Emilio Salvatore

Emilio Salvatore

Starting from the relationship among humanity, art and environment , the author takes up the biblical account of Gen 1 : 1-31 to bring out the interconnection that binds man to other living beings and to the earth itself. And it shows how this discourse is present in some forms of ecological art of our times, based on the impact on the environment and the use of recycled and sustainable materials that artists have been able to understand and put into practice.

Jared Diamond, nella sua opera Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, Einaudi, Torino 2005, ricostruisce la fine dell’isola di Pasqua, che fu scoperta dall’olandese Jakob Roggeveen il 5 aprile 1722, giorno di Pasqua. Agli occhi dello scopritore apparve uno spettacolo desolante: l’isola era completamente priva di vegetazione e abitata da appena centoundici uomini malnutriti e degradati; gli animali erano quasi completamente scomparsi, tranne pochi esemplari di uccelli marini, e l’unica specie che ostinatamente sopravviveva era quella dei topi. In compenso, lungo il cratere di un vulcano si notavano, adagiate per terra, 397 statue gigantesche, raffiguranti in modo stilizzato un torso umano maschile senza gambe e dalle lunghe orecchie.

Le statue misuravano dai 4,5 ai 6 metri di altezza, mentre la piú alta raggiungeva i 21 metri, e pesavano dalle 10 alle 270 tonnellate. Lungo le tre strade che dal mare conducevano al vulcano si trovavano altre 97 statue, mentre sulla costa erano visibili circa 300 piattaforme di pietra, che un tempo sorreggevano altre 393 statue. Tutt’oggi le statue, che intanto sono state poste in posizione eretta, incutono nello spettatore una strana e sinistra emozione. Cos’era successo? L’isola di Pasqua era stata molto rigogliosa e abitata da dodici clan di polinesiani, sbarcati, a quanto pare, nel 900 d.C. Sennonché, tra il 1200 e il 1500 d.C., essi cominciarono a gareggiare tra loro nel costruire le statue più grandi e più pesanti. Per trasportare queste statue dal cratere del vulcano fino alla costa, gli abitanti dell’isola ricorsero al sistema di costruire due binari paralleli in legno, lungo i quali facevano scorrere le statue trattenendole con funi e utilizzando in quest’operazione anche slitte e leve di legno. Tutto era costruito con alberi di alto fusto, mentre le funi erano ricavate dalla corteccia fibrosa degli stessi alberi. Anno dopo anno, l’intera foresta fu abbattuta e allora gli abitanti dell’isola pensarono di scappare, ma non c’era più legno per costruire le canoe. Il cibo venne meno e, come spesso avviene in questi casi, i superstiti ricorsero all’antropofagia.Isola di Pasqua

La parabola è quanto mai attuale per tutti noi. Vi è un intervento dell’uomo che può essere letale per la sua sopravvivenza. Ciò è chiaro nei fenomeni di deforestazione e di devastazione ambientale in genere. Nel caso dell’isola di Pasqua si tratta di un’arte (o forse dovremmo meglio dire di una téchne) che distrugge il creato.

Il messaggio biblico: l’uomo nella casa comune

Tra arte, uomo e creato, invece, nella Bibbia vi è una sostanziale interrelazione. Nonostante che per molto tempo il racconto della creazione del mondo da parte di Dio in sei giorni sia stato certamente assai equivocato e mal utilizzato (cf R. Bauckham, L’ordine della creazione, Marcianum Press, Venezia 2016), Gen 1,1-31 mostra come Dio organizza, nei primi tre giorni, l’ambiente per i viventi: nel primo crea la luce, così che si formi la sequenza di giorno e notte; nel secondo il firmamento che separa l’oceano primordiale, ora sopra il firmamento, dalle acque sotto il firmamento, quindi, nel terzo, la terra asciutta accumulando le acque sulla terra nel luogo proprio loro assegnato, i mari. La terra stessa produce la vegetazione che la rende un luogo in cui gli animali possono vivere. Vi sono dunque tre ambienti: cielo; acque e terra per corpi celesti; creature marine, uccelli ed esseri viventi terrestri (mammiferi, rettili, insetti, umani). Non vi è uno spazio solo per l’uomo.

Ciò vuol dire che anche noi siamo animali terrestri che devono condividere una casa comune con altre creature che vivono sulla terra e derivano da essa, ma siamo distinti da una particolare caratteristica, l’immagine di Dio, e da un unico ruolo di dominio sugli altri viventi. Il racconto è stereotipato, con frasi chiave ripetute di continuo “di ogni genere”, “secondo la loro specie”; del resto sono proprio queste espressioni quelle che manifestano l’interconnessione tra l’uomo, gli altri esseri viventi e la terra stessa, secondo un principio di biodiversità ossia della variabilità degli organismi viventi di ogni origine ed i complessi ecologici di cui fanno parte sia nell’ambito delle specie, sia tra le specie dell’ecosistema.

La contrapposizione tra uomo e natura nasce in qualche modo nella storia del pensiero nel momento in cui essa diviene oggetto di studio, come se l’uomo se ne chiamasse fuori, per diventarne puro osservatore. Si tratta di una dicotomia che rende la natura schiava e non “sorella e madre” (come ci ha ricordato Papa Francesco nella Laudato si’, 1, richiamando il Cantico delle creature: FF 263). La terra precede l’uomo ed è nello stesso tempo affidata all’uomo (come nel racconto genesiaco: cf Gen 2,15). Una certa idea di manipolazione e di sfruttamento è estranea al testo biblico e alle culture antiche. Il Dio artista e giardiniere, che crea gli ambienti e vi colloca l’uomo, esprime una visione della relazione tra l’uomo e la natura nei termini di alleanza, che riflette del resto quella che esiste tra il Creatore e l’uomo stesso: una relazione armonica, non una lotta antagonistica.

Vi è però un’altra interrelazione, che riguarda proprio la presente riflessione, quella uomo/arte/creato. Essa si esplicita nel fare artistico di Dio, che è al tempo stesso giardiniere1 nel primo racconto; e vasaio nel secondo (cf Gen 2,7); e nella fruizione estetica dell’opera prodotta («E Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona/bella»: Gen 1,31). L’arte, che Dio pone in essere nella creazione, genera una condizione non solo di vita, ma anche di vivibilità, all’insegna della bellezza.

Il primo esempio di arte per l’ambiente lo mette in atto Dio stesso: giardiniere, artista e fruitore della medesima.

L’arte per la casa comune

Il racconto biblico mostra dunque come la dicotomia tra uomo e creato; ma anche tra arte e natura; tra scienza ed estetica2 sono in realtà da superare.

Il rapporto arte-natura, com’è ovvio, è stato variamente teorizzato e configurato nel corso del tempo. La natura sarebbe una sorta di sistema totale, composto di esseri viventi e cose inanimate “che presentano un ordine, realizzano dei tipi e si formano secondo leggi”, dotato di una sua autonomia secondo principi preordinati e definiti (leggi, appunto), che determina un’amplissima serie di esseri, fenomeni, eventi, oggetti. Al fianco della natura, per quanto iscritto al suo interno, sta l’uomo, con le sue abilità e capacità, che a sua volta agisce in maniera simile alla natura, ma contrariamente ad essa, determinando fenomeni, eventi, oggetti (e forse ora anche esseri).
Per Platone l’arte in quanto copia, dunque, sarebbe inferiore, implicando una superiorità dell’imitandum rispetto all’imitatum. Per molti secoli, in tale prospettiva, ci si è soffermati sulla considerazione di come la natura è entrata nell’arte come contenuto, ma vi è un altro aspetto che riguarda il rapporto tra arte e natura ed è rappresentato dal paesaggio, che di fatto è una modalità particolare di rapporto tra la società e l’ambiente, una sorta di groviglio di entità indipendenti (topografia, geologia, formazioni vegetali e raggruppamenti di animali, condizioni climatiche, idrografiche ecc. ecc., ma anche edifici). Tutti questi elementi interagiscono secondo una totalità dinamica, di conseguenza rispetto ad una ricognizione scientifica di tipo classico, nel paesaggio bisogna andare oltre l’aspetto meramente descrittivo per entrare in una logica di coinvolgimento, che in qualche modo ci porta a svilupparci con il paesaggio (ib., 221). È quanto gli artisti hanno compreso e praticato a partire dalla seconda metà del Novecento, attenti al rapporto tra paesaggio, arte, sprechi, inquinamento e responsabilità sociale. Essi hanno assorbito e reinterpretato queste problematiche in modo nuovo, cercando di instaurare un diverso rapporto con il mondo naturale. Negli ultimi anni il discorso sull’arte ecologica sì è articolato in diverse forme in base all’impatto dell’arte sull’ambiente e all’uso di materiali di riciclo o sostenibili.

Da una parte essi lavorano nell’area del design ecologico, cercando di ridurre al minimo gli impatti dannosi sull’ambiente, integrando l’arte nelle esperienze del vivere quotidiano. In questo senso l’opera d’arte è il punto d’unione tra persone, piante, animali e l’ambiente naturale. Inoltre, per combattere gli sprechi, dovuti soprattutto alla dismissione di installazioni artistiche temporanee ma anche di scarti domestici, si è diffusa la pratica del riciclo e riuso dei materiali, che vengono così riportati a nuova vita per diventare un esempio di eco-arte. Dall’altra essi cercano di informare gli spettatori sui problemi ambientali, ripristinando luoghi fragili e danneggiati dall’uomo e valorizzando l’importanza della biodiversità attraverso una vasta gamma di forme di comunicazione artistica.

L’ecological restoration ad esempio è famosa per coinvolgere direttamente il pubblico in attività o performance artistiche per accrescerne l’empatia verso questioni legate alla conservazione dell’ambiente naturale. La Land Art, emersa per la prima volta come prodotto di un movimento artistico degli anni ’60 e ’70, utilizza materiali derivanti ​​dalla natura per creare opere d’arte connesse alla terra, spesso realizzate in luoghi remoti per enfatizzare ulteriormente il potere e la bellezza della natura.  Uno degli esempi più famosi di Land Art è Spiral Jetty di Robert Smithson. Creato con fango, cristalli di sale e roccia nel 1970, Spiral Jetty si trova a Great Salt Lake (Utah). La scultura è un mirabile esempio di un movimento artistico che lavora con la terra e costringe il pubblico a considerare l’intero ambiente come parte del lavoro.

In conclusione, gli artisti socio-ecologici assumono una funzione critica ed etica. Questo è quanto deve fare l’architettura, la scultura e tutte le altre forme d’arte, oggi: sono chiamate a sensibilizzare le comunità e plasmare le coscienze. Il loro messaggio è chiaro: salvare l’ambiente. Per quanto indiretto e circoscritto, non è un impegno da sottovalutare. Si tratta di un contributo originale che testimonia nei fatti l’interrelazione fra uomo e creato, chiave di volta per una nuova stagione dell’uomo e della terra, se non vogliamo fare la fine dell’isola di Pasqua.


1 L’espressione è di Christophe Boureux, sacerdote domenicano, dottore in teologia e in antropologia religiosa, docente di teologia sistematica all’università cattolica di Lione, ma anche addetto alla gestione paesaggistica e forestale del terreno del convento domenicano di Sainte Marie de la Tourette, ideato da Le Corbusier, autore del libro Dio è anche giardiniere, Queriniana, Brescia 2016.
2 Questo è un tema assai vivo negli ultimi anni anche nel contesto del dibattito sul rapporto tra la scienza e l’arte, sempre in prospettiva inter- e transdisciplinare. In particolare, la figura di Leonardo emerge come antesignano in tal senso: cf S. LORUSSO – M. MANTOVANI, «L’integrazione dei saperi “della mente, del cuore e delle mani” nelle scienze e nella vita: genio e normalità», in Conservation Science in Cultural Heritage 19 (2019) 21.