Alessandro Giovanardi
«Gesù visse in tre dimore terrene:
nel grembo della carne,
nel grembo dell’acqua battesimale
e nelle cupe caverne dell’oltretomba»
Giacomo di Sarug
Le acque scure di un fiume sono agitate nel profondo e le loro onde, con un fitto ribollire, emergono alla luce di un cielo metafisico che ne lumeggia finemente le creste in argento. Il letto del fiume è circondato da montagne vertiginose e dalle cromie fantasmagoriche: i flutti scorrono al centro della voragine che, aprendosi, ha spezzato una montagna in una due cime gemelle, a sua volta sdoppiatesi. Da ognuno dei vertici scendono fiotti d’acqua che alimentano l’ampio torrente, le cui viscere raccolgono tutto ciò che le acque dolci e quelle salate possono contenere nell’immaginario antico: pesci, rettili, valve, granchi, persino scorpioni e, infine, creature fantastiche. Tra queste, un uomo reca una brocca dorata a cavallo di un delfino rosso: dall’anfora e dalla bocca dell’animale scaturiscono spruzzi d’acqua. La figura immaginaria è la personificazione antropomorfa del Giordano già nota nei mosaici ravennati dei due battisteri, quello degli Ariani e quello dei Neoniani. E ancora acqua sgorga dalle fauci di un drago marino verde sulla cui schiena dimora, come accolta in una valva, una figura di donna coronata: si tratta del mare che in lingua greca è femminile (thàlassa).
Tutto fa cornice a questa icona del Battesimo di Cristo (fig. 1), la grande festa che la Chiesa orientale ricorda come la Grande Epifania e che i testi liturgici commentano attraverso tutte le prefigurazioni veterotestamentarie della missione del Verbo, a partire dalla traversata mosaica del Mar Rosso1: «le Sante Teofanie del Signore, Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo»2. Il suo autore è Onufri, nato al principio del XVI secolo forse a Berat in Albania o a Kastoria, in Macedonia ed educato nella Repubblica di Venezia, dove fu membro della Confraternita greca. Attivo come frescante ed esecutore di tavole dal nord-ovest della Grecia al sud dell’Albania, ma anche in Macedonia e in Moldavia, lo si ricorda come arciprete di Neokastron3: in ambiente ortodosso la delicata attività dell’arte sacra, oggi come allora, viene spesso affidata a monaci o ad altri ecclesiastici e il pittore d’icone deve essere consacrato dal vescovo per il suo peculiare ministero e formato e seguito da maestri riconosciuti per bravura e santità di vita; l’icona così ispira la vita spirituale ed è da essa ispirata4.
Della sua vasta attività, molti capolavori su tavola sono custoditi nei principali musei albanesi e soprattutto a Korça presso il Museo Nazionale d’Arte Medioevale che raccoglie le splendide pitture realizzate per l’iconostasi della cattedrale dell’Annunciazione a Berat5.
Nel loro insieme rappresentano uno dei vertici dell’arte sacra ortodossa di tutti i tempi e di quella cristiana tout court. La collocazione nella provincia albanese, il tempo in cui sono state realizzate, afferenti all’era post-bizantina, non le ha rese sufficientemente celebri a un pubblico più vasto, benché istruito e colto, restando nell’ambito della nicchia di esperti di questo periodo storico così fecondo per la pittura ecclesiastica e orientale e così misconosciuto. Un periodo che in Albania, come in Russia, può essere considerato ancora medioevale tra Cinquecento e Settecento e che per molti aspetti, in quanto autentica arte sacra, è vivo tuttora, perennemente fedele alle sue figure archetipiche fondamentali, alle sue tecniche e alle sue scelte estetiche.
E, tuttavia, ciò non significa che non vi siano distinzioni storiche, geografiche, stilistiche e formali, secondo le personalità, le botteghe e le scuole; al contrario: l’unità nella molteplicità è garantita dai grandi maestri come Onufri. In lui, la tradizione coloristica della pittura veneta che si sviluppa fin dalle origini dal ceppo dell’arte bizantina classica, si manifesta come una ripresa dei temi estetici svolti dai grandi pittori gotici, Paolo e Lorenzo soprattutto. Ma su questa influenza trecentesca, che si percepisce anche nelle preziose carpenterie, s’innestano gli elementi visionari dei maestri cinquecenteschi che permettono al maestro di Berat di aggiungere alcunché di favolistico, visionario e irregolare nelle sue icone, per altri versi ancorate alla più fine tradizione dell’età dei Paleologi, a cui si erano ispirati anche gli artisti veneziani dal tardo XIII alla prima metà del XV secolo.
Con Onufri potremmo parlare di un manierismo bizantino che si nutre degli aspetti simbolici della tradizione fino a dispiegarsi in sofisticate e immaginifiche allegorie; ciò nonostante, la sobria potenza teologale dell’arte iconica riconduce questo sforzo centrifugo verso il fulcro mistagogico dell’immagine. Ed è il caso del soggiogante Battesimo che mi appresto a commentare, scelto come esempio delle altre mirabili icone conservate a Korça. Qui il centro è ovviamente Gesù Cristo, il Dio-uomo, attorno a cui s’organizza la dimensione narrativa e didascalica dell’immagine riferita alla Sacra Scrittura e ai quattro Vangeli. Innanzitutto i Sinottici: «In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?. Ma Gesù gli disse: Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia». Allora Giovanni acconsentì. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto»6. In seconda istanza il Vangelo di Giovanni che riporta le parole del Battezzatore:«Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio»7.
Ciò che testimonia il Precursore è ribadito dal pittore, in quanto l’artista sacro, secondo un’espressione fin troppo nota, non disegna o dipinge l’immagine, ma la scrive, ponendo in relazione indissolubile la parola e la figura e mettendo a disposizione la sua vocazione figurativa al servizio del Verbo di Dio: gli Autori ispirati della Scrittura e i santi Padri, sono, difatti, i veri compositori dell’icona e il pittore solo un umile tramite che, tuttavia, deve saper visualizzare nella preghiera e aderire partecipe al tema che dovrà svolgere8. In questo caso, la testimonianza riguarda l’Epifania del Salvatore, riconosciuto come Signore dal Battista e, al contempo pienamente uomo, che, col chiedere d’essere irrorato dal profeta Giovanni, accondiscende al pieno fine dell’incarnazione e traccia il passaggio di consegne tra colui che è l’ultimo profeta dell’Antica Legge e il primo martire della Nuova e il Verbo fatto carne. Contemporaneamente l’icona dischiude la Teofania del mistero intradivino, per cui la Santissima Trinità si svela al mondo: la voce del Padre, lo Spirito come una colomba, il Figlio nella carne di Cristo. Ma il racconto di un episodio nodale della vita di Gesù, insieme alla manifestazione della dell’arcano triadico di Dio, non sono isolati come in una piatta narrazione, ma ribadiscono gli scenari del mistero pasquale di morte e resurrezione e i significati iniziatici e sacramentali ad essi collegati. Ciò che si afferma per il Battesimo vale per tutte le icone provenienti dal registro delle Grandi Feste, cui non si sottraggano quelle realizzate da Onufri per il templon dell’Annunciazione.
Come scrivevo sopra l’aspetto più fascinoso dell’icona è data dal contrasto, vorrei dire dall’antinomia tra il gran numero di dettagli minuti e immaginosi, rifiniti come in una preziosa miniatura e l’ampiezza del letto del fiume che ne esalta la dimensione abissale. Vi è, in effetti, un luogo simbolico tra i più suggestivi della nostra tradizione religiosa e mitologica– il che significa della nostra eredità artistica e iconografica – dove morte e resurrezione non solo s’incontrano ma paiono identificarsi, scambiandosi le parti. Tale luogo è l’acqua, metafora filosofica e teologica per eccellenza, che il vecchio Hegel, chiosando il «principio di tutte le cose» di Talete, definiva realtà speculativa più che empirica9. Le acque in psicoanalisi simboleggiano l’inconscio10, e quest’ultimo in filosofia diviene abisso e segno di trascendenza11. L’acqua pretende l’immersione, vuole essere attraversata fino all’annegamento o alla salvezza dell’eroe. Il linguaggio che procede per immagini ed emblemi vuole che l’acqua sia invece, a un tempo, entrambe le cose: inestricabilmente esperienza carnale e figura di pensiero.
Nelle potenti metafore cultuali e figurative del battesimo cristiano antico, che avveniva per immersione e il cui linguaggio iniziatico e, in senso platonico e patristico, esoterico, è rimasto a tutt’oggi intatto all’interno delle immemorabili liturgie orientali, sopravvive il rituale, quasi alchemico ribaltamento dell’abisso infero in acque benedette e di salute. Quando, nel rito della Chiesa ortodossa, la croce viene fatta discendere nel più comune dei liquidi, in occasione della benedizione delle acque battesimali, si ripete il gesto con cui Cristo è disceso agli Inferi, spezzandone le porte, per sottomettere Satana e sconfiggere la morte, portando con sé in un’ascesa vittoriosa i giusti e i sapienti inghiottiti dallo Sheol – o dall’Ade – prima della sua venuta: le insegne mortifere sottomettono paradossalmente la morte mentre viene enucleato il nocciolo di luce immerso nella nigredo infera12. Nella liturgia battesimale le acque purificatrici sono intese anche come la caverna demoniaca, il luogo dell’eterna infelicità e dello stridore di denti. L’iniziato non è solo purgato dai suoi errori ma è identificato misticamente con il Dio sacrificato e risorto: con Lui e in Lui scende nelle acque del battesimo – ossia nel cuore dell’Inferno – e vince il potere oscuro dell’Orco.
Non a caso l’immagine della Discesa è, nel mondo cristiano-orientale, una cosa sola con quella della Resurrezione13. Tutta l’iconografia bizantina della Discesa agli Inferi trasforma in visione pittorica un grande rituale iniziatico14. Il Cristo, come già Orfeo, Ulisse, Enea, come poi Beowulf e Dante, compie il viaggio impossibile nel regno della morte e ne ritorna come vero Re della luce. La discesa è già prefigurata da Giona in cui Cristo identifica la propria calata all’Ade15; l’eroe dell’Antico Testamento, è inghiottito dal mostro marino, dalla belva dei liquidi abissi, per cui l’acqua e il diavolo sono allegoricamente assimilati: il profeta è gettato nella vertigine, è immerso nell’Inferno profondo ed è sceso verso le subacquee «radici dei monti»16. Abbandonatosi alla volontà divina, sarà il mostro stesso a rigettarlo sulla spiaggia, simile a Giasone vomitato dal serpente17: nell’abbandono alla provvidenza divina, il Mostro, per l’«attenta anima nuda», si trasforma nel Principe18. L’esperienza del mondo infero sarà così un tuffo nell’acqua beatificante; di contro, l’acqua per nutrire deve prima uccidere. Il Giona ebreo, la cui epifania troverà una nuova forma fiabesca nel Pinocchio di Collodi19, conserva il terrore giudaico per le acque marine, simbolo mortifero del male, in seguito ripreso dai Padri20. Nel cristianesimo si ha, infatti, l’esplicita congiunzione, che è anche rovesciamento di senso, delle «acque di morte» con le «acque di vita», per cui il diluvio catastrofico è la riemersione di un Noè spirituale21.
La discesa di Giona «alle radici dei monti» probabilmente non ha rapporti diretti col dio solare sumero Utu-Shamash che attraversa di notte l’oceano delle acque sotterranee e di giorno esce dall’«immensa montagna» per aprire la «grande porta del cielo risplendente» col taglio del masso che lo seppellisce e uscire in trionfo tra due cime gemelle, sole ruscellante di luce e calore22. Tuttavia nell’Epopea di Gilgamesh, l’eroe semidivino, grazie all’uomo-scorpione, guardiano degli Inferi, passa attraverso le colline doppie seguendo la via celeste di Shamash, oltrepassando il cuore buio della montagna, le viscere da cui nessuno è mai uscito, luogo doppio e antinomico dove il Sole sorge e insieme tramonta23. Ma entrambe le narrazioni – quella profetica come quella mitica – sono compendiate nelle doppie montagne che incorniciano le scene pasquali bizantine e medioevali dalla Resurrezione di Lazzaro alla Crocifissine, dal Compianto sul Cristo morto alla Discesa agli Inferi fino alle Pie donne al sepolcro.
I doppi monti restano come metafore paradossali del passaggio impossibile tra due rocce cozzanti che rievocano i miti di Scilla e Cariddi, delle Simplegadi, delle Planktai, cammino periglioso verso i mondi inferi e le sfere superiori, dell’anabasis come dell’anastasis24. La montagna, sacra e cosmica, si riferisce d’altronde al simbolismo del centro del mondo e all’asse verticale che collega i piani dell’essere: gli immortali, i mortali, i morti; il suo spezzarsi in due apre il passaggio paradossale verso il basso e verso l’alto25.
Ciò che in queste immagini è soprattutto legato ai simboli terrestri della roccia, della grotta ctonia e degli ipogei iniziatici26, è ricondotto nell’iconografia del Battesimo alla simbologia dell’acqua: in molti lavacri, dipinti o scolpiti le acque del Giordano sembrano formare un monte in cui il Cristo è sepolto27. La calata dell’Dio-eroe nella tomba è d’altra parte un percorso verso l’informe, il chaos originario, in direzione delle acque primordiali e tenebrose dove aleggiava in principio lo Spirito28.
Un regressum ad uterum che rimanda alla grotta della Natività e alla mangiatoia che è culla e tomba, alla sapienza profusa nel Vangelo che invita a rientrare simbolicamente nel «ventre della propria madre», per rinascere dall’acqua e dallo Spirito, secondo il mito religioso che fonda l’alchimia correttamente intesa quale scienza sacra29.
Per lumeggiare il senso del rapporto tra l’iconografia del Battesimo, celebrato il 6 Gennaio, e quella della Discesa agli Inferi-Resurrezione, esposta dalla Chiesa Orientale nella liturgia del Sabato Santo, alla vigilia di Pasqua, mi affido alle parole di John Lindsay Opie, dedicate all’icona dell’Anasthasis: «È l’immagine visibile del Battesimo, celebrato anticamente in quel giorno, come iniziazione cristiana primaria. Il Cristo morto scende all’Inferno, applica il suo sigillo dopo aver spezzato quello infernale, e ritorna alla sua tomba i cui sigilli sono ancora intatti. Con sé riporta il vecchio Adamo che è anche il neofita del Battesimo [… ]. Il riferimento battesimale è plasticamente rafforzato […] dalla Croce che il Cristo tiene diritta in una mano: discendendo nella caverna essa imita il movimento della Croce che viene liturgicamente immersa nella fonte per benedire l’acqua del Battesimo»30.
È un antico scrittore greco-cristiano, Giovanni Crisostomo a compendiare questo movimento iniziatico: «L’immersione e la riemersione sono il simbolo della discesa agli Inferi e della risalita. Perciò Paolo definisce sepoltura il Battesimo»; e ancora: «Il Battesimo è per noi ciò che la Croce e la Sepoltura furono per Cristo; c’è però una differenza: il Salvatore morì nella sua carne, fu sepolto nella sua carne, mentre noi dobbiamo morire spiritualmente. Perciò l’Apostolo non dice che noi siamo uniti a Lui con la sua morte ma con una morte simile alla sua »31.
La liturgia battesimale antica, che ancora sopravvive in quella orientale, stabilisce le forme di questa morte-rinascita rituale, come testimoniano i Padri latini e, in particolar modo, sant’Ambrogio di Milano, che ricalca il ritmo trinitario dei Vangeli e dell’icona di Onufri32: «sei stato interrogato: Credi in Dio Padre onnipotente?. Hai risposto Credo, e ti sei immerso nell’acqua. Con ciò sei stato sepolto. Sei stato di nuovo interrogato: Credi in nostro Signore Gesù Cristo e nella sua Croce?. Hai Risposto Credo, e ti sei immerso nell’acqua. Con ciò sei stato sepolto con Cristo. Ma chi è stato sepolto con Cristo, con Cristo risorge. Sei stato interrogato una terza volta: Credi anche nello Spirito Santo?. Hai Risposto Credo, ti sei immerso per la terza volta, affinché questa triplice professione di fede cancellasse le numerose cadute del tuo passato»33.
L’antica iconografia bizantina34 è stata accolta con elegante fedeltà dalla finezza compositiva di Onufri, pur dimostrando un aristocratico equilibrio tra il rigore classico ellenico e la sofisticata sensibilità allegorica della pittura veneziana gotica e rinascimentale. Ne è un esempio la figura argentea del Vegliardo che, domina l’immagine da una finestra aperta e raggiante come il Sole, i cui battenti spalancati e intessuti di porpora e oro, restituiscono l’apertura celeste di cui parlano i Vangeli (fig. 2). Ma l’immagine dell’Anziano divino dalla cui bocca promana la luminosa colomba dello Spirito non è esattamente l’icona del Padre: come insegna l’evangelista Giovanni solo in Cristo noi ne abbiamo la visione35. Si tratta, piuttosto, dell’epifania dell’Eterno a cui assiste Ezechiele: «Sopra il firmamento […] apparve come una pietra di zaffiro in forma di trono e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane»36. E ugualmente Daniele rimanda a una consimile visione onirica: «un vegliardo si assise; la sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano candidi come la lana»37. Nella figura dell’Anziano di Giorni, Onufri racchiude i precorrimenti profetici del Cristo eterno ed escatologico di Apocalisse, in cui si affaccia il mistero invisibile della Paternità38: «Come mi fui voltato, vidi […] uno simile a un figlio d’uomo […]. Il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come lana candida, come neve; i suoi occhi erano come fiamma di fuoco […] dalla sua bocca usciva una spada a due tagli, affilata, e il suo volto era come il sole quando risplende in tutta la sua forza»39.
Giovanni il Precursore, ossia il “Battista”, il “Battezzatore” è qui un ascetico mistagogo, «vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi»40; figlio delle icone bizantino-balcaniche di età paleologa e dei polittici di Paolo Veneziano e della sua scuola, respira in una dimensione integralmente adriatica e riflette i grandi temi dell’iniziazione monastica41. Ai suoi piedi si nota il dettaglio di un arbusto intaccato da un’accetta che riprende il severo monito evangelico: «Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco»42. Giovanni pone la propria mano sul capo di un Redentore nudo, formato e consunto da una geometria anacoretica che, nelle sporgenti ossa del busto, ripete all’inverso le onde del Giordano: nell’arte romanica le linee dell’acqua e quelle dell’aria, dell’abisso e del cielo sono assimilate43. Ad attenderlo non solo i tre Angeli – che ne reggono le vesti e al contempo si coprono le mani perché indegni di toccarlo – come nelle tipologie più note delle icone ortodosse o delle ancone medioevali latine, ma un intero esercito di messaggeri celesti; allo stesso modo si affacciano le personificazioni antropomorfe del fiume e del mare, entrambe benedette dal Salvatore, mentre in alto individuiamo le due foci naturali del Giordano scaturenti dalle rocce. Tale fiabesca ricchezza sembra fare eco alla cosmologia immaginifica dei testi liturgici: «Il mare vide e fuggì, il Giordano si volse indietro»; e ancora: «O fiume Giordano, che vedi per essere così colmo di stupore? Ho visto nudo l’invisibile e un fremito mi ha preso, egli dice. Come potevo non fremere di fronte a lui e non inabissarmi? Fremono gli Angeli al vederlo, il cielo è sbigottito, e la terra ha tremato, si sono ritratti il mare e tutte le cose visibili e invisibili. Cristo si è manifestato nel Giordano per santificare le acque»44.
In Onufri, come nei suoi maestri bizantini la doppia e rocciosa riva del Giordano rammenta i monti gemelli delle iconografie della passione e della Pasqua, mentre il fiume che la liturgia orientale della Benedizione delle Acque definisce un «sepolcro liquido», è rappresentato come la cavità tenebrosa della Discesa45. Anche in questo caso, secondo il rito bizantino della Benedizione, siamo di fronte alla vittoria di Cristo: «Oggi le onde del Giordano sono cambiate in rimedio e tutta la creatura è irrorata da onde mistiche»46. Il Battesimo è propriamente il momento dell’illuminazione, del passaggio dai misteri minori a quelli maggiori della Chiesa47: «Il Signore che lava la sozzura degli uomini, purificandosi nel Giordano per loro, a cui si è volontariamente assimilato pur restando ciò che era, illumina quanti sono nella tenebra»48. O ancora Giovanni Monaco: «Disceso nei flutti, hai illuminato l’universo affinché esso ti glorifichi, o Salvatore, illuminatore delle nostre anime»49.
Di più, qui si saldano e si sovrappongono senza confusione ma anche senza soluzione di continuità il mistero minore della purificazione battesimale – amministrato nelle Chiese antiche sia nel giorno dell’Epifania, sia durante il Sabato Santo di Pasqua – e quello maggiore della divinizzazione eucaristica: «il neofita imita Cristo (che è, ad un tempo, Mistero, Mistagogo e modello del Miste) e muore al mondo pentendosi, discende con lui nell’Inferno, nelle acque del Battesimo – dove è purificato della sua vecchia persona – e sorge almeno potenzialmente restituito alla condizione primordiale, per ricevere il sigillo di creatura nuova coi doni dello Spirito Santo negletti e perduti dal primo Adamo; il ciclo è subito chiaro, è precisamente quello dei misteri minori, della rinascita dolorosa o indolore: il Battesimo come rito isolato, indica in primo luogo la restituzione della natura umana allo stato primigenio. Questo comunque non è tutto, perché, il giorno seguente, il candidato viene iniziato al mistero eucaristico, grazie a cui il corpo risorto del Cristo viene unito al suo ed egli diviene partecipe della sostanza della vita divina stessa. L’Eucarestia e la vita di Cristo dopo la Resurrezione si devono considerare i misteri maggiori: in virtù di esse il candidato varca i limiti della natura umana e diviene, nell’insuperabilmente audace termine dei Padri greci, un dio»50. Il battezzato, scrive Ambrogio, «avendo smesso le spoglie dell’antico errore, rinnovato la sua giovinezza come quella dell’aquila, si affretta al banchetto celeste»51.
È la liturgia che sintetizza l’azione non solo salvifica ma restauratrice e trasformante del Redentore, la cui figura veterotestamentaria è il Mosè dell’Esodo: «Il Signore forte nelle guerre ha scoperto le profondità dell’abisso e ha tratto i suoi attraverso l’asciutto sommergendo invece gli avversari: poiché egli si è glorificato. Nei flutti del Giordano ha riplasmato Adamo che si era corrotto e ha spezzato le teste dei draghi ivi annidati»52. In Onufri, e nei suoi epigoni, i piedi del Salvatore poggiano su uno scoglio assediato da cinque serpi, o da un drago a cinque teste; come scrive Giovanni Monaco: «Chinando il capo davanti al Precursore, hai schiacciato signore le teste dei mostri»53. Il riferimento è alla liturgia: «Ha bruciato nei flutti le teste dei draghi»54; e al Salterio: «Camminerai sopra l’aspide, e sopra il basilisco: e calpesterai il leone e il dragone»55. Naturalmente si tratta delle forze diaboliche avverse su cui Cristo ha trionfato e con lui chi gli è assimilato nei sacramenti (fig. 3). Il Cristo, in quanto uomo mortale, è simile al giusto israelita Giobbe, annichilito all’apparizione acquatica di Behemot e Leviathan56, figure allegoriche del chaos e del nulla, degli Inferi e della morte; ma, in quanto Dio immortale, è colui che ha confidenza con «le fondamenta della terra», che «ha passeggiato nei fondali dell’abisso», che conosce «le porte della morte» e ha potere sulle «soglie dell’ombra funerea»57.
Secondo le catechesi battesimali di Cirillo di Gerusalemme il Behemot di Giobbe accoglie nelle sue fauci il Giordano, come un drago a cui il Cristo disceso nelle acque ha mozzato il capo: «Gesù disceso nelle acque, affrontò quel violento affinché noi acquistassimo il potere di camminare sugli scorpioni e sui serpenti»58. E Onufri in effetti, fa pullulare le acque di serpi, granchi e scorpioni su cui il Redentore domina incontrastato.
L’immagine pittorica del Battesimo è un testo la cui ispirazione cosmica non mancherà di manifestarsi fino a Piero della Francesca o a Giovanni Bellini, capace di coniugare nel suo paesaggio la nuda dimensione ascetica all’esuberante freschezza della creazione59, ma Onufri, nella sua icona, ambisce a una dimensione universale che, nel suo stringere insieme sfera celeste e sfera terrena, richiama misteriosamente il capolavoro scultoreo della Discesa del fiume Gange (o Penitenza di Arjuna), la scultura monumentale del VII-VIII secolo di Mahabalipuram, nello stato del Tamil Nadu, in India, dove l’ascesi dell’eroe-anacoreta (fisicamente così vicino alla tipologia bizantina e adriatica del Battista e di Cristo) merita la grazia divina dell’’irrorazione fluviale di un mondo abbandonato alla siccità, generando una partecipazione stupita di tutto il creato minerale, vegetale e animale60.
Torniamo però all’immagine dello pietra su cui Gesù poggia i piedi, con l’eleganza di un danzatore: un elemento che sembra ispirato alle più naturalistiche pitture del Rinascimento italiano, ma che in realtà riprende gli affreschi balcanici Tre-Quattrocenteschi di Gračanica61: lo scabro sasso che emerge dalle acque del Giordano per accogliere il lavacro iniziatico di Cristo simboleggia «la pietra scartata divenuta testata d’angolo»62. Al paragone tra Cristo e il lapis, essenza di trasformazione di una natura decaduta, sono dedicate splendide pagine della traditio alchemica63. In questo caso lo scoglio sottolinea l’isolamento sacrale del Verbo incarnato e il suo riemergere vittorioso sulle forze avverse. L’elevazione a pietra angolare significa la glorificazione di Cristo, sia nel senso del riconoscimento paterno ed epifanico-trinitario, sia nel senso del trionfo sugli inferi e la morte: egli è il masso dell’ara sacrificale e la prima pietra del Tempio segnata dalla croce e irrorata dalle acque, simbolo, ancora una volta dell’asse cosmico, del santo monte dell’universo che galleggia sugli abissi64.
NOTE
1 Es. 14, 9-29. Cfr. J. Danielou, Bibbia e liturgia. La teologia biblica dei sacramenti e delle feste secondo i Padri della Chiesa, tr. it. di L. Derla, Vita e Pensiero, Milano 1958, pp. 114-130.2 Antologhion di tutto l’anno, tr. it. di M. B. Artioli, presentazione di A. Silvestrini, introduzione di O. Raquez, Lipa, Roma 1999, I, p. 1277.
3 Su Onufri e le sua scuola, vd. H. Buschausen-C. Chotzacoglou, La pittura albanese nell’arte bizantina e postbizantina, in Percorsi del Sacro. Icone dai musei albanesi, a cura di C. Provano, catalogo della mostra, Milano, Electa 2002, pp. 32-34 (cfr. p. 112) e La posizione della pittura albanese nella pittura bizantina e postbizantina, in Icone di Albania. Arte sacra dal XIV al XIX secolo, catalogo della mostra, Tecnoprint, Ancona 2006, pp. 37-39. Cfr. Y. Drishti, Icone albanesi, in Le icone albanesi XIII-XIX secolo. Collezione della Galleria Nazionale delle Arti di Tirana, catalogo della mostra, Garattoni, Rimini 2000, pp. 16, 149-150.
4 Cfr. P. A. Florenskij, Le porte regali. Saggio sull’icona, ed. it. a cura di E. Zolla, Adelphi, Milano 1977, pp. 91-104, 147; J. Lindsay Opie, L’icona e l’eremita, in Id., Nel mondo delle Icone. Dall’India a Bisanzio, a cura e con saggio introduttivo di A. Giovanardi, prefazione di B. Toscano, Jaca Book, Milano 2014, pp. 145-147.
5 Vd. Percorsi del Sacro. Icone dai musei albanesi, cit., pp. 112-149; Icone di Albania. Arte sacra dal XIV al XIX secolo, pp. 54-61; Le icone albanesi XIII-XIX secolo. Collezione della Galleria Nazionale delle Arti di Tirana, cit. pp. 44-47.
6 Mt. 3, 13-17; cfr. Mc. 1, 9-11; Lc. 3, 21-22.
7 Gv. 1, 32-34; cfr. Mt. 3, 11; Mc. 1, 8; Lc. 3, 16.
8 Vd. J. Lindsay Opie, Cos’e la pittura d’icone? Tre risposte, in Id., Nel mondo delle Icone. Dall’India a Bisanzio, cit., pp. 61-62, 66-67; P. A. Florenskij, Le porte regali. Saggio sull’icona, cit., pp. 63-64. Cfr. A. K. Coomaraswamy, La natura dell’arte medioevale, in Id., Come interpretare un’opera d’arte, ed. it. a cura di G. Marchiano, Rusconi, Milano 1977, pp. 119-122.
9 Cfr. I presocratici. Testimonianze e frammenti da Talete a Empedocle, a cura di A. Lami, saggio di W. Kranz, Rizzoli-Fabbri, Milano 1996, pp. 121-124, 329-330 (note) e K. Hubner, Verità del mito, tr. it. di P. Capriolo, Feltrinelli, Milano 1990, pp. 192-194 (p. 194 su Hegel).
10 Vd. C. G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, tr. it. di E. Schanzer e A. Vitolo, Bollati Boringhieri, Torino 1977, pp. 33-35; Simboli della trasformazione, tr. it. di R. Raho, Bollati Boringhieri, Torino 2012, pp. 219, 228 (con riferimento alla simbologia evangelica e cristologica). Piu in generale cfr., G. Bachelard, Psicanalisi delle acque. Purificazione, morte e rinascita, ed. it. a cura di M. Cohen Hemsi e A. C. Pedruzzi, Red, Milano 2006.
11 Vd. L. Pareyson, Ontologia della liberta. Il male e la sofferenza, prefazione di G. Riconda e G. Vattimo, Einaudi, Torino 1995, p. 93.
12 Cfr. E. Zolla, Discesa all’Ade e resurrezione, nota al testo di G. Marchiano, Adelphi, Milano 2002, pp. 32- 53.
13 Vd. P. N. Evdokimov, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, n. ed. a cura di A. Crema, V. Gambi e G. Vendrame, tr. it. di P. G. da Vertalla, premesse di G. Vendrame e di J. Rousse, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1990, pp. 293-302; G. Garib, Le icone festive della Chiesa ortodossa, Ancora, Milano 1984, pp. 174- 179; G. Passarelli, Icone delle dodici grandi feste bizantine, premessa di M. Paparozzi, Jaca Book, Milano 2000, pp. 19-35; L. Uspenskij-V. Losskij, Il senso delle icone, tr. it. di M. G. Balzarini, Jaca Book, Milano 2007, pp. 179-181; E. Yon e P. Sers, Le Sante Icone. Una nuova interpretazione, tr. it. di A. Malaguzzi Valeri, Passigli, Firenze 1994, pp. 235-265; J. Y. Leloup, L’Icone. Une ecole du regard, Le Pommier, Tours 2000, pp. 70-87; A. Tradigo, Icone e Santi d’Oriente, Electa, Milano 2004, pp. 134-147.
14 Per la corretta interpretazione dell’esoterismo dell’iconografia e del rito in ambito ortodosso rimando ai saggi di J. Lindsay Opie, Il significato iniziatico delle icone pasquali, tr. it. di C. Giannone, ≪Conoscenza religiosa≫, La Nuova Italia, Firenze, VII, 2 (1975), pp. 164-176; I sensi esoterici delle icone pasquali, disegni di P. Grimshaw, ≪Conoscenza religiosa≫, La Nuova Italia, Firenze, VII, 4 (1975), pp. 373-394; ora riuniti in Simbologia e mistagogia delle icone pasquali, in Id., Nel mondo delle Icone. Dall’India a Bisanzio, cit., pp. 93-125.
15 Mt. 12, 40: ≪ Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, cosi il Figlio dell’uomo stara nel cuore della terra tre giorni e tre notti≫.
16 Gn. 2, 1-11. Cfr. J. F. Desclaux, L’esperance dans les chapitres 4 et 5 de l’Evangile de saint Marc, ≪Theologia Catholica≫, Cluj-Napoca, Studia Universitatis, Babes-Bolyai, LIII, 4 (2008), pp. 23-24.
17 Cfr. C. G. Jung, Psicologia e alchimia, premessa di L. Aurigemma, tr. it. di R. Bazlen e L. Baruffi, Bollati Boringhieri, Torino 1992, pp. 338-339, fig. 187.
18 C. Campo, Una rosa, in Ead., Gli imperdonabili, a cura di G. Ceronetti e M. Pieracci Harwell, Adelphi, Milano 1987, p. 11.
19 Sul simbolismo del Pinocchio cfr. E. Zolla, Carlo Collodi, in Id., Uscite dal mondo, Adelphi, Milano 1992, pp. 433-441; A. Mordini, Pinocchio, in Id., Il mito antico e la letteratura moderna, introduzione di M. Bernardi Guardi, Solfanelli, Chieti 1989, pp. 51-55.
20 Vd. M. Lurker, Dizionario delle immagini e dei simboli biblici, ed. it. a cura di G. Ravasi, tr. it. di M. L. Rimiroli, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1990, pp. 122-123
21 M. Eliade, Immagini e simboli, prefazione di G. Dumezil, tr. it. di M. Giacometti, Milano Tea, 1993, pp. 137-139.
22 Gn. 2, 7. Vd. J. Lindsay Opie, Il significato iniziatico delle icone pasquali, cit., p. 169; Id., Simbologia e mistagogia delle icone pasquali, cit., p 89; Testi sumerici e accadici, a cura di G. R. Castellino, Torino, Utet, 1977, pp. 383-391, 560-567, 630-633, 637-639, 657-664, 693-715; Dizionario delle religioni del Medio-Oriente, a cura di C. Carminati e V. Sartori, introduzione di P. Branca, Milano, Vallardi-Garzanti, 1994, pp. 338-339. Cfr. A. Giovanardi, ≪Alle radici dei monti≫: annotazioni sul simbolismo pasquale nella Scuola Riminese del Trecento, in Id. (a cura di), I Maestri e il Tempo. Scritti d’arte in memoria di Luciano Chicchi, ≪L’Arco≫, XI, (2013), Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, pp. 26-47.
23 La saga di Gilgamesh, a cura di G. Pettinato, con la collaborazione di S. M. Chiodi e G. Del Monte, Milano, Rusconi, 1992, (tav. IX) pp. 198-199.
24 Vd. Omero, Odissea, XIII, 59-141; Apollonio Rodio, Argonautiche, II, 596-645 e IV, 786-834; J. Lindsay Opie, Il significato iniziatico delle icone pasquali, cit., p. 169; Id., Simbologia e mistagogia delle icone pasquali, p. 98. Cfr. A. K. Coomaraswamy, Le Simplegadi, in Id., Il grande brivido. Saggi di simbolica e arte; a cura di R. Lipsey, ed. it. a cura di R. Donatoni, Milano, Adelphi, 1987, pp. 417-441.
25 Vd. J. Lindsay Opie, Il significato iniziatico delle icone pasquali, cit., pp. 169, 175 (note); Id., Simbologia e mistagogia delle icone pasquali, cit., pp. 98-99. Cfr. G. de Champeaux e S. Sterckx, I simboli del Medio Evo, tr. it. di M. Girardi, Milano, Jaca Book, 1981, pp. 188-198; M. Eliade, Immagini e simboli, cit., pp. 38-54; S. Seminara, Immortalita dei simboli da Babilonia ad oggi, prefazione di G. Pettinato, Bompiani, Milano 2006, pp. 105-118.
26 Vd. R. Guenon, Simboli della Scienza sacra, tr. it. di F. Zambon, Adelphi, Milano 1997, pp. 196-202.
27 G. de Champeaux e S. Sterckx, I simboli del Medio Evo, cit., tavv. 67-68.
28 Gen. 1, 2. Cfr. J. Lindsay Opie, I sensi esoterici delle icone pasquali, cit., p. 390; Id., Simbologia e mistagogia delle icone pasquali, cit., pp. 124-125.
29 Gv. 3, 1-7. Cfr. M. Eliade, Il mito dell’alchimia seguito da L’alchimia asiatica, ed. a cura e postfazione di G. Brivio, Bollati Boringhieri, Torino 2001, pp. 18-20; J. Lindsay Opie, Il significato iniziatico delle icone pasquali, cit., pp. 168-169; Id., Simbologia e mistagogia delle icone pasquali, cit., pp. 94, 98-99.
30 J. Lindsay Opie, Il significato iniziatico delle icone pasquali, cit., pp. 170-171; Id., Simbologia e mistagogia delle icone pasquali, cit., p. 100.
31 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Prima Lettera ai Corinzi, 40; Id., Omelie sulla Lettera ai Romani, 10; la citazione paolina e da Rm 6, 5. Cfr. J. Danielou, Bibbia e liturgia. La teologia biblica dei sacramenti e delle feste secondo i Padri della Chiesa, cit., pp. 101-102 (nota 1); A. Wikenhauser, La mistica di San Paolo, tr. it. di L. Previale, Morcelliana, Brescia 1958, pp. 91-110.
32 Cfr. M. Eliade, Immagini e simboli, cit., pp. 135-143; A. I. Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale romano, I, Marietti, Torino-Roma 1929, pp. 10-23; A. G. Martimort, I segni della Nuova Alleanza, tr. it. di C. T. Dragone, Paoline, Roma 1962, pp. 187-201; O. Casel, Liturgia come mistero, presentazione di L. Sartori, tr. it. e saggio di P. S. Baghini, Milano, Medusa, 2002, pp. 65-106; A. Rabassini, Alcuni aspetti dell’iniziazione battesimale nel Cristianesimo, ≪I Quaderni di Avallon≫, Rimini, Il Cerchio, n° 12, settembre.dicembre 1986, pp. 51-74.
33 Ambrogio di Milano, I Sacramenti, II, 7.
34 Vd. P. N. Evdokimov, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, cit., pp. 269-277; G. Garib, Le icone festive della Chiesa ortodossa, cit., pp. 109-115; G. Passarelli, Icone delle dodici grandi feste bizantine, cit., pp. 125- 145; L. Uspenskij e V. Losskij, Il senso delle icone, tr. it. di M. G. Balzarini, Milano, Jaca Book, pp. 156-157; J. Y. Leloup, L’Icone. Une ecole du regard, cit., pp. 52-55; A. Tradigo, Icone e Santi d’Oriente, Milano, Electa, 2004, pp. 122-123.
35 Cfr. Gv. 1, 18; 14, 8-9.
36 Ez. 1, 26
37 Dn. 7, 9.
38 Cfr. A. Tradigo, Icone e Santi d’Oriente, cit., pp. 65-67.
39 Ap. 1, 13-16.
40 Mc. 1, 6; Mt. 3, 4. Cfr. A. Giovanardi, L’Angelo decollato. Appunti sull’iconografia del Battista in Romagna tra il bizantino e il gotico, in La Croce, la testa e il piatto. Storie di san Giovanni Battista, a cura di M. Pulini, catalogo della mostra, Artexplora, Cesena 2010, pp. 38-51.
41 Vd. J. Lindsay Opie, L’immagine sacra e l’esoterismo monastico, in Id., Nel mondo delle icone. Dall’India a Bisanzio, cit., pp. 161-163.
42 Mt. 3, 10; Lc. 3, 9.
43 Cfr. J. Lindsay Opie, I sensi esoterici delle icone pasquali, cit., p. 374; Id., Simbologia e mistagogia delle icone pasquali, cit., p. 105; G. de Champeaux e S. Sterckx, I simboli del Medio Evo, cit., pp. 235-238.
44 Antologhion, cit., I, p. 1272.
45 Vd. P. N. Evdokimov, Teologia della bellezza, cit., p. 296.
46 Preghiera di san Sofronio, riportata in P. N. Evdokimov, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, cit., p. 275.
47 Cfr. A. G. Martimort, I segni della Nuova Alleanza, cit., pp. 215-216; J. Lindsay Opie, Il significato iniziatico delle icone pasquali, cit., pp. 172-173; Id., Simbologia e mistagogia delle icone pasquali, cit., pp. 100-101.
48 Antologhion, cit., I, p. 1274.
49 Giovanni Monaco, Stichira dei Vespri, in G. Garib, cit., p. 110.
50 J. Lindsay Opie, Il significato iniziatico delle icone pasquali, cit., p. 170; Id., Simbologia e mistagogia delle icone pasquali, cit., p. 100. Vd. M. Eliade, Immagini e simboli, cit., p. 139; Cirillo di Gerusalemme, Le catechesi, cit., pp. 411-413.
51 Ambrogio di Milano, I Misteri, 43.
52 Antologhion, cit., I, p. 1273.
53 Giovanni Monaco, Stichira dei Vespri, in G. Garib, Le icone festive della Chiesa ortodossa, cit., p. 110.
54 Antologhion, cit., I, p. 1278.
55 Sal. 90, 13.
56 Gb. 40, 15-32; 41, 1-26.
57 Gb. 38, 4-17.
58 Gb. 40, 23. Vd. J. Danielou, Bibbia e liturgia. La teologia biblica dei sacramenti e delle feste secondo i Padri della Chiesa, cit., pp. 54-55; Cirillo di Gerusalemme, Le catechesi, ed. it. a cura di E. Barbisan, Alba (Cuneo), Paoline, 1966, pp. 72-73; M. Eliade, Immagini e simboli, cit., p. 138. 59 Vd. per esempio T. Verdon, Attraverso il velo. Come leggere un’immagine sacra, Ancora, Milano 2007, pp. 103-112 (sul Battesimo di Piero della Francesca) e R. Goffen, Giovanni Bellini, tr. it. A. De Lorenzi, Motta, Milano 1990, pp. 162-166.
60 Vd. J. Lindsay Opie, Śiva nell’arte dell’India del Sud, in Id., Nel mondo delle icone. Dall’India a Bisanzio, cit., pp. 40-44.
61 Vd. G. Passarelli, Icone delle dodici grandi feste bizantine, cit., p. 135.
62 Sal. 118, 22; Mc. 12, 10; At. 4, 11.
63 Vd. C. G. Jung, Psicologia e alchimia, cit., pp. 333-411.
64 Vd. M. Lurker, Dizionario delle immagini e dei simboli biblici, cit., p. 158. Cfr. R. Guenon, La ≪pietra angolare≫, in Id., Simboli della Scienza sacra, cit., pp. 238-250.
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A destra:
Fig. 1 Onufri (metà XVI sec.), Battesimo di Cristo, tempera e oro su tavola, Korça, Museo Nazionale d’Arte Medioevale
Fig. 2 Onufri, Battesimo di Cristo, dettaglio con le teste di drago o serpente.
Fig. 3 Onufri, Battesimo di Cristo, dettaglio con il Vegliardo.