S DianichSeverino Dianich

Severino Dianich presents in the foreground the theme of the impact that the architectural artefact creates on the environment. The interrelation between urban spaces and human behavior, which Pope Francis, in His encyclical Laudato Sì, counts among the important issues of cultural ecology and He has long been questioning even those who design buildings of worship. The image of the church and its mission is also given through architectural form in urban space. In the post-modern city, defined as the weak city, because of the fragmentary nature that recalls the condition of fragmentary existence of today’s man, the form of an architecture that sees the Church as a house among the houses of men, with the volumes, lines and colours of an ordinary place that expresses the extraordinary , makes room.

1. La Chiesa, le chiese e la questione ecologica

Non per nulla, nel periodo della ricostruzione postbellica, tra il 1946 e il 1952, il responsabile dell’urbanistica di Colonia era un architetto di straordinaria sensibilità e profondità di pensiero, Rudolf Schwarz. Non stupisce allora che nel 1954, nell’area verde di Köln/Marienburg, venisse dedicata la chiesa di St. Maria Königin, egregia opera di Dominikus Böhm, che, al vederla oggi, sembra sia stata costruita senza abbattere un albero. L’edificio con il suo paramento esterno in cotto sembra nato assieme alla folta vegetazione di quel parco.

Koln
Köln/Marienburg, D. Böhm, St. Maria Königin

Può essere anche interessante ricordare che in Germania, alcuni decenni dopo, nascerà, il primo in Europa, un partito dei Verdi.
Fra i diversi prodotti della creazione artistica quello che ha il maggiore impatto sull’ambiente è, indubbiamente, il manufatto architettonico. L’introduzione di nuovi volumi dentro uno spazio modifica radicalmente le proporzioni dell’insieme, determina flussi nuovi nel traffico, produce una maggiore frequenza degli assembramenti, accresce il fenomeno dell’inquinamento dell’aria per l’aumento del traffico veicolare e delle combustioni destinate alla produzione dell’energia necessaria all’abitabilità dei nuovi spazi abitativi. A proposito della costruzione di nuove chiese i bandi di concorso della Conferenza episcopale italiana prevedono, saggiamente, che i progetti vengano valutati anche in base all’adeguatezza della loro risposta ai problemi del rapporto con l’ambiente urbano, dell’accessibilità e dell’ecosostenibilità.

Papa Francesco nel capitolo IV della Laudato si’, n. 109, intitolato Un’ecologia integrale, dopo aver trattato di Ecologia ambientale, economica e sociale, non manca di affrontare anche i problemi di una Ecologia culturale, nella quale si collocano questioni riguardanti «l’interrelazione tra gli spazi urbani e il comportamento umano» e le responsabilità di quanti «progettano edifici, quartieri, spazi pubblici e città». Egli osserva che «non basta la ricerca della bellezza nel progetto, perché ha ancora più valore servire un altro tipo di bellezza: la qualità della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, l’incontro e l’aiuto reciproco». Come potrebbe un committente e un progettista di chiese, edifici e luoghi di testimonianza del vangelo, non condividere questa preoccupazione? Lo stesso Rudolf Schwarz, rammemorato all’inizio, offriva un egregio esempio di questa attenzione, già nella impostazione della sua chiesa di St. Fronleichnam ad Aquisgrana, allineata alle lunghe file delle abitazioni del quartiere operaio, con le sue finestre modellate a somiglianza di quelle della gente.

2. Il rischio dell’inserimento di una nuova chiesa nella città

Mai si potrebbe dimenticare che solo la dovuta attenzione alle esigenze di un’ecologia integrale, potrà salvare il delicato inserimento di una chiesa nuova nel paesaggio naturale, e più ancora in quello antropizzato, dal fallimento dell’impresa. Non solo dal punto di vista paesaggistico e urbanistico, ma anche in ordine alla nuova missione che la Chiesa, inserendosi con un suo nuovo edificio in un nuovo gruppo umano, sta intraprendendo.

Pechino chiesa
Pechino, Xishiku Church
(Cattedrale del Nord – chiesa del Salvatore)

Basta andare in cerca di una cattedrale a Shanghai e imbattersi nelle guglie puntute del suo straniante stile neogotico o nel centro di Pechino, a due passi dalla Città proibita, scoprirsi a Parigi, davanti a Notre Dame, per cogliere a fior di pelle la gravità del costume ottocentesco di rendere la Chiesa pubblicamente presente in tutti i continenti con le sue architetture neogotiche. Non per nulla la chiesa del Nord di Pechino, da metà giugno a metà agosto del 1900, dieci anni dopo la sua dedicazione, durante la rivoluzione dei boxer, fu assediata con feroci battaglie, così come nel 1966 le Guardie rosse abbatteranno le guglie di quella di Shanghai. Quello che allora era stato, anche se, generalmente, inconsapevole, alle culture locali, sembra essere diventato oggi la pratica un fenomeno diffuso dell’architettura contemporanea. Ne deriva, come è naturale, anche per la Chiesa, il rischio di perdere la coscienza dei problemi di quell’ecologia culturale. cui papa Francesco richiamava.

Eppure ne va, non solo del successo di un’impresa così impegnativa dal punto di vista dei programmi della comunità e del corretto impiego delle sue finanze, ma ben di più, dell’immagine che la Chiesa offre di sé alla popolazione del luogo e e quindi della sua stessa missione. Quali attese avrà suscitato fra la gente del quartiere di San Paolo a Foligno l’imporsi, accanto alle sue case, dell’enorme cubo di Fuksas?

Fuksas
Foligno, M. Fuksas, San Paolo

Se è la forma Ecclesiae della vita vissuta e delle opere la prima manifestazione della presenza della Chiesa in un quartiere della città, non di meno la forma più eclatante del senso della missione che essa intende esercitarvi, dal punto di vista della percezione di tutti gli abitanti del posto, sarà proprio la forma architettonica del luogo che essa si ritaglia nello spazio del tessuto urbano.

3. Nella città postmoderna

Il bisogno di costruire nuove chiese nei paesi di antica tradizione cristiana più sviluppati è, oggi, fortemente diminuito, dato l’esaurirsi del movimenti migratori dalle campagne verso la città, che hanno determinato in passato la nascita di nuovi quartieri e il formarsi di nuove comunità cristiane. Le città, inoltre, stanno diventando sempre più pluriculturali e plurireligiose, cui si accompagna in numero non irrilevante il fenomeno di battezzati che abbandonano la fede. La crescente mobilità della popolazione, quindi, viene a chiedere, in un certo ambiente, la dismissione delle chiese esistenti, e in un altro la costruzione di chiese nuove, per cui ciò che si impone è l’invenzione di una progettazione architettonica leggera, di edifici facilmente adattabili a usi diversi.

È questo un nuovo problema che è sorto negli ultimi decenni del Novecento e sta impegnando la riflessione degli studiosi, dei tecnici e degli artisti.1

In altri contesti le migrazioni dalla campagna alle città continuano imponenti, provocando lo sviluppo di enormi megalopoli. Vi si sta imponendo un’architettura appiattita sui dati della globalizzazione, con i suoi modelli avveniristici e i suoi grattacieli nei quartieri ricchi. Quelli poveri, non di rado miserabili, verranno quindi sopraffatti dalla gentrification che, a sua volta, genererà nuove forme di scarto dei più poveri e quindi il bisogno di offrire loro, nel frattempo, per l’incontro e la preghiera, luoghi di fortuna, come sono del resto, le loro abitazioni. Tutto questo avviene con sviluppi così rapidi da risultare ingovernabili.

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Praga, V. Milunićh e F. Gehry, Nationale Nederlander Building

L’esperienza urbana postmoderna si rivela quindi dominata dall’ indeterminatezza e da una frammentazione sostenuta da una «decanonizzazione dei codici e delle convenzioni». Sembrano dominarvi «ironia; ibridazione; parodia, travestimenti,… protagonismo e partecipazione (la città come work in progress aperto ai significati dì ciascuno)»2. Emblematica tutta l’opera di Frank Gehry che anche in una città storica come Praga, collaborando con Vlado Milunić, inserisce un edificio che sembra, più che altro, dover stupire.
Rispetto al Novecento, siamo passati «dal planning dell’architetto urbanista demiurgo a pratiche frammentarie che non pretendono di controllare l’urbanizzazione»3. E’ un problema che non riguarda soltanto l’urbanistica ma tutto il clima spirituale del nostro tempo: «La città fondata su logiche di centralità spaziali, simboliche e culturali cede il passo alla città-collage o alla città-bricolage. È l’avvento di quella che con una categoria desunta dall’epistemologia del pensiero debole potrebbe chiamarsi la «città debole» 4. La rilevazione dei criteri con i quali oggi si sta componendo o ricomponendo l’assetto delle città fa pensare a tutta la temperie culturale contemporanea che sottosta al fenomeno: forme spaziali e forme esistenziali si richiamano costantemente le une le altre. La condizione spirituale di esistenza dell’uomo d’oggi traspare dalla stessa forma della città.

Sorge spontanea, a questo punto, una domanda: l’inserimento di una nuova chiesa in una città dovrebbe integrarsi nel contesto umano con i medesimi stilemi che dominano oggi lo sviluppo urbanistico dei quartieri ricchi delle megalopoli? Il bisogno, giustamente molto sentito nella Chiesa d’oggi, di superare definitivamente il fossato che l’aveva isolata da tutto il mondo della creazione artistica contemporanea, l’ha portata anche in architettura a cercare di affidarsi, alcune volte, alle grandi firme per la creazione di progetti di prestigio nelle città. Peter Eisenman era stato invitato a partecipare al concorso internazionale degli anni Novanta, “50 Chiese per Roma 2000”5. La sua proposta indubbiamente fotografava, per molti aspetti, la condizione reale dell’uomo d’oggi. Ma avrebbe potuto la Chiesa riconoscere se stessa in quella radicale scomposizione degli spazi e dei volumi che il grande architetto le proponeva?

Church
Eisenman Architects, Church of the Year 2000, Rome, Italy, 1996. © Eisenman Architects
Matteo Germani, Peter Eisenman, La Chiesa per il Giubileo nell’anno 2000

Essa è consapevole di non avere il potere, ma neppure il compito, di imporre la sua presenza, quasi le spettasse il ruolo del principio di ordine e di unità nella «città bricolage» postmoderna. Ne aveva preso atto con decisione negli ultimi decenni del Novecento un architetto luterano come Edward Anders Søvik (1918-2014), che negli States ha progettato più di un centinaio di chiese. La sua costante proposta era quella di un «non-church design», con l’intento di far sentire la casa della comunità cristiana come casa fra le case degli uomini.6 Mark A. Torgerson ne faceva una lettura teologica, definendo la sua un’architettura dell’immanenza, una espressione alta, pur nella professione di fede della trascendenza di Dio, della sua immanenza e della sua vicinanza all’uomo nell’umanità di Gesù.7 Per il concilio Vaticano II la Chiesa è testimone di una fede nell’immanenza di Dio in Cristo, di conseguenza essa «cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena».8
Pensando al suo inserimento, con le sue casi, nel tessuto urbano, i vescovi dgli Stati Uniti scrivevano in una loro nota del 2000: «Se l’edificio della chiesa appartiene alla Chiesa, le sue forme visive appartengono ai suoi vicini»9.

In questo spazio di una comune appartenenza si intesse un dialogo, nel quale la comunità cristiana si pone qua e là nella città con le forme della sua architettura, i volumi, le linee, i colori della propria casa, in modo da suggerire anche nel caos, voluto e programmato della città postmoderna, la possibilità di un cosmo, di un’anticipata presenza della Gerusalemme celeste. Una casa come quella di tutti, ma così accogliente e aperta a tutti, manifestamente ospitale a chiunque le passi davanti, per offrirgli, senza volerlo catturare,10 un luogo in cui egli intravveda un altrove, anzi l’Altrove, verso il quale l’azione di Dio, immanente alla storia nella carne di Cristo, conduce il mondo. La sfida che il progettista dovrà affrontare sarà proprio quella di dover coniugare il disegno di un luogo “ordinario” con le forme che dicano lo “straordinario”. Lo straordinario è la speranza nel futuro di Dio e ciò che la Chiesa oggi deve offrire alla città è un luogo di convivenza, libero dalla competizione e l’ostentazione di potenza che la dominano, luogo di accoglienza fraterna e di pace.

Christoph Theobald, uno dei teologi più creativi di questi decenni, riflettendo sullo stile di cui la Chiesa ha bisogno di rivestirsi nell’esercitare oggi la sua missione, ritiene che essa debba rivestirsi della forma dell’ospitalità.11 In una società disgregata ed estremamente mobile, città di viandanti più che di abitanti, dominata da un diffuso individualismo, essa deve attingere da Gesù il modo di rapportarsi alle persone, alle quali costantemente egli offriva attenzione ed accoglienza, nel rispetto della loro libertà e senza la pretesa di appropriarsele. Su questa linea, per esempio, in Francia si stanno moltiplicando les maisons d’église e un po’ dovunque, anche in spazi dalla forma tradizionale, si cerca di offrire un angolo di accoglienza e incontro. Si sente il bisogno che il perimetro della chiesa parrocchiale si renda sempre più permeabile e il suo complesso spaziale aperto a tutti, non il tetto protettore di una comunità felice di vivere chiusa in se stessa.

Un esempio interessante di questa sensibilità è senza dubbio il complesso parrocchiale di Santa Maria in Zivido, a San Giuliano Milanese, progettato inizialmente da Roberto Gabetti e Aimaro Isola, e dopo la morte di Gabetti (2000), dallo studio isolarchitetti.12 E’ il frutto maturo di quella scuola torinese di architettura che aveva goduto nella anni Settanta della formazione alla vita ecclesiale, di straordinaria qualità, del magistero dell’arcivescovo di Torino, il cardinale Pellegrino (1965-1977), uno dei vescovi più significativi del periodo immediatamente successivo al concilio Vaticano II.

Santa Maria
San Giuliano Milanese, R. Gabetti e A. Isola, Santa Maria in Zivido. Fotografia di don Maurizio Oriani
San Giuliano Milanese
San Giuliano Milanese, R. Gabetti e A. Isola, Santa Maria in Zivido.
Foto: Saverio Lombardi Vallauri Archivio Isolarchitetti

A San Giuliano Milanese siamo in un contesto urbano in costante espansione, caratterizzato da grandi condomini seriali, ma che agli inizi del 2000 gode ancora di un’ampia zona verde, che si incunea dentro la zona urbanizzata. Agli abitanti dei grandi caseggiati, a un passo da casa, attraversata l’alberata Via Gorki, si offre nel verde, quasi fosse un piccolo villaggio, il complesso parrocchiale. Una torre campanaria trasparente introduce nell’ampio cortile: procedendo in asse con l’entrata si incontra l’aula liturgica e intorno gli ambienti delle varie attività parrocchiali: una casa del Signore dalle molte dimore, come Gesù aveva detto del Regno di Dio. Il grande spazio destinato alla liturgia si offre accogliente e famigliare, nella sua non abbagliante luminosità, ottenuta con un ordito di mattoni a treillage della parete di fondo, che richiama un motivo dell’architettura contadina tradizionale.

Santa Maria in Zivido
San Giuliano Milanese, R. Gabetti e A. Isola, Santa Maria in Zivido (interno dell’aula liturgica).
Foto: Saverio Lombardi Vallauri Archivio Isolarchitetti

La chiesa è lì, fra le case della gente, a suggerire possibili anticipazioni del Regno di Dio, offrendo spazi in cui si respiri un’atmosfera diversa da quella della città geometricamente disegnata, ripetitiva nei suoi moduli, misurata sui criteri della massima efficienza e dei bisogni della sua vorticosa operosità. Non è nostalgia di un vecchio mondo di paese che oggi non c’è più, né una fuga dalle fatiche del vivere, ma uno spazio domestico di quiete famigliare ricco di mille attività, animato dalla vivacità dei bambini e dei giovani da far crescere nella fede, ospitale per i poveri e i migranti assetati di aria di casa, con i suoi locali destinati agli incontri dei più vari gruppi di persone e anche attrezzati per la gioia della convivialità.

E’ il contesto tipicamente cristiano, animato dalla fede in Dio che si è fatto uomo in Gesù, nel quale venire a cercare Dio e gustare nella preghiera comunitaria della liturgia la presenza di Cristo fra gli uomini di oggi.


1 Vedi G. Boselli (ed.), Chiesa e città. Atti del VII convegno liturgico internazionale, Bose 4 giugno 2009, Qiqajon, Magnano (BI) 2010.
2 G. Amendola, La città postmoderna. Magie e paure della metropoli contemporanea, Laterza, Bari 20074. L’autore si riferisce all’opera di Ihab H.Hassan, The Culture of Postmodernism, in Theorie, Culture and Society II/3, 1985, 196-199, uno studioso egiziano della letteratura americana contemporanea: vedi anche The Postmodern Turn: Essays in Postmodern Theory and Culture. Ohio State Univ Press. Columbus 1987.
3 A. Spini, Senza centro né periferia. Alcune note su tempi urbani e identità, in G.Paolucci (ed.), La città macchina del tempo, Franco Angeli, Milano 1998, 209-219, p. 211.
4 G. Amendola, o.c., 46s.
5 Furono invitati a concorrere Tadao Ando, Günter Behnisch, Santiago Calatrava, Peter Eisenman, Frank Gehry e Richard Meier.
6 E.A.Sövik, Architecture for Worship, Augsburg Publishing House, Minneapolis, Minnesota, 1973.
7 Gv 1,14; M.A.Torgerson, An Architecture of Immanence. Architecture for Worship and Ministry today, Eeerdmans, Grand Rapids (Michigan)-Cambridge (UK) 2007, 179. 205.251.
8 Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes n. 40.
9 Built of Living Stones: Art, Architecture, and Worship. Guidelines of the National Conference of Catholic Bishops, November 16, 2000, § 187 (http://www.usccb.org/liturgy/livingstones.shtml).
10 Antonio Piva (Alcuni spazi dell’accoglienza metropolitana, in Id. (ed.), La città multietnica: cultura della socializzazione, Marsilio, Venezia 1996, 11-19) osserva, acutamente, che si può dare una forma di ospitalità, che duri solo un istante, quello del momento in cui l’altro varca la soglia, giacché l’altro, prima di aver varcato la soglia sarebbe un estraneo e dopo averla varcata diverrebbe un ostaggio.
11 Ch.Theobald, La fede nell’attuale contesto europeo. Cristianesimo come stile, Queriniana, Brescia 2021.
12 A. Longhi, L’abbraccio dell’architettura / Embrace of architecture in «Ecclesiae», n. 2/2009, 44-49; S.Pace, Il grande abbraccio. Spazio architettonico e spazio liturgico nell’opera sacra di Gabetti e Isola, in L.Reinerio – S.Pace, Architetture per la liturgia. Le opere di Gabetti e Isola, Skira, Milano 2005, 161-177.