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Demetrio Paparoni
La difficoltà di affrontare e gestire i fenomeni migratori ha origine nella storica complessità del rapporto con l’estraneo. Il conflitto sorge nel momento in cui ravvisiamo nell’estraneo una figura che esprime valori che possono apparire incompatibili con la nostra visione del mondo. È evidente che per noi è straniero un californiano quanto un cittadino della Costa d’Avorio, ma è altrettanto evidente che incontriamo maggiori difficoltà a entrare in dialogo con chi ha abitudini culturali più distanti dalle nostre, che proprio per questo avvertiamo come una categoria umana cui non riconosciamo lo stesso status di civiltà. Questo atteggiamento ha prodotto schiavitù, segregazione razziale, ghetti, muraglie e fossati, e non può che favorire discriminazioni e ingiustizie. Di contro, accogliere il migrante significa vedere nella diversità una ricchezza piuttosto che una minaccia. Aprirsi alle differenze consente di arricchirsi delle esperienze che ciascuno porta con sé. Questo non vale solo nel rapporto con lo straniero. Il rapporto con l’Altro riguarda anche il modo in cui ci relazioniamo al mondo naturale e a quello artificiale. Sentire la natura come Altro e pensare di potersi porre al di sopra di essa e dominarla ha spesso conseguenze incontrollabili per il genere umano. La convinzione di poter disporre e piegare la natura alle nostre esigenze, se da un lato porta vantaggi a chi possiede conoscenze e mezzi tecnologici, dall’altro introduce degli elementi di squilibrio che colpiscono il mondo vegetale, quello animale e infine tutti noi. Basti pensare ai disastri derivanti dal cambiamento climatico.

Siamo tendenzialmente portati a rimuovere le situazioni dolorose che non ci toccano da vicino, questo meccanismo di autoprotezione mentale è in parte alla base dei molti problemi non risolti nel mondo, dal momento che riguardano l’Altro e non noi. Cosa può l’arte dinanzi a tutto questo? L’arte sparge sale sulle ferite perché si possa continuare ad avvertire quanto dolore c’è attorno a noi. È in tal senso che una riflessione poetica su un tema esistenziale o drammatico diviene un tentativo di superare una situazione ritenuta inaccettabile. L’arte ha cioè il compito di lasciare la ferita aperta, non ha un intento consolatorio, può esibire lo spaccato drammatico della vita con una intensità che non ha pari nell’esperienza umana. Ma proprio per questo, per questa sua capacità, può aprire la strada alla consapevolezza e alla cura. In quest’ottica l’altro- lo straniero come il prossimo- è il punto di vista privilegiato, il vero nodo da sciogliere, la storia da recuperare e da raccontare.