Botticelli, artista & designer
Botticelli, artiste & designer, est le titre de l’exposition qui a été consacrée à cet artiste au musée Jacquemart André de Paris, du 10 septembre 2021 au 24 janvier 2022, sous le patronage de l’Ambassade d’Italie en France. Parler d’un « évènement » n’est pas exagéré : Paris a beau être Paris, ce n’est pas tous les jours, en tout cas pas chaque année, que des œuvres des vedettes sommitales de la Renaissance italienne sont déplacées dans la capitale française. Bien sûr, pas toutes, et en tout cas pas les plus connues. Il a fallu renoncer, entre autres, à La naissance de Vénus, Le Printemps, la Nativité mystique.
Mais l’exposition parisienne, qui prend place dans un musée pouvant se flatter de posséder dans ses collections permanentes des tableaux de contemporains de Botticelli, est à la fois copieuse (une cinquantaine d’œuvres du peintre ou de ses proches, parmi lesquelles Le Jugement de Pâris, un Portrait de Julien de Médicis, et surtout une dizaine de ses plus originales Vierge(s) à l’Enfant, trois Vénus en pied et La Belle Simonetta), bien conçue et bien orchestrée, et son catalogue, publié de façon très soignée par Fonds Mercator (Bruxelles) est un modèle du genre : la présentation des œuvres est précédée par une séries de six introductions, dont quatre sont signées d’auteurs italiens comptant parmi les meilleurs plumes équipées pour parler de manière pertinente et vivace de l’œuvre de ce peintre, de ses rapports avec l’impétueux dominicain Savonarole, qui finira sur le bûcher en 1498, et avec la fascination la Renaissance qu’aurait nourrie le peintre, avant de s’en repentir, pour la beauté en soi, déconnectée d’une vision spécifiquement chrétienne du monde. Ajoutons qu’il y a comme un accord entre l’œuvre de ce peintre et le caractère secrètement bourgeois et renaissant de l’architecture qui abrite le musée Jacquemart André : Botticelli y paraît comme chez lui…
François Bœspflug
Botticelli, artista & designer, è il titolo della mostra consacrata a questo artista, presso il museo Jacquemart André di Parigi, dal 10 settembre 2021 al 24 gennario 2022, sotto il patrocinio dell’Ambasciata d’Italia in Francia. Non è esagerato parlare di « evento » : Parigi è Parigi, ma non accade tutti i giorni, nemmeno tutti gli anni che delle opere eccelse del Rinascimento italiano siano collocate nella capitale francese. Non tutte, naturalmente, in ogni caso le più conosciute. Si è dovuto rinunciare, tra le altre, a La nascita di Venere, La Primavera, La Natività mistica. Ma la mostra parigina, che ha sede in un museo che, potendo vantare di possedere nelle sue collezioni permanenti dei dipinti di contemporanei di Botticelli, è allo stesso tempo copiosa (una cinquantina di opere del pittore o di artisti a lui vicini, tra le quali Il giudizio di Parigi, Un ritratto di Giuliano de’ Medici, e soprattutto una decina delle sue opere più originali della Vergine e Bambino, tre Veneri in piedi e La bella Simonetta), ben concepita e organizzata.
Il suo catalogo, pubblicato in modo molto curato dal Fonds Mercator (Bruxelles) è articolato nel modo seguente: la presentazione delle opere è preceduta da una serie di sei introduzioni, di cui quattro sono firmate da autori italiani, tra le penne più importanti per parlare in modo pertinente e vivace dell’opera di questo pittore, dei suoi rapporti con l’impetuoso domenicano Savonarola, che finirà al rogo nel 1498, e con il fascino del Rinascimento che avrebbe nutrito il pittore, prima di pentirsene, per la bellezza in sé, slegata da una visione specificamente cristiana del mondo. Aggiungiamo che vi è come un accordo tra l’opera di questo pittore e il carattere segretamente borghese e rinascente dell’architettura che ospita il museo Jacquemart André: Botticelli sembra come a casa sua…
François Bœspflug
La chiesa di San Gennaro
La chiesa di San Gennaro, costruita nel 1745 da Ferdinando Sanfelice per volere di Carlo di Borbone, è nel cuore del Real Bosco di Capodimonte, centro del culto e dell’artigianato fin dalla sua realizzazione. L’istituzione della Fabbrica di Porcellana segna infatti l’inizio dello sviluppo di una comunità produttiva direttamente connessa alla vita della Reggia e della stessa chiesa. Le attività di culto sono proseguite fino al 1970 e, in seguito ai primi restauri avvenuti dopo il terremoto del 1980, la chiesa è stata adibita principalmente a spazio espositivo. Oggi l’edificio sacro si svela al pubblico sotto una rinnovata veste che, potrebbe dirsi, rappresenta il ponte tra passato e presente, anche con l’obiettivo di ripristinare l’originaria funzione celebrativa. L’intervento di Santiago Calatrava, che nell’ultimo anno si è occupato dell’aspetto decorativo della chiesa in collaborazione con gli studenti e i maestri artigiani della “Real Fabbrica di Capodimonte – Istituto Superiore ad Indirizzo Raro Caselli”, rappresenta una perfetta sintesi della tradizione locale artigianale campana e l’evoluzione delle tecniche artistiche applicate all’architettura.
Nel progetto di riqualificazione e ripristino voluto dall’architetto spagnolo un ruolo fondamentale riveste la luce, sia quella naturale che quella artificiale: attraverso un processo di riflessione sugli elementi decorativi in porcellana collocati nel sacro edificio, il visitatore è immerso in un’atmosfera densa sul piano spirituale, suggestiva, in cui la luce diventa colore nel blu delle pareti, sulle vetrate e sui vasi dell’altare principale. Il soffitto, decorato con oltre ottocento stelle a otto punte, come in tante antiche chiese paleocristiane, fa da prospettiva non solo scenografica ai particolari decorativi collocati all’ interno: colombe, fiori, foglie, ai rami, un corredo naturale che avvolgendo ed esaltando in un clima di viva spiritualità le nicchie degli altari laterali e gli paramenti sacri degli altari, lega l’interno all’esterno, la natura e lo spazio costruito. Perchè in effetti Calatrava attraverso la ridecorazione della chiesa ha voluto omaggiare non solo la storia dell’artigianato partenopeo ma anche il valore sacrale dell’intero ambiente, uno dei più antichi e grandi giardini storici d’Italia, di cui la chiesa è fulcro naturale e religioso.
Silvana Bruno
CRUX, per crucem ad lucem
“CRUX, per crucem ad lucem” di Davide Coltro presso la GASC (Galleria d’Arte Sacra dei Contemporanei), Villa Clerici (MI), un’installazione per rivelare l’Invisibile.
“CRUX, per crucem ad lucem” di Davide Coltro presso la GASC (Galleria d’Arte Sacra dei Contemporanei), Villa Clerici (MI), un’installazione per rivelare l’Invisibile.
di Marcello FrancoliniCrux per crucem ad lucem, è l’installazione che l’artista Davide Coltro ha attivato a partire dal 2 aprile scorso alla GASC di Villa Clerici, su invito del Direttore Luigi Codemo. Un’operazione che riporta al centro del dibattito culturale italiano il ruolo dell’arte nei confronti del senso religioso inteso come capacità di rivelazione dell’invisibile.
D’altronde questa propensione all’invisibile trova grande simmetria operativa con l’attuale universalismo dell’arte postmoderna italiana in questo primo ventennio del XXI Secolo. Se potessimo fare un Grand Tour d’Italie1 come quello ideato nel 2019 a Bologna, da Elisa Del Prete e Silvia Litardi, vedremmo che la costante di fondo ai lavori dei diversi artisti è una certa propensione ad uno sguardo universale che trattiene in uno tutti i diversi linguaggi che compongono l’opera d’arte ultimissima. Potremmo metaforicamente pensare alla stessa reductio ad unum che il Cristianesimo cela dietro la più alta manifestazione dell’Invisibile che non si mostra che ex gradibus, attraverso una serie ininterrotta di intermediari. In questa matrice il mondo si esplica come una valle di simboli che si legano e s’intrecciano ad altri e così via. Questa è la medesima ricerca delle connessioni analogiche che l’arte sembra intenzionata a redimere oltre lo scientifico, il finanziario, il tecnologico della società attuale. Ecco come allora il ritrovarsi dell’arte nella dimensione del religioso, appare come un’esigenza di risposta alternativa ad una culturalizzazione dell’economica che scade sempre più nella brandizzazione dei valori. Con Crux per crucem ad lucem, Davide Coltro riconfigura l’esperienza della “distanza dal reale”, intesa come condizione nuova causata dalla Pandemia di Covid-19, come un’esperienza di “distanza dal visibile nell’invisibile”. Il mondo del digitale in ciò è molto vicino al concetto di luogo mentale più che a quello di spazio fisico, e Coltro risponde all’esigenza di smaterializzare l’opera con la naturale incorporeità del simbolo, dell’archetipo in quanto la sua natura aeriforme si sostanzia nel luogo fuorché lo spazio.
Alla luce di questa considerazione, Crux è costruita per funzionare come opera d’arte sacra, aspirando così a quella capacità di restituire al popolo la partecipazione attiva alle celebrazioni religiose. D’altronde proprio quest’esigenza rappresentò il contenuto del Sacrosanctum Concilium, il primo documento post Concilio Vaticano II di quel Papa Paolo VI che riavvicinò la Chiesa all’arte contemporanea2. Ed è proprio da qui che Crux trova piena coerenza. Letteralmente, l’opera si muove con la liturgia, cambiando la formulazione delle proprie composizioni nelle occasioni delle feste religiose.
La stabilità della forma-croce viene alleggerita ed espansa dalle immagini in essa contenute. Qui il monitor trova il modo di mostrare il fuori-quadro dell’immagine, che diventa secondo l’autore tela elettronica, dove, l’esterno, in un ribalto percettivo, da sfondo diviene figura. I margini in questo caso sono parte dell’opera, la linea di contorno è la relazione tra l’archetipo e la realtà, la premessa necessaria a ricostruire i nessi del fisico e del metafisico, come nel principio della Dispositio ex clausione linearum, secondo l’intuizione pre-vasariana di Bonaventura da Bagnoregio, in cui il confinare della linea è proprio ciò che porta alla luce la figura3. In questo caso dunque abbiamo una mutevolezza degli spazi nel luogo concreto della Croce.
Nel caso specifico la prima si è avuta durante la Quaresima, che letteralmente è anche il momento in cui il corpo di Cristo diviene simbolo della reincarnazione. Qui Coltro sembra ricercare nell’accostamento analogico della croce al cielo, una rappresentazione figurale dell’origine simbologica della croce. Il fuori e il dentro, la verticalità e l’orizzontalità, la croce e il cielo si collegano all’esigenza di riorganizzazione dello spazio cosmico, tra Terra e Cielo, divenendo così bussola di una socialità attualmente confusa. Il cielo è all’opposto, fonte dell’ordinamento sacro. In questa croce di cieli troviamo una certa forma di resistenza ad una scienza utilitaristica che non vede che i fenomeni cosmici in sé stessi, senza scrutare oltre la materialità la loro capacità di rappresentare segni sensibili dell’ordine che presiede al cielo e, riflesso, si ripercuote sulla terra. Come controesempio alla contemplazione della volta celeste come prima trascendenza sacra, si ripensi a quell’opera titanica che fu I Simboli del Medioevo di Gérard de Champeaux, all’incrocio tra antropologia e teologia, dove si legge: Il simbolismo del cielo è universale quanto il Libro sacro4.
In linea con tali mutamenti, si è avuta la seconda configurazione, in occasione della Pentecoste. Ai cieli sono seguiti i colori puri, disposti per composizioni di linee verticali, che mostrano il tempo nella variazione luminosa che alterna le combinazioni quanto sono i possibili calcoli che stanno alla base del software generativo. Ma il colore non associato alla materia è direttamente emanazione del luogo proprio interiore, la propria memoria ed esperienza si muove e si riflette tutta ad un tempo, per associare le gradazioni ad un proprio moto interno. E come se i precetti fenomenologici della Gestalt venissero piegati dall’artista per la figurazione pura astrattiva epifanica e mistica. Questa è la strada analogica allo Spirito Paraclito che distribuito a tutti gli apostoli e la Madonna, rende la Parola del Signore comprensibile ad ogni latitudine. Il colore puro rimanda ad uno stadio pre-logico di comprensione universale come al tempo stesso la spiritualità della Croce parla ad ogni popolo in ogni tempo.
L’ultima configurazione vedrà presto la luce. Coinciderà con l’Avvento di cui non abbiamo ancora anticipazioni se non che riguarderà il luogo originario del Cristianesimo essendo a proposito del volto di Cristo. In ultimo dunque ci si eleva verso ciò che è eterno, spiritualissimo, e nel mentre si ricorda la prima venuta ci si prepara all’attesa della seconda. L’opera di Coltro si innesta in quel tipo di fermento che l’arte cristiana esprime da sempre, ovvero quella possibilità di fare delle cose “materiali”, cose “sacramentali” riposizionando un certo senso del mistero che fa del mondo presente, preludio della promessa celeste per il mondo futuro.
Marcello Francolini
NOTE
1. E. Del Prete, S. Litardi, Un Grand Tour contemporaneo alla scoperta dell’arte italiana attuale, Rivista Arte e Critica, 12 ottobre 2020 (Link: https://www.arteecritica.it/grand-tour-ditalie-2019/)
2. Il Sacrosanctum Concilium è il primo documento emerso dal Concilio Vaticano II in materia di arte, che nel VII dedica ampio spazio all’arte figurativa sviluppato in nove temi: la dignità dell’arte sacra (n. 122); la libertà degli stili artistici (n. 123-126); la formazione degli artisti (n. 127); la revisione della legislazione sull’arte sacra (n.128); la formazione artistica del clero (n.129); le insegne pontificali (n. 130).
3. Disposizio ex clausione linearum sta per “disposizione prodotta da linee delimitanti”. Tale principio si riferisce alle teorie artistiche del teologo francescano Bonaventura da Bagnoregio, secondo cui l’artista possiede quella capacità di figurare mondi, di renderli evidenti, di delimitarli al fine di farli riconoscere in quanto figura distinta dallo sfondo.
4. Non è senza motivo che la prima riga della Bibbia ponga come dato fondamentale della geografia umana la dualità dialettica cielo-terra e non è senza motivo che l’Apocalisse, per concludere la Rivelazione e la storia, culmini in una grandiosa visione celeste. Terra, cielo: punto di partenza, punto d’arrivo, e tra i due, l’avventura umana. Il simbolismo del cielo è universale quanto il Libro sacro. Cit. in G. de Champeaux, S. Sterckx (trad. M. Girardi, I Simboli del Medioevo, Jaca Book, 1981, Cap. 1 pag. 11.