Theodora Tzavella
L’icona della resurrezione di Lazzaro
Come Cristo restaura la natura ferita
(Tessalonica, 15 Giugno 2021)
1. La rottura della comunione creaturale
Il lettore delle prime narrazioni della Genesi e più precisamente di quelle che descrivono l’inizio del progetto creativo di Dio1, potrebbe facilmente dedurre alcune conclusioni che formano la base della fede cristiana, raccogliere informazioni per l’interpretazione dei problemi ecologici dell’oggi in chiave cristiana o anche ispirarsi il modo di affrontarli. Però, prima di tutto se uno legge il testo biblico, forse potrebbe capire più facilmente le sue varie rappresentazioni iconografiche e diventare capace di distinguere la prospettiva salvifica che esse suggeriscono.
La prima conclusione che possiamo ricavare da questa lettura è che tutto, il tempo corrente, lo spazio e tutto quello che lo riempie, si creano dal nulla, ex nihilo, da un Dio Creatore che è il Signore del creato, che fa tutto molto buono/bello con il suo buon desiderio o il suo Verbo e che lui stesso non fa parte della natura e della materialità di essa. L’azione creatrice divina non trova il suo analogo umano siccome crea dal nulla e senza nessun materiale preesistente, mentre tutti i suoi prodotti si distinguono in sostanza dal loro creatore, sono dominati e determinati da lui2, non attraverso la sua forza o potenza ma piuttosto tramite una relazione di diakonoia e amorevole cura, come sottolinea un santo padre della Chiesa3.
La seconda conclusione che si evince dalla lettura della narrazione biblica è che l’uomo viene creato dall’inizio per avere un posto speciale entro un mondo che è stato proprio creato per lui4 e che ha un rapporto speciale col suo creatore. Infatti, Dio che fa tutto in libertà e non per forza, senza alcun bisogno o fatica ma solo dal suo buon volere, annuncia la creazione dell’uomo rivelando così la cura speciale e il suo amore per lui. Poi, lo crea dal materiale più umile, la terra, e soffiandogli un alito di vita, lo rende “a sua immagine” regalandogli tutti quei carismi spirituali, la logica, la creatività, il volere, la libertà, che lo distinguono da tutto il creato, e “a sua somiglianza”, con l’inestimabile possibilità di diventare come lui5.
Cosi l’uomo diventa un’entità psicosomatica, un essere composto in cui si uniscono elementi materiali e spirituali. Dio lo benedice e gli concede il dominio della terra. Successivamente, come si legge, lo pone in un giardino con tutti i buoni alberi della natura e i loro frutti deliziosi, assegnandogli di coltivarlo e di proteggerlo6. In altre parole, l’uomo acquisisce un diritto e una obbligazione: di lavorare la terra e di custodirla7.
A questo punto sarebbe utile sottolineare due elementi molto rilevanti e decisivi per comprendere la qualità del rapporto Dio-uomo. Il primo è la vicinità che esiste tra loro in un approccio antropomorfico dal momento della creazione dell’uomo; si potrebbe anche dire che appena il primo Adamo apre i suoi occhi, vede il volto di colui che gli dà la vita. Il secondo è l’amore e la fiducia che investono le loro relazioni, aspetti che caratterizzano la relazione di un padre con il proprio figlio anziché quella di un padrone con il suo servo. In questa prospettiva il perentorio monito che Dio rivolge all’uomo di governare-custodire il creato non è per caso l’icona in cui Adamo nomina ogni essere vivente, dimostrandone cosi la sua superiorità rispetto ad essi?8.
Così facendo egli perde il suo carattere sovrano e la sua libertà non si tramuta in incontrollabile autoritarismo e diritto di sfruttamento dei doni di Dio bensì in responsabilità di una sana gestione, di preservazione e di protezione di queste Benedizioni. Inoltre, leggendo il testo biblico si può facilmente comprendere che la stessa atmosfera di amore che si avverte nel rapporto del Creatore con la sua creatura, ha un suo primo corrispettivo nel rapporto dell’uomo con la donna, sicché si tratta di due collaboratori al progetto di Dio, pari e senza antagonismi, che vedono l’uno nell’altro se stessi9, e anche nel rapporto dell’uomo con il resto del mondo, dove tutti gli esseri coesistono in armonia.
In seguito, la narrazione biblica descrive il disturbo, con l’iniziativa dell’uomo, che avviene a questi rapporti. La disobbedienza dei primi umani alla volontà del loro creatore provoca la divisione della loro unità e porta alla rottura della loro comunione, mentre la richiesta di autonomia e il rifiuto della loro dipendenza dalla fonte di vita che è Dio, li porta fuori dal paradiso e ad una vita ormai diversa, di fatica e dolore che finisce con la morte. Questo disturbo della connessione primaria dei protoplasti con Dio si riflette anche nei rapporti tra loro e nei rapporti con il resto del creato, gli animali, le piante e l’ambiente in generale. I primi vengono avvelenati dall’antagonismo e la sottomissione servile della donna all’uomo mentre la paura della morte trasforma tutti gli esseri, le cose o i fenomeni del creato a potenziali nemici. Il mondo diventa una minaccia e l’uomo il suo sfruttatore e dominatore, ormai incapace di distinguere la creativa e amorevole presenza di Dio in esso10.
Nei protoplasti viene rappresentata tutta l’umanità e conseguentemente anch’essa viene ferita dalla loro caduta, causata dall’allontanamento dal loro creatore vivificante. Ed è proprio da questo errore che deriva anche la rottura del legame organico dell’umanità con la madre natura, la quale si ribella e reagisce. Questa crisi interiore ed esistenziale dell’uomo, esteriorizzandosi, lascia la sua impronta su tutti gli aspetti della vita umana. Ciò viene considerata da diversi teologi cristiani come la causa più profonda dei problemi attuali tra l’uomo e l’ambiente11.
2. L’arte e le ferite dell’umanità: l’icona della resurrezione di Lazzaro
Allora, cosa potrebbe fare l’arte – e in particolare, l’arte iconografica della Chiesa ortodossa – per l’ambiente ferito e violato che subisce le conseguenze di una tale crisi? Come potrebbe curare le ferite di un’umanità che continua a procedere disorientata su questa scena del mondo così rabbuiata dopo la sua caduta? Come potrebbe contribuire alla terapia delle metastasi dell’egocentrismo ipertrofico che avvelena il corpo di questo mondo? L’arte sarebbe capace di dimostrare la dimensione spirituale del problema ecologico e proporre come soluzione la possibilità perduta dell’uomo di essere “sacerdote” della natura, completando il lavoro del primo Adamo, cioè il suo riferimento al creatore comune, portandola con sé nel suo cammino di ritorno verso la fonte di vita12?
La pittura d’icone nell’Ortodossia, un’arte cristiana sia rispetto al contenuto sia alle sue finalità, si esprime attraverso un linguaggio icastico trasformato dalla vita, dall’evoluzione e dalla tradizione della Chiesa13. Fin dall’inizio quest’arte è stata adottata dalla Chiesa per formare le basi della fede alla realtà spirituale e per la visualizzazione della sua teologia, combinando storicità ed escatologia. Cosi essa narra le verità e i dogmi della fede e funziona in modo narrativo, didattico ed apocalittico con l’intenzione di rivelare la prospettiva escatologica della vita ed il mondo della Grazia al qui e ora. Essa riflette il mondo dello spirito nel mondo della materia e specchia il tempo del regno di Dio che è già qui ma non ancora. L’agiografo s’ispira, come anche il salmista, alla Bibbia e alla tradizione della Chiesa e trasforma in icona tutto quello che contribuisce alla salvezza, elaborando silenziosamente la sua teologia.
L’asse centrale di questa teologia e della fede cristiana è la convinzione che la salvezza si realizza con l’incarnazione del Verbo di Dio, che “tutto è stato fatto per mezzo di lui”14 e che viene a restaurare l’uomo caduto e la natura ferita, che si trovano intrappolati entro la tirannia della morte. Lui, Cristo, Figlio di Dio, unificando a sé stesso la natura umana con quella divina, dona una nuova prospettiva all’uomo ma anche a tutta la realtà materiale, poiché la inonda della sua presenza divina, la divinizza, la rende capace di theosis15.
L’iconografia bizantina della risurrezione di Lazzaro forse potrebbe offrirci una risposta alle domande poste sopra, dato che presenta degli elementi che dimostrano il modo in cui Cristo interviene per restaurare la abominevole condizione della morte, mostrando come Dio Padre non abbia mai abbandonato la sua creatura, anche quando questa lo rinnega.
Nel Vangelo di Giovanni leggiamo che Gesù, che era cordialmente legato alla famiglia di Lazzaro, riceve in tempo il messaggio delle sue sorelle, Marta e Maria, per la gravità della sua salute, ma non risponde alla loro richiesta e aspetta che il suo amico muoia. Quando s’avvicina a Betania, il luogo di residenza della famiglia, lo raggiunge Marta e poco dopo anche Maria e gli esprimono il loro lamento che però è anche la loro convinzione, che lui avrebbe potuto salvare il loro fratello. Marta gli esprime pure la sua speranza per l’insperato e Gesù gliela conferma, rafforzando la sua fede debole, parlandole del “qui ed ora” e non di un futuro lontano. E poco dopo, di fronte al dolore di Maria, essendo umano come tutti noi, Cristo non nasconde la sua tristezza per il dolore dell’umanità e la morte dell’amico. In seguito, ordina di aprire la tomba, prega e parla con un’intimità senza precedenti al Padre, ringraziandolo per aver ascoltato la sua preghiera. Poi, chiede a Lazzaro di uscire e quest’ultimo appare ancora legato con le bende e il sudario della sepoltura. Quindi Gesù, parlando ai presenti dice loro: “Scioglietelo e lasciatelo andare”16.
L’episodio biblico della risurrezione di Lazzaro viene festeggiato dalla Chiesa Ortodossa alla fine della Quaresima e particolarmente il Sabato prima della Domenica delle Palme, come un messaggio di anticipo della morte e della risurrezione di Gesù che si festeggerà una settimana dopo. Infatti, la malattia di Lazzaro che gli provoca la morte diventa anche la causa della sua risurrezione e gli eventi che si susseguono tendono a mostrare la divinità di Gesù. Corrispondentemente, l’innologia liturgica della festa, che in sostanza anticipa la vittoria della vita sulla morte, si concentra proprio a dimostrare che Gesù è Dio, poiché solo Lui è la risurrezione e la vita17 e solo Lui può richiamare in vita un uomo morto da quattro giorni che già emanava cattivo odore18.
Inoltre, vuole che questo miracolo sconvolgente sia accreditato alla fede debole dei discepoli di Gesù – ma non meno a quella dei fedeli di oggi – per rafforzarli psicologicamente di fronte alle passioni del loro maestro. Inoltre, presenta Lazzaro come un precursore che viene dai morti col messaggio della salvezza. Una comprensione simile dell’evento propongono anche i Padri della Chiesa che, sottolineando lo splendore del miracolo, adattano le loro estensioni ermeneutiche ai loro scopi pastorali. Cosi, l’amico morto di Gesù viene paragonato alla mente morta dalle passioni e dai desideri dell’uomo che, ben legata dai nodi del peccato e con gli occhi chiusi, non può discernere la presenza di Dio o muoversi verso lui; rischia di morire di morte spirituale e, solo con la metanoia, diventa capace di rispondere alla salvifica chiamata divina, come un altro Lazzaro19.
Nelle chiese ortodosse la narrazione del miracolo, cioè la sua iconografia, è inclusa nel novero del cosiddetto Dodekaìmeron o Dodekàorton, cioè le dodici grandi feste bizantine o, in altre parole, tutti quegli eventi della vita di Gesù (l’Annunciazione, il Natale, l’Epifania, la Presentazione al tempio, la Domenica delle Palme, la Crocifissione, la Risurrezione, l’Ascensione del Signore e l’Assunzione della Theótokos) che realizzano il piano salvifico dell’economia divina20. Le scene del Dodekaìmeron sono collocate nella sommità delle arcate del tempio o sulle icone portatili dell’iconostasi che divide il santuario dal resto del tempio. In altre parole, si collocano simbolicamente tra la storia e l’eschaton.
Infatti, lo sguardo del fedele vede nella zona inferiore dell’iconografia del tempio, i santi – umani come lui – con episodi della loro vita, poi alza lo sguardo verso gli eventi della divina economia fino al Pantokrator, il Cristo dipinto nella cupola centrale. Così, lo stesso sguardo si muove rispettivamente attraverso le icone dell’iconostasi dall’oggi della vita quotidiana all’atmosfera dell’Eucaristia e del Regno di Dio entro il santuario.
3. Oltre il corpo ferito dell’umanità: rinascere a vita nuova
Nell’iconografia l’episodio biblico non si presenta come una scena allegorica, ma come un episodio vero e proprio della storia che avviene in un determinato luogo geografico in un preciso momento del tempo e dello spazio, con tutti gli elementi della narrazione evangelica ma anche della sua teologia. Pertanto, tutti i partecipanti del miracoloso evento trovano una loro precisa collocazione nello spazio: il gruppo dei discepoli con Pietro e Giovanni evidenti in molte sintesi ed il gruppo degli Ebrei amici componenti della relativa famiglia, le due persone che muovono la pietra che chiude la tomba e che slegano il sudario di Lazzaro, le sorelle di Lazzaro, Marta e Maria, Lazzaro stesso, in piedi o seduto, avvolto dalle sue bende bianche da morto, e naturalmente, Gesù. Sul fondo si vedono le montagne e le mura di Betania indicandone la posizione geografica. (vd fig.1).
La luce riempie lo spazio, definisce e modella i suoi elementi presentandoli senza una prospettiva lineare, bensì rovesciata. Questa luce non esprime il momento del giorno e non segue regole geometriche o le leggi della fisica, evitando così di appesantire esteticamente la visione con le ombre di persone e di cose aggiungendo volume e gravità. Ecco perché la pietra che chiude la tomba sembra affaticare colui che la solleva, ma non appare voluminosa e pesante, come pure le montagne si presentano leggere come nuvole che si lanciano verso il cielo. Evidentemente, la descrizione della realtà non è un obiettivo della pittura bizantina dato che essa mira piuttosto alla deduzione del significato passando dal piano storico a quello metastorico o simbolico21.
Le figure umane sono anch’esse determinate dalla luce interna che dona loro un contorno intenso e constante. L’iconografo le espone nella loro presenzialità prospettica, sia in gruppo sia ognuna separatamente, affinché risalti la loro speciale rilevanza. I discepoli seguono il loro Maestro e anche se lui aveva cercato di prepararli a quanto sarebbe seguito, rimangono ignari e guardano sconvolti a quanto sta accadendo22.
Nonostante la sorpresa provocata dal miracolo, tra gli Ebrei presenti e gli amici che compiangono con la famiglia ci sono anche coloro che guardano con diffidenza. Proprio questi ultimi riferiranno l’episodio ai Farisei e a Caifa, suscitando la loro ostile reazione e profetizzando l’eliminazione fisica di Gesù23. Nell’icona un uomo alza la pietra che chiude la tomba, un altro si chiude il suo naso con le mani a causa dell’insopportabile fetore che emana il cadavere, una terza persona poi gli slega il sudario, le bende bianche che avvolgono tutto il corpo del defunto. Le sue sorelle, Marta e Maria, si trovano ai piedi di Gesù riconoscenti per l’immensa e inconcepibile grazia ricevuta lasciando trasparire un’espressione di acuta gioia, ma forse anche di tristezza per la debolezza della loro fede fino a quel momento (vd fig.2). Tutti questi personaggi diventano incontestabili testimoni di un evento straordinario.
La persona di Gesù, come si evince dall’innologia della festa e dall’ interpretazione ermeneutica patristica del brano evangelico in questione, assume una priorità di merito anche dalla presentazione iconografica. Essa diventa così la figura centrale di sintesi, la fonte della potenza ed il Signore della vita e della morte. Il suo comando rivolto a Lazzaro di risvegliarsi e alzarsi non lo possiamo ascoltare, ma diventa eloquente dinnanzi alla struttura dinamica del corpo che con la mano destra tiene un rotolo, e con l’altra solleva in direzione dritta un movimento di benedizione, mostrando come un’espressione di Beatitudine, rivolgendo intensamente il suo volto-sguardo verso l’amico morto e ora resuscitato (vd fig.3). Quest’ultimo, vivificato dalla divina Grazia, rinasce a vita nuova passando dal buio alla luce, mostrandosi all’apertura della tomba, giovane, con la barba scura e un viso triste – impronta della sua esperienza mortale, destino comune di tutta l’umanità -, accettando silenzioso e obbediente la beneficienza, inclinando leggermente la testa (vd fig.4), non solo ormai dal Gesù storico ma anche dal Cristo escatologico della fede e, fasciato come è dalle sue bende mortali – altro segno evidente della morte -, sta per rifare i suoi primi passi alla vita.
L’icona della risurrezione di Lazzaro non è una semplice rammemorazione di quanto accaduto secoli fa ma un’evocazione teologica custodita nel tempo sulla quale fondare un’attitudine di vita, una vera rinascita. L’arte iconografica ecclesiastica persegue anche questo fine, vale a dire una potente teologia visiva resa accessibile e comprensibile in ogni epoca24.
E la narrazione (istorisi) iconica della risurrezione di Lazzaro potrebbe rafforzare la fede anche rispetto alla cura del corpo ferito dell’umanità e al recupero del suo rapporto con l’ambiente naturale attraverso Cristo. Il Dio Verbo che crea il mondo non abbandona il suo creato ma anche dopo la sua apostasìa, non smette di intervenire e di rinnovarlo. Anche per questo prende l’iniziativa di diventare umano e di nascere nella storia per incontrare la sua creatura, della quale si prende cura, la guarisce in vari e diversi modi, ne recupera i sensi e ne fortifica la fede come ha fatto con le sorelle di Lazzaro e infine, con la stessa voce che ha creato il mondo, la richiama alla vita e la salva dalla tirannia della morte. Ma tutto ciò avviene in modo discreto, libero, senza violare il consenso della creatura e ogni singola volta con la sua partecipazione. Non è per caso che Gesù chiede ai presenti di rimuovere la pietra della tomba e di aiutare Lazzaro a camminare. Lo fa per chiederci un piccolo contributo quanto sia possibile per sé stessi e per gli altri e per poi offrirci l’impossibile.
Il viso terribile della morte è qui presente e si dimostra anche con gli elementi iconografici, come la sensazione di disturbo di fronte al cadavere maleodorante di Lazzaro e anche il suo viso afflitto e triste. Ma Cristo viene ad onorare questo corpo e a resuscitarlo, mostrando tutto il suo valore25, poiché è con esso che si nasce, con esso che si vive e si custodisce la vita, è col corpo che si esprime e si comunica con il mondo circostante e con tutto il creato. Con il corpo si prega e si fa ascesi ed è tramite esso che l’uomo può rinascere. Tutto ciò in virtù anzitutto del corpo del Dio Verbo che si incarna, muore e risuscita.
Dunque, la risurrezione di Lazzaro per l’arte iconografica dell’Ortodossia intende mostrare il primato che Cristo dona e riserva alla natura umana, il suo riscatto e la sua redenzione dalla morte, tramite Lui.
Con Lazzaro non viene resuscitata solo una persona ma l’intera umanità e con essa anche la natura si trasforma. E ovviamente, l’incarnazione del Figlio di Dio determina una sorta di catalizzazione della salvezza e per la possibilità di divinizzazione (thèosis) dell’uomo, che è invitato a ricordarsi del rapporto vivificante cοl Padre e tramite questo, del suo ruolo primario nel creato: quello del governante e del custodire quale amministratore saggio, quello di essere parte integrante in quanto “sacerdote”, ovvero colui che, riconciliatosi con ogni essere vivente piccolo o grande di questo mondo, riconosce in esso il sigillo amorevole del Creatore. A Lui lo riporta con gratitudine, lo santifica, e con esso giunge alla salvezza26.
Bibliografia
Fonti:
La Santa Bibbia, Società Biblica Greca, Atene 2003 (in greco).
Libri:
Konstantinou, M. D., Ρήμα Κυρίου κραταιόν. Testi narrattivi dal Vecchio Testamento, ed. Pournaras, Tessalonica 42001 (in greco).
Keselopoulos, An., Uomo e ambiente naturale, Studio su San Simeone il Nuovo Teologo, ed. Domos, Atene 1989 (in greco).
Ekonomou, El. V., Ecologia Teologica. Teoria e Prassi, ed. Mavrommati, Atena 1994 (in greco).
Mantzaridis, G., Etica Cristiana, ed. I.M.Vatopediou-Aghion Oros, v. II, Tessalonica 2019 (in greco).
Zizioulas, J., Il creato come eucaristia, ed. Akritas, Atene 1992 (in greco).
Kalokiris, K., La pittura dell’Ortodossia, ed. Pournaras, Tessalonica 1972 (in greco).
Bloom, Ant., The Vulnerable God, ed. En Plo, Atene 2008 (in greco).
Skliris, p. St., Attraverso uno specchio, ed. M.P. Grigoris, Atene 1992 (in greco).
Riviste:
Thermos, p. V., “Il corpo come campo di convergenza”, Vie della Psiche, v.1, ed. Armos, Atene 2011 (in greco).
Siti elettronici:
http://orthocristian.com/120720.html#sdfootnote2sym
1. Gen 1-2.
2. M. D. Konstantinou, Ρήμα Κυρίου κραταιόν. Testi raccontativi dall’Antico Testamento, ed. Pournara, Tessalonica 42001, p. 70-71 e p. 74-75 (in greco).
3. Il santo Simeone il Nuovo Teologo, sottolinea che, anche se Dio è il dominatore di tutto il creato, la sua relazione con esso non è tirannica, ma rimane una relazione di diakonoia, di umiltà e kenosi e la paragona per contrapposizione con i potenti di questo mondo che opprimono i deboli. Su questi temi si veda An. Keselopoulos, Uomo e ambiente naturale. Studio su San Simeone il Nuovo Teologo, ed. Domos, Atene 1989, p. 51-52 (in greco).
4. Gen 2, 19.
5. Gen 1, 26-27.
6. Gen 2, 8-9.
7. Un biblista greco, docente di Antico Testamento, sostiene che in questa interpretazione biblica l’ecologia si comprende anche come economia, dato che il “lavorare” può essere collegato anche ad un’attività economica mentre il “custodire” all’attività ecologica del prendersi cura dell’ambiente. L’uomo lavorando la terra, riceve benefici e prendendosene cura contribuisce alla sua conservazione e protezione. El. V. Economu, Ecologia Teologica, Teoria e Prassi, ed. Mavrommati, Atene 1994, pp. 143-146 (in greco).
8. Nelle percezioni dei popoli antichi di quell’era, dare nome a una persona o ad una cosa portava anche il dominio su di essi da parte di colui che li ha nominati, cfr. M. Konstantinou, Ρήμα Κυρίου κραταιόν. cit., pp. 74-75.
9. Gen 2, 23.
10. Per la tradizione patristica ortodossa, il Dio Triadico si riflette su tutto il creato e sulle cose invisibili che sono in relazione con Lui e che possono essere comprese proprio tramite il creato, che diviene l’icona del suo modo di essere. Questa è la cosiddetta teoria fisica dei Padri della Chiesa che riguarda un modo di essere tramite la ricerca del Verbo creativo di Dio nella natura e della sua personale presenza resa evidente nella bellezza, nell’arte e nella saggezza delle cose, come anche nel conseguente spirito di gratitudine che caratterizza l’uso di esse. Cfr. An. Keselopoulos, Uomo e ambiente naturale, cit., pp.36-37 e pp. 135-143.
11. Questo nota il teologo ortodosso docente di etica cristiana G. Mantzaridis, Etica Cristiana, ed. Holy Monastery of Vatopedi – Aghion Oros, v. II, Tessalonica 2019, pp. 575-577 (in greco).
12. J. Zizioulas, Il creato come eucaristia. Approccio teologico al problema dell’ecologia, ed. Akritas, Atene 1992, p. 123 (in greco), tr. it. ed. Qiqajon, Comunità di Bose 1996.
13. K. Kalokiris, La pittura dell’Ortodossia, ed. Pournaras, Tessalonica 1972, pp. 116-117 (in greco).
14. Gv 1,3.
15. Ant. Bloom, The Vulnerable God, ed. En Plo, Atene 2008, p. 18-20 (in greco).
16. Gv 11, 1-44.
17. Gv 11,25.
18. Gv 11,39.
19. Questa ermeneutica allegorica dell’episodio biblico è di Teofilatto di Ocrida (1050-1107), santo della Chiesa Ortodossa (accessibile sul sito Orthocristin.com).
20. La pittura nell’Ortodossia opera anche come arte liturgica dato che intende contribuire alla comprensione del mistero dell’Eucaristia, scrive il docente di Archeologia Bizantina K. Kalokiris, La pittura dell’Ortodossia, cit., p. 120.
21. L’iconografo bizantino non è interessato a presentare il mondo in dettaglio ma piuttosto ad esprimerlo trasformato dalla Grazia di Dio e liberato dalla pesantezza fattuale. Quell’unione di storicità ed escatologia è unificante, come si vede anche nel miracolo della risurrezione di Lazzaro dove il Gesù storico che chiama Lazzaro alla vita è anche l’onnipotente Figlio di Dio. Su questo aspetto rimandiamo alle riflessioni dell’iconografo St. Skliris, Attraverso uno specchio, ed. M.P. Grigoris, Atene 1992, p. 212 (in greco). Quanto all’assenza della prospettiva lineare nella pittura bizantina e in generale nell’arte bizantina si veda Cyril Mango, Byzantium: The empire of New Rome, ed. MIET, Atene 2010, pp. 301-330 (in greco).
22. Gv 11, 14-15.
23. Gv 11, 46.
24. K. Kalokiris, La pittura dell’Ortodossia, p. 115.
25. Nel mistero dell’Incarnazione di Dio è possibile cogliere anche la portata della nostra partecipazione al suo Corpo e al suo Sangue nell’Eucaristia e la loro ricezione. Il corpo diventa un’espressione dell’ipostasi autentica della persona integra e completa. Come osserva acutamente il teologo ortodosso greco Niko Nissiotis, l’uomo non ha un corpo ma è il suo corpo; cfr. V. Thermos, “Il corpo come campo di convergenza”, Vie della Psiche, v.1, ed. Armos, Atene 2011, pp. 70-77 (in greco).
26. Per essere “sacerdote del creato” la persona umana dovrebbe recuperare il senso di quella sacralità che Dio le ha concesso in dono. Ecco perché nell’Eucaristia ortodossa si riportano a Dio i suoi doni, trasformati dagli uomini in pane e vino e Lui li restituisce ad essi come Corpo e Sangue. Quindi, un “sacerdozio” del genere richiede un ampio atteggiamento esistenziale che abbraccia tutte le pieghe della vita umana e include tutte le azioni umane. Un tale atteggiamento non può che essere eucaristico. J. Zizioulas, Il creato come eucaristia, cit., pp. 118-119.