Roberta Foresta
Don Luigi Verdi è un sacerdote, originario di San Giovanni Valdarno (Ar). Nel 1991, dopo un periodo di crisi personale e spirituale, con il consenso del Vescovo di Fiesole, dà inizio a un’innovativa esperienza di incontro e di accoglienza. Nasce la Fraternità di Romena, un “porto di terra”, dove poter sostare, ritrovare se stessi, incontrare gli altri, per poi riprendere il cammino della vita.
L’arte per me è la capacità creativa dell’umano, la partecipazione all’atto di creazione di Dio. Nell’arte ci viene donata la capacità di intuire e realizzare la bellezza che è immagine e somiglianza di Dio.
Perché credo siano il linguaggio con cui il Creatore ci parla continuamente, ci trasmette la sua vicinanza. E, guardando alla pieve, romanica, si intuisce che il linguaggio di Dio sia bellezza, semplicità, tenerezza, fedeltà e amore.
Silenzio e natura hanno un comune denominatore: la bellezza! Tutto ciò che è bello ti stravolge il cuore, ti tocca dentro, senti che non puoi tenertelo per te. Quando guardo la pieve e ciò che la circonda, sento che “non me lo merito”, e tutta questa bellezza va condivisa con chiunque passi di qui… la bellezza non ha religione, la bellezza è di tutti. E poi la pieve era un posto di sosta per i pellegrini che dovevano raggiugere Roma venendo da nord: erano cercatori come oggi tanti cercatori passano per qui. Io sento Romena come un “porto di terra” in cui attraccare, rifornirsi per poi ripartire sulle strade della vita: il silenzio e la natura sono tesori che ognuno può portare con sé.
Perché io amo la poesia e tutto ciò che è poesia. La poesia nasce dalla bellezza, dall’interiorità e dalla natura. Io che sono sempre stato timido e che ho dovuto allenarmi per vincere questa mia timidezza, sento che in poche e intense parole si possono trasmettere le vere emozioni che ho dentro; e poi la metrica, la musicalità e il ritmo delle parole danno un’espressione vera a ciò che sento nel profondo e percepisco dalla gente che incontro, dove ci sono sempre tanti silenzi da ascoltare.
Creatività e bellezza sono le poche cose che contano e a partire dalle quali noi possiamo ricominciare, perché ricominciare è come rinascere. A Romena arrivano tanti amici feriti e sofferenti: a loro non bastano le parole. Ci vogliono fatti ed esperienze: per questo la creatività e la bellezza li fanno sentire a casa perché si sentono protagonisti di qualcosa più grande di loro. P. Giovanni Vannucci, a chi gli chiedeva di parlare di Dio o di dialogare su Dio, rispondeva: “prima andiamo insieme a lavorare un po’ nell’orto o nel bosco… poi forse potremo parlarne”. Dare spazio alla creatività è lasciarsi “chiamare” da ciò che vivi e da chi incontri: quindi ascoltare mettendosi nei panni dell’altro aiuta a trovare un modo per dare spazio alla creatività che nasce come resurrezione. Il desiderio di bellezza lo si nutre grazie all’autenticità: a Romena si arriva feriti e si capisce che il meglio di noi può venire solo grazie alle nostre ferite. Questa consapevolezza ci rende più aperti e autentici, e grazie ad essa si può desiderare la bellezza, tornare a “guardare le stelle” come faceva Abramo per seguire quello che sentiva dentro di lui.
Pieve è una parola che deriva da “plebe”, popolo. Solo il popolo sa coltivare e custodire la bellezza, perché il popolo vive la vita nel concreto. La pieve è stata costruita nel 1152 “in tempore famis”: in un tempo di fatica e sofferenza, di fame e di crisi, la gente sapeva edificare queste pievi essenziali bellissime. L’arte che nasce dalla gente è spontanea, semplice, essenziale che sa più “togliere” che aggiungere, “potare” invece di “riempire” troppo. Così è per la bellezza dell’ambiente: tornare a rispettare l’essenziale, la semplicità, potando per pulire e trovare il “nocciolo” di ogni vita e di ogni ambiente.
Penso sia un rapporto di cuore: quello che senti, che desideri e sogni è la vita in te che vuole trovare un modo per esprimersi ed esprimere quanto siamo. La manualità che crea, il pensiero che allarga gli orizzonti anche su Dio nascono dalla vita che ci è donata e dalla natura che specchia quanto di più bello c’è in ognuno di noi e nell’universo intorno. Amando la poesia, sento che essa può diventare il ponte che collega quanto chiesto: è l’interiorità che intuisce quanta bellezza di vita ci circonda.
Il femminile non va isolato ma visto nella sua imprescindibile unione col maschile. Di sicuro il femminile è una dimensione di noi che va recuperata, rimessa al centro della nostra espressione. Io penso che il femminile è la tenerezza che tutti cerchiamo: se mettiamo tenerezza nell’arte, nella teologia e nella natura, possiamo cogliere il vero linguaggio divino che continuamente crea. Dico sempre che una carezza di tenerezza è più potente che fare all’amore: in un gesto di tenerezza l’uomo dona alla sua donna il valore di un’appartenenza e bellezza che la fanno sentire unica; e nella carezza della donna, l’uomo si sente dare il brivido del coraggio per realizzare tutta una vita insieme. Torniamo al femminile che ci fa diventare tutti creatori e artigiani di vita.