Mosaico
Mi è difficile parlare di “stranieri” come mi è difficile parlare di “arte” perché sono argomenti che mi toccano.
Qualche anno fa mi era sembrata interessante una definizione dell’arte come “Mettere ordine nel caos”
– Cosa vuol dire essere stranieri? Anche qui abbiamo un certo caos… Ad esempio potremmo dire: “Venire da un altro luogo…” ma dovremmo definire da quale luogo perché se siamo a Milano e uno viene da Varese è straniero? – Eh no! è un “varesotto” che magari non sa guidare (così si diceva un tempo a Milano) ma straniero no. E se viene dalla Puglia? Be’, dalla Puglia a Milano cinquant’anni fa eri chiamato “terrone” ma ora non più, c’è stato un bel mescolamento. Uno svizzero però? Sì uno svizzero, sì ma anche no, gli svizzeri a Milano si conoscono bene, chi non è andato a Chiasso a prendere il cioccolato, le sigarette, il brodo Knorr. Un po’ di invidia e ammirazione per la supposta ricchezza, una bonaria presa in giro per la puntigliosità.
I Francesi, i Tedeschi sono ormai dell’Unione Europea, sono dei rompiscatole che vogliono sempre comandare ma pure questi li conosciamo bene. I veri stranieri sono quelli che non conosciamo e che quindi fanno paura, i neri soprattutto perché si individuano più facilmente, gli arabi perché potrebbero essere terroristi, gli slavi, oddio sono violenti, e i cinesi troppo misteriosi (per non parlare della mafia cinese). Gli Americani invece già ci sembra di conoscerli, ai tassisti di Roma fanno simpatia, danno ottime mance, sono sempre contenti e sorridenti…i sud-americani… be’, chi non ha avuto qualche parente emigrato in Sudamerica…
In questi giorni abbiamo avuto il Salone del Mobile a Milano e la città è stata invasa da una folla di stranieri interessati alle ultime novità del design, quasi tutti giovani, belli, se non ricchi, benestanti (e un po’ arroganti?). Vincenti. La città si è fatta in quattro per loro.
Sì gli stranieri più stranieri sono quelli poveri, come se non si avesse voglia di conoscerli, con l’ansia che ci chiedano qualcosa del nostro bene/benessere o magari non ci derubino. Non siamo incuriositi dal maliano che dorme su un cartone sotto la nostra casa, ma perché? Chissà cosa potrebbe raccontarci.
L’arte è curiosità, esplorazione di territori sconfinati, da piccoli leggiamo Sandokan ma da adulti non siamo interessati al portiere bengalese che magari sogna la sua terra mentre tira fuori con fatica i nostri cassonetti dei rifiuti e che ha gli occhi salgariani.
Siamo troppo pieni di contraddizioni: andiamo come turisti in vacanza a vedere terre lontane ma non sappiamo guardare a chi, qui da noi, da quelle terre arriva.
Parecchi anni fa, in un afoso pomeriggio di luglio aspettando di parlare con qualche professore in università, un’altra studentessa mi aveva chiesto a bruciapelo: “ma tu sei straniera?” e io, ovviamente mentendo un po’ (le cose sono sempre complicate) le avevo risposto “No, semplicemente in questo momento mi sento ‘estranea’ a tutto questo”, e lei – che forse non aveva ancora studiato Albert Camus – aveva insistito “ah, sì, sì sei straniera!” L’Étranger di Camus è sì lo straniero, l’individuo che non è originario del paese in cui si trova ma è anche l’estraneo quello che non vuole o non riesce a partecipare alla vita comune a integrarsi per vari motivi. Qual’è poi stato il mio stupore alcuni anni dopo quando mia figlia ha dato dello straniero a un suo compagno di classe di seconda elementare che le dava fastidio. Le sembrava un bel insulto meritato!
“Wir kommen aus Schlampampen” diceva mio nonno Roland, lo scultore austriaco, e noi nipotini non osavamo chiedere che paese fosse questo “Schlampampen”. Allusione alla Russia in cui era cresciuto? Allo “Schlamm”, il fango e quindi all’argilla che lui utilizzava per modellare e forse agli artisti che c’erano stati nella nostra famiglia? O alle vere o presunte “mesalliances” delle generazioni passate di cui si favoleggiava?
Spartaco Veglia, ex attore di Giorgio Strehler, fondatore del Centro di formazione della CGIL di Milano e mio mentore per la prima mostra antologica, invitava sempre i suoi corsisti a considerare in un’altra persona “quello che non ti somiglia”. È l’accettazione della diversità come risorsa. L’apertura verso il mondo, verso l’alterità è a mio parere fondamentale per tutti ma quasi necessaria per gli artisti.
D’altra parte ognuno di noi vorrebbe essere accettato per sè stesso: l’artista per quello che fa, lo straniero/ l’uomo per quello che è – e questo non capita sempre.
Tra tutti gli slogan banali, stupidi, cattivi o razzisti che da vari anni circolano qui a Milano due slogan si differenziano: 1) “Da vicino nessuno è normale”, slogan del ex ospedale psichiatrico Paolo Pini e 2) “Nel mio paese nessuno è straniero”, slogan che possiamo vedere stampati in autoadesivi su alcune automobili con la firma di una radio privata, Radio Popolare. A mio parere sono bellissimi: danno un po’ di speranza sul genere umano
Ordine e Caos Nei vari anni ho costruito una decina di presepi, ma uno dei miei preferiti per varie ragioni è un presepe-non presepe intitolato “Ordine e Caos”. È formato da una spessa cornice di legno poggiato in orizzontale che sembra quasi i bastioni di una città con dentro un buon numero di parallelepipedi di legno, che possono rappresentare case, torri o grattaceli secondo le interpretazioni.
Il legno di questi elementi verticali è derivato da pezzi di radica per pipe, difettosi e quindi non utilizzabili per la lavorazione delle pipe.
La cornice, trovata per strada vicino a casa, potrebbe essere stata una cornice per un orologio a muro. Comunque, posta orizzontalmente dà un’impressione di forza. Di fortezza.
E poi, per ultimo, lo sguardo coglie due piccole cose di cartone… I piccoli personaggi in cartone (con colori ad olio e nei colori tradizionali dei presepi), un umano che indica una meta e trascina un asino con sopra un’altra figura avvolta in un mantello, sono interpretabili come le peregrinazioni prima della nascita o come fuga in Egitto. Indica una meta, il personaggio in piedi, ma la cosa ci sembra difficile e le scommesse restano aperte…
[Ordine e Caos, 2013, legno e cartone, 42x42x20 cm.]