati, che ci riportano in tempi e luoghi lontani.
Credo che il viaggio sia una caratteristica dell’uomo; infatti i nostri antenati sono stati dei popoli migratori. In quest’ottica sembra che l’uomo non abbia un suo specifico e definito habitat naturale, ma il bisogno di visitare luoghi lontani fa parte della natura stessa dell’uomo. Tuttavia, credo che proprio “il viaggio nel mare della vita” sia una delle metafore bibliche più attinenti all’uomo, per indicare che, forse, siamo tutti un po’ in viaggio a causa della contingenza e della precarietà della vita stessa. Penso, in questo caso, al grande viaggio di Gesù, come rievocato dal vangelo lucano, in direzione di Gerusalemme, verso il luogo dell’epilogo della sua vita.
Lo stesso Giacomo Leopardi, nel componimento Le ricordanze, parla della profonda vitalità del pensiero, capace di abbattere i confini delineati dagli spazi fisici per librarsi nelle orbite dell’infinito, pur restando sempre nello stesso posto. Ma come non ricordare, anche, il dipinto di Paul Gaugin dal titolo, Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? (1898), che, attraverso scenari esotici, ricalca il senso profondo del viaggio in terre lontane dove il tempo sembra non esistere. Questo dipinto fa parte di una serie di tre dipinti che l’autore realizzò a Tahiti dove si era ritirato nel 1891, per sfuggire alle immeritate critiche, da parte dei suoi connazionali, a causa della sua pittura.
Credo che anche per la Chiesa, la relazione con l’arte sia una sorta di viaggio. La connessione con l’arte è stata sempre, un aspetto imprescindibile per la vita della Chiesa, in quanto l’espressione artistica rappresenta uno dei principali linguaggi dell’homo viator. Sono anche questi i motivi per cui, attraverso i secoli, le comunità cristiane non si sono “rinchiuse” al di dentro di un’asfittica e conchiusa idea di arte e di bellezza.
Tuttavia, la metafora del viaggio sembra essere veramente un punto di congiunzione tra arte e teologia; non si può non pensare anche al viaggio nel mondo ultaterreno di Dante. Questo fa parte dell’identità stessa dell’uomo che attraverso il viaggio è alla ricerca di se stesso; come anche l’Odissea di Omero, in cui Ulisse è il simbolo stesso del viaggiare e delperegrinare.
Le peripezie di Ulisse ci riportano alla mente le vicende vissute da Mosè e da Abramo – che fa esperienza del viaggio «come un tacito andare attraverso uno spazio indistinto e provvisorio, un trattenere il respiro, un fatto che non ha presente ed è inserito fra il passato e il futuro come un tempo»1. La vicenda, peregrinante di Mosé, richiama la figura dell’ebreo errante, celebre rappresentazione di Marc Chagall e immagine tipica e costitutiva della tradizione ebraica. Questo ebreo, raffigurato da Chagall, è sempre rappresentato come un anziano in viaggio con un bastone e una bisaccia (cf Marc Chagall, su Vitebsk, 1984 Art Gallery Of Ontario – Toronto).
Questo peregrinare è diventato per la Chiesa nascente l’annuncio del Dio crocifisso. La metafora del viaggio, nelle sue dimensioni spirituali, è il linguaggio stesso dell’arte e della teologia, che sono due linguaggi complessi e controversi; entrambe sono accomunate, però, da una ricerca, che quando si apre all’assoluto, ci offre l’opportunità di poter parlare di una “via rivelativa” dell’arte.
Lo stesso pellegrinaggio, nei primi secoli della Chiesa nascente, concretizzava l’istanza di fondo dell’annuncio kerigmatico, della vita come un viaggio; un breve e affascinante viaggio, prima dentro se stessi e poi “fino agli estremi confini della terra” (cf Mt 28).
L’arte condivide con la teologia, l’esperienza del peregrinare, che diventa linguaggio simbolico. Il linguaggio della fede cristiana ed ecclesiale è pur sempre un linguaggio interamente simbolico – metaforico, come quello dell’arte; la metafora trascende il reale, senza per questo perdere di vista la sua consistenza2. In questo contesto, arte e teologia sono entrambe metaforiche; la metafora apre nuove possibilità al linguaggio umano, che proprio mediante essa subisce delle amplificazioni e dilatazioni di contenuti, rispetto al linguaggio ordinario. Tutti gli studiosi concordano sul fatto che «la metafora nasce dalla violazione – o dalla cancellazione – delle presupposizioni connesse al significato abituale delle parole […]»3.
Il viaggio, per se stesso, evoca questa “violazione” dell’ordinario che diventa ricerca, attesa, speranza; per questi motivi il linguaggio simbolico dell’arte e della teologia ha proprio questa capacità di testimoniare l’oltrenel ritmo trinitario della storia.
2. Il viaggio come simbolo
L’entusiasmante annuncio del Cristo Risorto è stato per le prime comunità cristiane un vero e proprio viaggio non solo dentro se stessi ma verso Dio; l’arte, da sempre, è stata per la teologia quello “strumento” fondamentale per comunicare e annunciare agli uomini l’enigma del Dio-crocifisso. L’arte, o meglio ogni opera d’arte autentica, non è mai soltanto una ritraduzione figurata o simbolica di un’immagine o un concetto, ma è sempre e comunque un viaggio che supera le “ristrettezze” dello spazio e del tempo, proprio come la teologia. Nella arte avviene la stessa “dinamica” della teologia, che capovolge il normale assetto della realtà.
Il viaggio è un simbolo che tiene uniti due aspetti, che sono fondamentali e per l’arte e per la teologia, che sono la dimensione storica e quella misterica. Le curvature metaforiche dell’arte e della teologia avvengono attraverso l’uso di simboli e immagini che acquistano un valore ermeneutico: la metafora cambia e trasforma il significato in senso.
Il linguaggio metaforico-simbolico dell’arte e della teologia ha il potere di rinnovare il pensiero, o per usare un’espressione di Edgar Morin, di far “ripensare il pensiero”. Con il linguaggio metaforico si passa da un’osservazione puramente speculativa ad un’altra esperienziale che investe il sentire e i sensi.
Infatti, nel simbolo – secondo K. Rahner – si rende presente la realtà rivelata, che rende palese se stessa al mondo; la stessa Chiesa “beneficia” nel mondo della funzione simbolica del Logos. La Chiesa, attraverso svariate metafore, diventa simbolo reale del Logos; nel simbolo è presente e si rende presente la realtà della Trinità. In questo senso l’arte testimonia un bisogno di assoluto; una tensione che sviluppa una relazione con l’a/Altro diventando simbolica, nel senso di “tenere insieme”due aspetti (mistero e storia) che di per sé sono asimmetrici.
Il viaggio, in quest’ottica, esprime l’ulteriorità e la novità della vita come una vera e propria pratica religiosa, e tiene in se questi due poli: uno manifesto e l’altro nascosto.
NOTE
2. K. RAHNER, «Theologie des Symbolwirklichkeit», in ID., Leiblichkeit der Gnade. Schriften zur Sakramentenlehre, Bearbeitet von W. Knoch und T. Trappe, Herder, Freiburg im Breisgau 2003, pp.435-450.
3. G.L. BECCARIA (ed.), Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica, Einaudi, Torino 1994, p.469.