1. La pro-vocazione di un “kairós” epocale
Jean-Paul Hernández SJ
The impressive mass tourism to the historical-artistic monuments for mostly of a Christian nature it is undoubtedly a “sign of the times” that the Church cannot fail to listen to deeply. To these people must turn the Christian martyria: proclamation, as an encounter which consists in seeing Jesus thought art. In response to this phenomenon, the experience of Pietre Vive wants to be a free service aimed at encouraging the encounter with God through Christian monuments.
La prima predicazione cristiana, negli anni immediatamente seguenti la Pasqua di Gesù, è fortemente legata alla interpretazione del Tempio di Gerusalemme1. Lo documentano i molti riferimenti che i Vangeli fanno al Tempio, ponendolo come prefigurazione dello stesso Gesù2. Lo documentano anche testi come la Lettera agli Ebrei, interamente costruita sull’interpretazione cristologica di tutto il funzionamento del Tempio. Lo documenta perfino il racconto negli Atti della storia del primo martire, Stefano, accusato di “non smettere di parlare contro il Luogo Santo”3 e di dichiarare che “Gesù, il Nazareno, distruggerà questo luogo’.’4 In effetti il lungo discorso che Stefano pronuncia in sua difesa culmina con il racconto della costruzione del Tempio come collegamento immediato per parlare di Gesù, della sua morte e Resurrezione.5 E qui si interrompe il suo discorso poichè i suoi accusatori lo trascinano per lapidarlo.6 Il primo martire cristiano è morto a causa del modo in cui ha parlato del monumento religioso del suo popolo. Inoltre, il suo “martirio”, la sua testimonianza a Cristo “con gli occhi fissi al cielo”,7 si trasforma nel fine ultimo dell’intera storia del Tempio.
Questo iniziale “conflitto di interpretazione” sul Tempio ha qualcosa di molto attuale nel nostro Occidente del secolo XXI. Oggi il kerygma della fede cristiana si gioca sempre di più sulla interpretazione dei molti edifici sacri disseminati nella geografia dell’Europa, dell’America e parte degli altri continenti. A porre di nuovo gli edifici sacri al centro dell’evangelizzazione non è più la legge religiosa che impone a tutti gli ebrei di recarsi al Tempio di Gerusalemme, ma un fenomeno sociale recente e senza precedenti: il turismo di massa.8
Questo movimento epocale, ancora poco studiato,9 si concentra sempre di più sui monumenti storico-artistici, che, nei nostri continenti, sono per lo più di natura religiosa. Il crescente interesse di massa, verso i segni della storia e del trascendente, ha indubbiamente molto a che fare con la sempre più sentita ricerca di identità. Gli occidentali, europei o americani, fanno turismo, in fondo, per cercare se stessi.
Nel recente convegno “Verso una identità del Turismo religioso”, organizzato ad Assisi dalla Conferenza Episcopale Italiana,10 è stato molto chiaro nelle presentazioni dei principali “tour operator” e “osservatori del settore” che il “turismo religioso” non è più una categoria speciale del turismo, ma è una dimensione trasversale in quasi ogni tipo di turismo. Nelle sue “vacanze” il turista occidentale cerca riposo, piacere, ma soprattutto “frammenti di significato”, “tracce di identità”.
Dal punto di vista della fede, questo fenomeno è uno straordinario “segno dei tempi” che la Chiesa deve ancora imparare ad “ascoltare profondamente”. È urgente chiedersi “che cosa dice lo Spirito alle Chiese” attraverso queste masse che “sono alla porta e bussano”.
Il turismo di massa dice molto su dove “batte il cuore” dell’uomo contemporaneo. Se l’uomo del Rinascimento era spesso un umanista o un conquistatore, l’uomo del XIX secolo un capitalista o un proletario, l’uomo occidentale di questa prima parte del XXI secolo è fondamentalmente un “turista”. Cioè un uomo che fa “tour”. Che “va in giro” e ritorna a casa. Un turista prima di tutto come “forma mentis”, perché al di là degli spostamenti fisici, egli visita siti web, “naviga” tra i suoi contatti, ma alla fine è sempre solo nella sua casa. A differenza del pellegrino o del migrante, il turista torna sempre a casa. Ecco perché gli europei trovano oggi il fenomeno migratorio, che in realtà è sempre esistito, così scioccante. Lo trovano difficile da sopportare e difficile da rielaborare, e questo dimostra radicalmente l’incapacità occidentale di “lasciare la propria casa”.
Si può dire che nelle nostre città occidentali ci sono fondamentalmente due tipi di persone: i turisti (cioè gli abitanti nativi che tornano sempre a casa) e i migranti. E tra i primi e i secondi c’è una profonda invidia negli strati più profondi della psiche.
L’uomo occidentale è “turista” in tutti gli ambiti della vita. Ad esempio, nel modo di mangiare, “assaggia” pinchos, tapas, “stuzzichini”, “assaggi”, “hors-d’oeuvre”, fa tour “eno-gastronomici”. è turista nel modo di sapere e di conoscere, con le molte “wiki-lauree” delle nostre istituzioni accademiche. Nel modo di vivere il suo affetto, con le tante “storie soft”, dove si ritorna sempre alla propria casa, alla propria solitudine. Questo è l’“homo turisticus” (o volendo evitare il “macaronismo” l’“homo otiosus”) che entra nelle nostre chiese.
Ma il desiderio “turistico” di visitare le chiese nasconde un desiderio più profondo. È la nostalgia di non aver trovato se stessi in così tanti “tour”. È il desiderio represso e inconfessabile di essere un “migrante”, di dare una direzione, un “senso”, una forma alla propria vita.
Poiché la sua forma è la “forma dell’acqua”,11 il turista occidentale scorre irresistibilmente verso quel limite solido che sono le “pietre del passato”. Queste gli permettono, almeno per un momento, di “riposare in una forma”. Sono “monumentum”, ossia “memoria”, “casa” di una possibile identità. Anche se si tratta di posizionarsi in modo antagonistico, l’uomo della società post-cristiana cerca disperatamente queste “pietre identitarie”. Ecco perché si può dire: “meno si va in Chiesa e più si va nelle chiese”. Questo paradosso è sorprendente nelle società più secolarizzate d’Europa, dove le minuscole comunità cristiane vedono alcune delle loro chiese invase da masse di visitatori senza precedenti. Mai così tante persone sono entrate nelle cattedrali come oggi. Mai la Chiesa avrebbe sognato di avere così tante persone “nella propria casa”. Ma questo movimento sorprende una Chiesa non preparata.
Per decenni, molto prima dell’invito del papa ad essere “Chiesa in uscita”, la comunità cristiana ha cercato di raggiungere i luoghi più lontani dall’“esplicito religioso”. Per incontrare i non credenti, o semplicemente “la gente”, la Chiesa ha provato le forme più creative di presenza nel “profano”. In modo audace, molti movimenti ecclesiali della “generazione di Giovanni Paolo II” sono andati ad evangelizzare in discoteche, spiagge, piazze. Tuttavia, oggi è la “gente” stessa, i “non credenti”, i “lontani della Chiesa” che paradossalmente affollano spontaneamente gli spazi sacri cristiani come turisti e visitatori. Ma in quegli spazi sacri, in quelle chiese, non trovano più la Chiesa.
Ora che il mondo entra nelle nostre case, le trova vuote, perché “siamo usciti”. Le trova chiuse, o trasformate in museo, o abbandonate. E poi le “occupa”. Economicamente, culturalmente, intellettualmente. Ossia il mondo secolarizzato inizia a interpretare e gestire questi segni della fede che sono passati attraverso i secoli. E nelle tante interpretazioni riduttive dei monumenti sacri cristiani, la cultura laica elimina del tutto quel minimo resto di speranza che ha mantenuto ancora viva la ricerca dell’uomo occidentale. Il riduzionismo laicista elimina quella tensione interiore che nasce dal forte “differenziale” tra l’“identità liquida” della cultura occidentale e la “densità identitaria” dei monumenti religiosi. Se alcuni monumenti religiosi, “neutralizzati” da interpretazioni secolariste (come il Cammino di Santiago o le molte cattedrali “museizzate”), possono ancora attirare visitatori, è solo per la loro forza intrinseca che rompe la “cappa dell’oscurantismo secolarista”. Ma per quanto ancora?
In quest’operare silenzioso dell’arte cristiana che, nonostante tanti strati di “isolanti ermeneutici”, continua a chiamare i contemporanei, si nasconde l’intima preghiera dei nostri antenati che hanno prodotto queste opere per “raccontare la fede”. Le comunità cristiane sono vittima di un complesso tipico del XIX secolo quando ancora credono che l’interpretazione “scientifica” del monumento religioso sia un’interpretazione che non si fonda sulla teologia e la spiritualità. Gadamer ci ha già insegnato che non esiste un’ermeneutica corretta se il nostro orizzonte non è “fuso” con l’orizzonte che ha generato l’opera d’arte.12 Ed è l’orizzonte teologico, liturgico e spirituale che deve essere “chiamato” per interpretare scientificamente un’opera nata per la liturgia e la preghiera. Sappiamo che la stessa espressione “opera d’arte” è il risultato di un’operazione ideologica delle università del XIX secolo fatta per rimuovere quelle stesse opere dal contesto di vita religiosa in cui sono nate e dove sono state “usate”, cioè dove si è sviluppata una “interpretazione vivente”.13
Oggi molte diocesi favoriscono questo “riduzionismo ateo” quando fanno pagare per entrare in una chiesa, trasformandola nel “museo di una vecchia religione scomparsa”. Danno ragione nei fatti alla terribile affermazione di Nietzsche che vede nelle chiese “la tomba nauseante di un Dio morto”.14 Altrettanto dannosa è l’opzione adottata in molte cattedrali dove viene chiesto al turista se entra “per pregare” o “per visitare”. Con questa distinzione è “consacrato” dalla Chiesa stessa il drammatico divorzio tra cultura e fede. Si afferma così che “le opere d’arte” non sono esperienze spirituali. Quando invece il primo obiettivo delle immagini e delle forme dell’arte sacra è proprio la preghiera di chi le osserva! E ancora di più: le immagini sacre di una chiesa sono preghiera “consegnate allo sguardo”, preghiere condivise che generano altre preghiere.
Una violenza “di sapore quasi stalinista” sono le chiese monumentali lasciate in pasto degli interessi crematistici delle compagnie turistiche, le cui guide sembrano essere gli unici proprietari di uno spazio del quale calpestano l’essenza più intima. Nel dialogo interreligioso con ebrei e musulmani un sincero rimprovero che talvolta viene fatto ai rappresentanti cristiani è proprio la negligenza e la mondanizzazione degli spazi sacri che contrasta brutalmente con le altre tradizioni religiose. Di fatto, nessuna guida “laicista” oserebbe entrare in una moschea o in una sinagoga con la stessa modalità con cui entrano le guide nelle chiese cristiane. Ma nonostante questo abbandono da parte della comunità cristiana, l’arte cristiana continua a chiamare i nostri contemporanei uno per uno. La bellezza generata dalla fede ha una forza intrinseca che continua ad essere sempre più un canale di salvezza.15
È noto da parecchie generazioni l’esperienza di conversione dovuta all’ingresso casuale in una chiesa. Ricordiamo i casi famosi di intellettuali come Paul Claudel o André Frossard. Ma un recente studio sociologico pubblicato sul “The Telegraph” mostra che oggi le visite alle chiese sono il primo motivo di conversione alla fede cristiana in Inghilterra16. Queste esperienze dimostrano la forza spirituale che il monumento religioso ha nella società secolarizzata. E come questa forza diventi opaca quando coloro che entrano restano dietro i loro veli ermeneutici riduzionisti, che sono difese contro la paura segreta di “vedere” qualcosa di veramente nuovo e di dover “lasciare la casa”. Ma quando queste precomprensioni “isolanti” cadono, si verifica uno straordinario “incontro” tra la ricerca dell’uomo di oggi e la fede dei suoi antenati espressa dall’artista. E molte volte questo incontro si trasforma in Incontro.
Ecco perché è così rivelatore visitare le chiese con bambini, senzatetto, immigrati, persone con disabilità psichiche. Sono loro che sono in grado di connettersi più profondamente con la sensibilità dell’artista. È da loro che, come comunità cristiana e come storici dell’arte, dobbiamo imparare a liberarci di molte pre-comprensioni. Sono loro che ci permettono di “aprire gli occhi”. Nel kairós senza precedenti che è offerto alla Chiesa dal turismo nei monumenti cristiani, non si tratta di convincere nessuno delle “verità di fede”, né di “vendere” la fede come un “prodotto”, ma di aiutare il visitatore a entrare in contatto esistenziale con il monumento. O meglio: si tratta di lasciare parlare il monumento, riducendo le “difese interpretative” del turista e facendogli scoprire l’orizzonte in cui è nata l’opera che sta visitando. È famoso tra i volontari di “Pietre Vive” a Roma il grido di stupore di una donna francofona africana che ha vissuto per 30 anni in strada, quando nel 2016 è entrata per la prima volta in una chiesa barocca e ha detto: “C’est le ciel”. Ha riassunto in questa esclamazione intere biblioteche di storia dell’arte, teologia e antropologia.
L’“arte di vedere l’arte” consiste quindi in un itinerario verso la semplicità originaria. Solo se “diventiamo come bambini” possiamo realmente “entrare” in quella che è una “visione trasmessa” che ci rende eredi del mattino di Pasqua.17 Dai primi momenti della fede cristiana l’annuncio della Pasqua viene trasmesso in termini di “visione”.
E la “traditio”, prima orale, poi testuale, e poi ancora iconografica e artistica, è un enorme processo per trasmettere questo Incontro con Colui che “si è fatto vedere”. L’arte cristiana o è, come dice Florenskij a proposito dell’icona, “Cornice di un Incontro”,18 oppure perde la sua vera ragione di essere. Se Stefano ha dovuto morire per “far vedere” Gesù a chi guardava il Tempio, il necessario “martirio” della testimonianza di oggi è accompagnare il turista fino alla soglia della Visione.
2. “Con-vocazione” per una “scuola del servizio di Dio”
Non è vero che la Chiesa è rimasta completamente impassibile davanti al “kairós” epocale del “turismo”. Negli ultimi 50 anni sono nate in Europa diverse iniziative per dare all’uomo contemporaneo che entra in una chiesa questi “occhi semplici”, e allo stesso tempo per presentare, nello studio delle fonti, l’orizzonte spirituale e liturgico in cui è nato il monumento cristiano.
Una delle prime iniziative è nata in Francia alla fine degli anni ‘60 con l’acronimo “CASA” (“Communautés d’Accueil dans les Sites Artistiques”) e raccoglie ancora molti volontari, soprattutto durante l’estate, in alcuni dei più famosi siti del turismo culturale francese. Per il suo fondatore, P. Alain Ponsar, non era necessario che tutti i membri di “CASA” fossero credenti,19 ma descriveva già il turista come “quel funzionario della Regina d’Etiopia” che negli Atti degli Apostoli chiede aiuto al diacono Filippo per comprendere il significato del testo che sta leggendo.20
Diversi decenni dopo nacquero altre reti di volontari cristiani per l’evangelizzazione attraverso l’arte. In particolare la federazione “Ars et Fides” (con il lavoro di Timothy Verdon a Firenze) e la rete internazionale A.R.C. Più recentemente in Spagna è nato il progetto “Nartex”, che si esprime principalmente nelle proposte estive.21
Tra queste e altre iniziative analoghe, il progetto “Pietre Vive”, da cui queste pagine sono ispirate, ha avuto le sue prime manifestazioni in Germania nel 2004 nella Cattedrale di Francoforte, anche se le sue prime elaborazioni teoriche risalgono al 1992. Nel 2008 si è svolto a Roma il primo campo internazionale Pietre Vive (da ora in poi “PV”) e da lì sono iniziati a nascere i gruppi locali PV con un regolare servizio di accoglienza nelle chiese durante tutto l’anno. Oggi questi gruppi stabili di volontari PV sono in 32 città (quasi tutte in Europa): da Kiev a Chicago, da Parigi a Malta.
Sono stati pubblicati molti articoli e alcune tesi sullo specifico di PV.22 In particolare si pone in evidenza l’insistenza sulla preghiera, sulle dinamiche comunitarie, sulla radicale gratuità del servizio, la spiritualità ignaziana, lo stile di sobrietà materiale durante i campi estivi e durante tutto l’anno, il molteplice “annidamento ecclesiale” (in contesti diocesani, ignaziani, francescani, dehoniani, benedettini). Ma uno degli aspetti più marcanti di PV è di essere principalmente un “cammino di formazione” per i volontari per diventare “adulti nella fede”. Ispiratrici di questa dimensione prevalentemente formativa sono state le parole del “Prologo” della Regola di san Benedetto: “bisogna dunque istituire una scuola del servizio del Signore”, PV è una “scuola” per i giovani e i giovani adulti (solitamente tra i 20 e i 35 anni) che seguono le attività di formazione e volontariato durante una tappa della loro vita che di solito dura tra i 3 e i 7 anni.
Si tratta di una formazione soprattutto alla preghiera. Gli incontri regolari della comunità durante tutto l’anno (ogni settimana o ogni due settimane) prevedono sempre meditazioni bibliche e preghiera silenziosa, che, durante i momenti forti dell’anno, diventano esercizi spirituali ignaziani “full immersion”. Lo stesso servizio di visite guidate è incorniciato da momenti di preghiera silenziosa; il giovane volontario PV sperimenta così che solo le parole pronunciate con “occhi fissi al cielo aperto” (cfr At 7, 55) sono vera “martyría”, sia nelle visite guidate in chiesa che nella vita di ogni giorno. PV è anche formazione teologica (“intelligenza della fede”) e culturale (in particolare formazione storico artistica per preparare le visite), e questo porta ad una lenta guarigione del “divorzio” che le giovani generazioni vivono tra il campo della fede (spesso solo emotiva) e gli studi universitari (generalmente “allergici” alla dimensione trascendente). È anche formazione al coraggio della testimonianza e alla capacità di ascolto ed empatia, perché durante il “servizio” i giovani volontari di PV “si giocano la faccia” andando ad incontrare ogni turista che entra nell’edificio sacro. È formazione alla comunità, perché le pietre vive non sono “guide individuali”, la formazione ed il servizio sono fatti in gruppo per fare crescere la profonda comunicazione spirituale comunitaria. Ed è formazione alla sensibilità ecclesiale, perché si tratta di “prendersi cura” del patrimonio della Chiesa, e di essere per migliaia di non praticanti “il primo sorriso della Chiesa”, come diversi vescovi hanno detto alle pietre vive che fanno servizio di visite nelle loro cattedrali. È infine una formazione al discernimento vocazionale, perché l’assistente spirituale del gruppo aiuta a raccogliere ciò che si è ricevuto nell’esperienza PV per orientare la vita. Lasciare PV dopo alcuni anni è quindi un passo verso un impegno più adulto nella Chiesa. Si passa dal “rendere le pietre viventi” all’“essere” una “pietra viva” nel senso neotestamentario di questa espressione.23 Essere cristiani adulti che contribuiscono all’edificazione della Chiesa.
Un elemento specifico di PV che “scuote” il turista ed educa il volontario è la gratuità radicale delle visite offerte. Quando alcuni turisti insistono per lasciare un’offerta, dopo diversi e decisi rifiuti, la pietre viva dice: “dai l’offerta al primo povero che trovi o a qualcuno che conosci che ne ha bisogno”. È a questo punto che il rapporto tra il turista e la pietra viva fa un salto sorprendente. Iniziano domande del tipo: “Chi sei?”, “Perché stai facendo questo?”. O confessioni come: “Era molto tempo che non entravo in una c/Chiesa…”, “Ho avuto un’esperienza negativa molti anni fa”, “In verità ho sempre creduto in Dio, il problema è che…” Il volontario PV diventa per un momento un “compagno spirituale”. E il turista inizia a trasformarsi in pellegrino.
Un’altra caratteristica che contraddistingue le visite di PV è l’animazione durante le ore del servizio di un “angolo della preghiera” all’interno della chiesa. Può essere una cappella laterale o la stessa cappella del Santissimo. Le pietre vive si fermano a turno nell’angolo della preghiera o per la loro preghiera personale silenziosa o per cantare alcuni canoni di Taizé o per accompagnare la preghiera con un arpeggio. Le pietre vive si fermano nell’angolo della preghiera anche dopo ogni visita per riposare qualche minuto, per rendere grazie a Dio, e pregare per ciascuna delle persone che hanno accompagnato. La pietra viva restituisce così nelle mani del Padre celeste quei suoi figli che Egli gli ha affidato durante il tempo della visita guidata. Inoltre in questo “angolo della preghiera” possono anche fermarsi gli stessi turisti che vogliono riposare in silenzio, o lasciare sedimentare le parole ascoltate, o confidarsi più personalmente con qualcuno, o semplicemente scrivere il loro nome e/o una preghiera nel “quaderno” che trovano sull’altare e che i volontari leggeranno durante la loro preghiera comunitaria alla fine della giornata di servizio.24
La grande autonomia dei diversi gruppi locali ha permesso in questi anni lo sviluppo di diverse esperienze innovative come visite per i non vedenti e persone con altri tipi di disabilità, visite interattive con dinamiche di manualità, visite per i bambini, visite per appartenenti ad altre religioni, visite per gli ospiti della Caritas e per i rifugiati, visite notturne con le porte della chiesa aperte sulla “movida”, percorsi di formazione per catechisti e insegnanti di religione.
Tutte queste esperienze sul campo (ampiamente descritte nelle pubblicazioni indicate sopra25) hanno “dato corpo” ai seguenti nuclei ispirativi di carattere biblico, patristico ed agiografico. Questi nuclei erano delle “ipotesi teologiche iniziali” che la prassi pastorale di questi 10-15 anni ha confermato e che ancora oggi continuano a ispirare la “martyría” delle pietre vive.
(i) Il crocifisso di San Damiano. Un momento centrale nella vita di Francesco d’Assisi è il famoso episodio del crocifisso che gli parlò nella cappella di San Damiano. San Bonaventura racconta nella sua “Legenda Maior”26 come il “poverello” di Assisi entrò in questa cappella mezza distrutta e pregando davanti a un crocifisso si sentì dire queste parole: “Francesco va e ripara la mia casa che, come vedi, sta cadendo in rovina”. Le fonti ci dicono che Francesco inizialmente interpretò questa chiamata in senso letterale ed iniziò a riparare parte del tetto caduto di questa cappella. Solo più tardi fece la “traduzione metaforica” e cominciò a prendere coscienza della necessità di una “riforma” della Chiesa. Questo episodio tocca l’essenza stessa di PV perché mostra come un’immagine sacra sia stata strumento di una straordinaria vocazione. In effetti, la forza vocazionale dell’arte cristiana è una delle dimensioni che PV aiuta a scoprire. Ma allo stesso tempo l’episodio di San Damiano mostra come ogni vocazione sia vocazione alla edificazione e riforma della Chiesa. In effetti PV si riconosce come un piccolo contributo, tra molti altri, alla “riforma” della Chiesa in termini di maggiore semplicità, maggiore spiritualità, maggiore accoglienza. L’ecclesialità di PV è un’ecclesialità per la “rivivificazione” delle comunità cristiane locali. Per finire, nell’episodio di San Damiano, il lento itinerario interiore di Francesco tra il “riparare la chiesa” ed il “riparare la Chiesa”, mostra come la cura per la chiesa sia parte ed inizio della cura per la Chiesa. La povertà radicale di Francesco non entra in alcun modo in contrasto con la sua attenzione generosa per l’edificio sacro.
(ii) Il “tropaion” della Resurrezione. Eusebio di Cesarea nel libro X della sua Historia Eclesiastica, narra la costruzione delle prime basiliche cristiane dopo l’editto di Milano (313) come un evento escatologico.27 Per questo storico cristiano, il Corpo di Cristo, “che prima era disperso in luoghi diversi” dove i cristiani si nascondevano a causa dalla persecuzione, ora si può riunire in un solo luogo e formare così un solo corpo vivo. La “Chiesa” raccolta grazie alla “chiesa” fa della “chiesa” un segno del compimento dei tempi. Ecco perché in questo stesso testo, Eusebio immagina un discorso pronunciato nel 316 in occasione della consacrazione della Cattedrale di Tiro, l’oratore si rivolge ai suoi ascoltatori con parole del tipo: “Quale re, dopo la sua morte, è in grado di vincere tante battaglie e di portarci dalla Sua vittoria un trofeo come questo edificio in cui vi trovate?”. La parola “trofeo” (in greco “tropaion”) ha un significato molto preciso in ambito militare. Il “tropaion” è un oggetto, simbolo del sovrano vittorioso, che estende la sua sovranità ovunque sia portato. È quindi un segno che “realizza ciò che significa”, è un segno “performativo”, qualcosa di non molto lontano da ciò che nella teologia cattolica chiamiamo “sacramento”. Affermare che la cattedrale è un “tropaion” della Risurrezione, è affermare che l’edificio religioso “estende la sovranità” della Risurrezione di Cristo a chiunque vi sia dentro. Il fatto che l’edificio sacro cristiano sia un “segno efficace” della Risurrezione può essere visto sia nella fenomenologia di cui sono testimoni le pietre vive che accolgono migliaia di visitatori, sia nel filo conduttore della maggior parte dei programmi iconografici della grande Tradizione. Le grandi cattedrali e basiliche sono una “rappresentazione efficace” della liturgia come anticipazione della Risurrezione finale, ossia come incontro reale con il Risorto.
(iii) La scala di Giacobbe. Il testo usato in tutte le liturgie di consacrazione delle chiese28 è la famosa narrazione del sogno (o “scala”) di Giacobbe.29 Nella tradizione ebraica, la pietra di Giacobbe era letta come l’“aben shetiya”, la “pietra di fondazione” del Tempio di Gerusalemme,30 l’intero Tempio è riassunto in questa pietra. Ed effettivamente il testo di Genesi 28 è già una “narrazione eziologica” sul Tempio. Per la prima volta si legge l’espressione “questa è la casa di Dio, la porta del cielo”.31 Come recentemente ha dimostrato Ousterhout, l’architettura cristiana del quarto secolo, e dei secoli successivi, ha cercato di recuperare parte del simbolismo teologico del Tempio di Gerusalemme,32 in modo che, con il moltiplicarsi dei luoghi di culto cristiani33 nella “oikumene”, si può parlare di un singolo “tempio diffuso”, di un “tempio ecumenico”.34 Bene, questo racconto descrive perfettamente il percorso spirituale di coloro che oggi entrano per visitare una chiesa. “Pietra”, in ebraico “aben”, suona molto simile a “figlio” (“ben”), un’assonanza che consente il gioco di parole metaforico. Quello che Giacobbe ha tra le mani è il suo “essere figlio” è il problema che lo tormenta: se è un figlio benedetto o un figlio maledetto, dopo aver “strappato” la benedizione del primogenito a suo fratello. È proprio sul baratro di questo profondo dubbio esistenziale che Dio rinnova l’alleanza con Giacobbe, unendo cielo e terra con una scala dove i messaggeri salgono e scendono, cioè dove le parole dalla terra salgono fino al cielo e dal cielo scendono sulla terra. Il servizio di accoglienza delle pietre vive è proprio quello di consentire a chi entra in una chiesa di “prendere in mano” il dubbio ancestrale sul suo essere figlio e, con lo scambio di parole tra cielo e terra, riscoprire la sua identità profonda di figlio benedetto e amato. È quindi una unione tra cielo e terra, “casa di Dio”, “porta del cielo”, come la chiesa stessa.
(iv) Il roveto ardente. Il più antico racconto eziologico sul luogo sacro nella Bibbia è forse il famoso episodio della vocazione di Mosè davanti al roveto ardente, una probabile allegoria alla Menorah presente nella “hekal” del Tempio.35 In questa narrazione il punto di svolta più significativo è quando nel versetto 4 Mosè passa da “voler vedere” ad “accettare di ascoltare”. Passaggio che viene rappresentato “graficamente” poco dopo con il “coprirsi il volto”, per poter finalmente “ascoltare Dio”. Il Tempio intero è quel “velo sul viso per poter ascoltare”. Allo stesso modo, il turista che oggi entra in una chiesa per “vedere”, scopre, grazie all’“angelus interpres” (la pietra viva), che la chiesa è un luogo dove “ascoltare”. Quell’ascolto è tradotto nel testo come una dinamica di “memoria”. E da quel “ricordo” rinasce la “promessa” (“una terra dove scorrono latte e miele”) e sorge la vocazione (“Ti mando al faraone”, …“Sarò con te”). La visita guidata della pietra viva è un aiuto al turista per “ricordare” la propria storia di salvezza. Poi il turista si scopre “a casa”, e si può togliere i “sandali” con cui si è difeso da ogni contatto diretto. Quindi la pietra viva può continuare ad accompagnarlo nell’ascolto profondo della promessa e della vocazione, che è sempre una vocazione al servizio della liberazione.
L’adesione profonda e sorprendente di questi testi all’esperienza concreta del volontariato PV è uno stimolo costante per continuare a parlare, come Stefano, del tempio per testimoniare Gesù. E se un giorno le pietre vive riceveranno pietre per avere detto che le chiese hanno a che fare con Gesù, sapranno che è perché “i loro volti brillano come i volti degli angeli”,36 e perché forse allora le chiese avranno già raggiunto il compimento della loro missione storica.
(Napoli, gennaio 2019)
Note
1. Y. CONGAR, Le mystère du Temple, Ed. du Cerf, Paris 1958, 131-180; P. DI LUCCIO, “Il Tempio di Gerusalemme e il Tempio Futuro”, in A. TRUPIANO – N. SALATO (edd.), Il Verbo si fa carne. L’umano come luogo di incontro con Dio in Gesù Cristo, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2015,117-137.
2. Cfr. per esempio episodi come la presentazione al Tempio (Lc 2,22-28), Gesù tra i dottori del Tempio (Lc 2,41-49), l’espulsione dei mercanti dal Tempio (Mt 21,12-13; Mc 11,11-17; Lc 19,45-48; Gv 2,13-21); ma anche le tracce del contrasto interpretativo come in Mt 24,1-2; Mc 13,1-2 e Lc 21,5-6; e le profezie sulla distruzione del Tempio sullo sfondo della Passione: Mt 26,61; Mc 14,58; Mt 27,40; Mc 15,29. Yves Congar sintetizza: “Vraiment Jésus a transféré à sa Personne le privilège, longtemps détenu par le Temple, d’être l’endroit où l’on rencontrerait la Présence et le salut de Dieu” (Y. CONGAR, cit., 154).
3. Atti 6,13.
4. Atti 6,14.
5. Atti 7,44-53.
6. Atti 7,54ss.
7. Cfr. Atti 7,55.
8. La “World Tourism Organization” (WTO – UNWTO), con sede a Madrid, calcola che 1323 milioni di turisti nel 2017 hanno visitato “un altro paese”. è una cifra in costante aumento in questi ultimi 20 anni e non include il “turismo nazionale” (cioè, chi visita il proprio paese), né le visite incalcolabili di monumenti nella propria città o nelle città vicine senza pernottamenti. Cfr. https://www.e-unwto.org/doi/pdf/10.18111/wtobarometeresp.2018.16.5.1.
9. Cfr. B. FORTE, “Turismo sostenibile. Turismo di relazione”, in E. STRACCINI (Ed.), Il turista, il viaggio e la valorizzazione del territorio, Chieti 2018, 7-27.
10. “Simposio Euro-Mediterraneo. Verso un’identità del Turismo religioso. Bellezza e Stupore”. I Sessione, Assisi 18-19 gennaio 2019.
11. Cfr. il film ”The Shape of Water” (2017) del regista messicano Guillermo del Toro Gomez.12. H.G. GADAMER, Wahrheit und Methode, Tuebingen 1960.
13. Di fronte ai maestri della laicità ermeneutica come la “Wiener Schule der Kunstgeschichte” o figure come Giosuè Carducci o Adolfo Venturi, si parlava generalmente di “immagini sacre” o “manufatti”.
14. F. NIETZSCHE, La gaia scienza, n. 125.
15. Cfr. J. RATZINGER, La bellezza, la Chiesa, Itaca, Castel Bolognese 2005.
16. The Telegraph, 17/6/2017: “One in six young people are Christian as visits to church buildings inspire them to convert”. https://www.telegraph.co.uk/news/2017/06/17/one-six-young-people-christian-visits-church-buildings-inspire/.
17. Cfr. J. P. HERNANDEZ, “Quale arte oggi, nella bellezza della liturgia, per quale evangelizzazione”, in F. MAGNANI e V. D’ADAMO (edd.), Liturgia ed evangelizzazione, Rubettino, Palermo 2015, 177-183. (trad. ingl.: “Transmitting a View”, Pietre Vive. The Journal, Oct. 2018, 52-57: http://www.pietre-vive.org/wp-content/ uploads/2018/11/low-res-LS-Journal-No6-October-2018.pdf)
18. P. FLORENSKIJ, Beyond Vision. Essays on the Perception of Art, Reaktion Books, London 2002, 54.19. Cfr. http://www.guidecasa.com/qui-sommes-nous/pourquoi-casa.
20. Atti 26,40.
21. Cfr. https://nartex.org/.
22. Oltre a un gran numero di articoli sulla stampa quotidiana e settimanale, vale la pena menzionare i seguenti studi: J.P. HERNANDEZ, “Lo spazio sacro come kerygma e mistagogia”, RTE XIV (2010) 28, 353-380; J.P. HERNANDEZ, “Nuevos caminos que expresan la belleza y acercan a la belleza”, Sal Terrae 100/2 (2012)117-130; J.P. HERNANDEZ, “El arte de ver: la experiencia de piedras vivas”, Sal Terrae 100/11 (2012)1043-1050; M. L. SIMONATO, Dar vita alle pietre, (Tesi di Laurea in “Economia e gestione dell’arte e delle attività culturali”), Venezia 2013; N. SUNDA, “Piedras Vivas y la Nueva Evangelizaciòn”, Raz`on y Fe n. 1379 (2013) 223-226; M. L. SIMONATO, “La vita delle pietre. Arte ed evangelizzazione”, in Parola e tempo, Annale dell’ISSR Rimini 2013; J.P. HERNANDEZ, “L’evangelizzazione nello spazio sacro”, in Atti del convegno FTER sulla Nuova Evangelizzazione, Bologna 2013; T. ZORC, NOVA EVANGELIZACIJA S POMOCJO UMETNOSTI V LAISKI SKUPNOSTI PIETRE VIVE (DIPLOMSKO DELO), Bovec (Slovenja), 2014; J.P. HERNANDEZ, “Annunciare la bellezza della fede: le pietre vive”, in Rogate ergo, 2015; D. ANTONELLO, Pietre Vive. I giovani annunciano la fede attraverso l’arte. (Tesi, Milano 2018); G. PRIVITELLI, “Spaces of Memory and Contemporary Encounters; a case study of the Oratory of the Beheading of St John the baptist at the Conventual Church of St John the Baptist, Valletta, Malta (presented on behalf of Living Stones)”; in Atti del Convegno delle Cattedrali Europee, Pisa ott. 2018. Cfr. anche il sito web ufficiale http://www.pietre-vive.org/ con i video e la rivista on-line “Pietre Vive. The Journal” con testimonianze e riflessioni sulle attività dei volontari. E la rivista ufficiale dell’Apostolato della Preghiera in Italia, “Il messaggio del Cuore di Gesù”, che dedica una rubrica a PV.23. 1Pt 2,4-6.
24. Maggiori dettagli sulle dinamiche spirituali delle visite guidate PV in: http://www.pietre-vive.org/history-and-identity/.
25. Cfr. nota 22.
26. S. BONAVENTURA, Legenda Maior Sancti Francisci, II,1.
27. Cfr. EUSEBIO DI CESAREA, Historia Eclesiastica, X, 2-4.28. Cfr. PONTIFICALE ROMANUM, De Ecclesiae Dedicatione sive Consecratione.
29. Gn 28,10-19.
30. Cfr. Z. VILNAJ, Legends of Jerusalem, Philadelphia 1973, 10ss.
31. Gn 28,17.
32. R. OUSTERHOUT, “New Tempels and New Salomons. The Rhetoric of Byzantine Architecture”, in P. MAGDALINO and R. NELSON (edd.), The Old Testament in Byzantium, Dumbarton, Washington 2010, 223-254.
33. Non è necessario specificare qui che la teologia di un edificio di culto cristiano è radicalmente diversa dalla teologia del Tempio di Gerusalemme. Per il primo cristianesimo il tempio è il corpo di Cristo e la comunità cristiana. Per questo motivo nei primi secoli i cristiani si vantavano di non avere edifici specifici per il culto. Anche optare per la forma basilicale fu nel quarto secolo un modo di scegliere una forma architettonica “profana” per segnare la differenza tra la nuova religione cristiana e le religioni del passato. Ma la recente indagine, che qui presentiamo, sottolinea, all’interno della discontinuità fondamentale, la continuità tra la teologia del Tempio ebraico e la teologia del tempio cristiano.
34. Cfr. Y. CONGAR, Le mystère…, cit., : «Les églises, elles aussi, servent à la vie de nos âmes comme temples spirituels, puisqu’elles sont le lieu de la prière; elles servent à notre union en un corps communionel, puisqu’elles sont le lieu de l’assemblée chrétienne. Et, comme l’eucharistie, plus largement qu’elle encore, elles assument les éléments du monde et le travail de l’homme. Elles sont, elles aussi, les prémices de la création offertes à Dieu et attirées à la société du corps du Christ, qui les réunira et les consacrera toutes. C’est pourquoi les riches cathédrales et, plus modestement, les églises et les chapelles dispersées sur la surface du globe, convoquent les éléments du monde et recueillent tout vestige de beauté à la louange du Créateur, en même temps qu’elles représentent le cortège glorieux des saints. Elles sont le signe et la promesse que tout sera réuni, le visible et l’invisible, le corporel et le spirituel, dans l’unique temple de Dieu et de l’Agneau».
35. Cfr. B. S. CHILDS, Il libro dell’Esodo. Commentario critico-teologico, Casale Monferrato 1995, 63ss.; B. JACOB, Das Buch Exodus, Stuttgart 1997, 42ss.; J. PLASTARAS, Il Dio dell’esodo, Torino 1976, 51s.; H. GRESSMANN, Mose und …, cit., 23ss.; E. LEVINE, The Burning Bush. Jewish Symbolism and Mysticism, New York 1981; P. WEIMAR, Die Berufung des Mose, Goettingen 1980; A. NEHER, “Moses and the Burning Bush”, in DorleDor 4(1975)159-67; U. CASSUTO, A commentary on the book of Exodus, Jerusalem 1967, 30ss.; L. ALONSO SCHOEKEL, Salvezza e liberazione: l’esodo, Bologna 1996, passim; A. SPREAFICO, Il libro dell’esodo, Roma 1992, 33ss.; J. D. LEVENSON, Sinai and Zion. An entry into the Jewish Bible, New York 1987, 90ss.
36. Atti 6,15.