In lotta con la luce e con il buio

A proposito di Curzia Ferrari nella circostanza dell’uscita, presso nino aragno editore, dell’antologia “Le stagioni della lucertola”


lucertolaAppartata, difficile alle amicizie, una stakanovista nel lavoro, Curzia Ferrari, una protagonista della vita culturale italiana, almeno fin dagli inizi degli Anni ’60 (da quando nel ’63 la sua prima raccolta poetica, La giornata provvisoria, era stata notata e premiata al Premio Cervia nientemeno che da Salvatore Quasimodo).
“Milanese doc, nata a Porta Magenta”, ha puntualizzato con orgoglio in molte interviste, e orgogliosa di essere stata cresimata in una parrocchia del suo rione dal beato Ildefonso Schuster, il cardinale che tentò di mediare la resa di Mussolini agli alleati. Porta Magenta è presente in almeno cinque poesie, nella Corrispondenza con me stessa, e nel romanzo A fuochi spenti nel buio, insieme alla madre e a note figure della Resistenza.
Incontentabile della parola scritta, pronunciata, usata, come si definisce in una confidenza epistolare, rivendica senza imbarazzo, anzi con una punta di fierezza, la qualità della sua fede, “religiosa senza accademismo”, il suo modo peculiare di essere credente che è quello di voler trovare giustificazione nel paradosso di un’accettazione solo apparentemente incondizionata, alla maniera per intenderci del “credo quia absurdum” di Tertulliano, l’apologeta e scrittore cristiano del II-III secolo, padre di una fede tutta interiore, carica anche di contraddizioni.

“La mia fede è la sfida di Dostoevskij che vuole credere a tutti i costi, vuole vedere Dio in tutte le cose, lo vuole cercare nella giustizia che persegue continuamente nel groviglio di drammi dei suoi personaggi”,

dice infatti e aggiunge che nonostante questo, pur con tutte le sue “contraddizioni”, rimane ancorata a una concezione cristiana della vita (“sono anche praticante”), a un modo di sentire il divino presente nella sua inquieta quotidianità, conquistato faticosamente negli anni.
Non lo chiama nella sua poesia, se non raramente, Signore, Dio, Cristo. Piuttosto, a secondo di specifici stati d’animo, Lui, l’Innominabile, il Beniamino, il Creditore, il Perfetto, o con forti, suggestive perifrasi “Medicina segreta, mio Uomo / Castagno fiorente” e Divina Altezza, ma anche il Nullificante.
Altre volte, la sua presenza è allusa soltanto da pronomi o aggettivi personali e possessivi (un Tu, un Tuo).
Sempre, comunque, tra poesie e racconti, filtra la qualità e intensità del suo credo, la maniera in cui vi si investe tra emozione e ragione, fissando il centro dei suoi interessi di credente e di scrittrice tra il “Signore della Metratura” e l’”Uomo del Sacrificio”.
Due minimi prelievi, a mo’ di esempio, per quest’ultimo, l’Uomo del Sacrificio. Leggiamo in un testo della raccolta Pietra, dal titolo molto esplicito Venerdì Santo, che “tutto si spacca / nel disagio – senza Lui – di essere nessuno”, e poco appresso in Ancora Pasqua si attende e saluta l’arrivo del Signore:

“E Ti apro la porta.
Tu da me?! Divina altezza!
Benvenuto, Signore –
mortale potenza della mia vita deformata”.

Significativo, il modo in cui si rivolge a quest’Uomo del Sacrificio, all’Uomo della Croce, chiamandolo “Signore di legno nero”, a testimonianza di un’adesione profonda e vera, emozionale e razionale al tempo stesso, al di là del modo in cui è percepito dalla folkloristica devozionalità popolare dei più (“i piedi / sfiorati da centinaia di mani devote”), e che altrove nella “Lettera al suo parroco” già prima citata ha definito il suo essere “religiosa senza accademismo”, insomma. Una “religiosità” sempre conclamata che passa anche attraverso i simboli, attraverso il ripristino del Crocifisso da non togliere dalle scuole, ma non si ferma ad essi, anzi li supera e perfino li contesta, come si legge in una intensa “Lettera al suo parroco”.
L’Uomo della Croce campeggia anche nel testo conclusivo della raccolta di racconti Incidente di nudità:

“Il meglio era la Croce, e a quella figura d’Uomo sporca di sangue e inchiodata a un rozzo legno si sentiva legata da un sentimento molto forte. Gli cicalava implorazioni, ma talora faceva uso di un ferreo linguaggio che ricordava gli implacabili ‘io voglio’ di Caterina da Siena”.

Per quanto riguarda l’altro, il “Signore della Metratura”, poi, conviene leggere un testo giustappunto intitolato Metratura, in conclusione di Pietra, una delle sue raccolte più recenti, prima del conclusivo, teso e drammatico, Semaforo rosso (2016), e per questo paradigmaticamente ancor più significativo:

“Una luce di ferro ti avvolge e l’aria è piena
di spine. Col dizionario sei sempre in conclave.
Soppesi il rigo, la sillaba, la punteggiatura.
Squadrare e riquadrare il lineare, la calibratura
le mistioni dei verbi, il difettare delle desinenze…

Alle spalle un angelo divino torce la bocca,
e per l’Eccelso Signore / della Metratura
spezza con un ghigno la tua biro di plastica”.

Significativo, perché sembra mettere in scena un’insofferenza e quasi un rifiuto nei confronti della poesia intesa come arte di una dolorosa, strenua misura, quasi una greca Metriotes, che deve comunque trovare una sua risoluzione e conciliazione, elaborando le ustioni e le braci dell’esistenza “scrivendosi”, traducendosi, l’autrice non meno della vita, “nelle pagine di un libro” – un libro che “chiunque la può sfogliare” – come esplicitamente si dice in conclusione di A fuochi spenti nel buio.
Come dire che dall’esigenza di commisurare il proprio con “l’infinito dolore che Cristo non smette di patire” nasce il bisogno di “pacificarsi in Dio”, nella sua essenza di Ordine e Rigore, di Misura, anche attraverso la scrittura, poetica o narrativa che sia, confidando che possa essere utile a qualcuno la sua esperienza.

L’evocazione della forza di Caterina da Siena, citata nel racconto di Incidente di nudità, ci induce ad aprire qui una parentesi, chiamando in causa le tante altre presenze femminili, disseminate nella ricerca intellettuale e spirituale di Curzia.
Nella sua parabola intellettuale e spirituale si affacciano sia pure di straforo le “contemplative” Angela da Foligno e Giuliana di Norwich (perché “il contemplativo non ha bisogno di nulla”), ma anche la filosofa ebrea Edith Stein, “che ha cercato riparazione / nel silenzio di un Carmelo”, e la mistica-laica-sindacalista Madeleine Delbrel.
E tra le figure di fattiva e problematica spiritualità, emblemi di un universo necessario di intelligenza e forza, cui la scrittura conferisce un volto autenticamente umano e vero, al di là del falso dovuto alle manipolazioni e a certa devozionalità popolare, troviamo su tutte Angela Merici, la prima femminista nell’epoca delle Compagnie, una donna nel mondo strumentalizzata dalle gerarchie ecclesiali, che l’hanno impropriamente stravolta, da laica quale era, a fondatrice delle Orsoline con cuffia e velo.

Vincenzo Guarracino


Andrea Dall’Asta. Il Viaggio della Vita.

La Chiesa di San Fedele in Milano tra arte, architettura e teologia: paradigma di un percorso simbolico.
Ancora, Milano, 2019, euro 29,00.


Dall'Asta
Il tema del viaggio dà adito a mille interpretazioni; appena superato il periodo vacanziero proporre questo testo di Padre Andrea Dall’Asta SJ, architetto, e direttore della galleria San Fedele di Milano, può apparire anacronistico se lo si intende come guida storico-artistica della chiesa milanese di San Fedele. Tuttavia il volume propone ben altro, come in effetti il titolo stesso preannuncia: Il Viaggio della Vita, che Padre Dall’Asta propone, è il viaggio interiore, cioè quello suscitato da una esperienza provocata dal percorso che ciascuno di noi può compiere muovendosi all’interno di una chiesa. Il nostro territorio è disseminato di edifici religiosi ma chiediamoci se visitandone uno, abbiamo sempre tenuto presente che attraversando i suoi volumi interni compivamo un vero e proprio viaggio con un itinerario stabilito e ben preciso; cioè a dire dalla nostra complessa vita interiore alla Gerusalemme Celeste, la splendida città descritta nel Libro dell’Apocalisse.

Quindi visitare un edificio sacro, in generale, può rappresentare, con il dovuto impegno dell’uomo credente, l’analisi del percorso di fede di ciascuno, inteso come un viaggio alla ricerca del senso più profondo della propria vita. Immemore è il concetto del viaggio nelle culture occidentali, esso non rappresenta esclusivamente un simbolo cristiano ma tale concetto travalica, approdando in una delle metafore più presenti nelle civiltà avvicendatesi nelle varie epoche storiche. Nell’uomo appare naturale sentirsi viator; il viaggiatore si incammina, si orienta verso una direzione che non sempre gli appare chiara. Si compie un viaggio per curiosità, per necessità, ma anche per raggiungere la pienezza della vita, con i rischi che comportano attraversare spazi inesplorati o sconosciuti come quelli che possono presentarsi incontrando o scontrandosi con il proprio mondo interiore, il quale può restare celato, a volte, per tutta la vita. Tuttavia l’uomo è nomade per natura, come del resto il nostro Patriarca Abramo ci insegna continuamente.

Dalla prefazione del testo: attraverso la materialità di un edificio, questo libro invita ogni lettore ad avere fiducia e ad avanzare nel proprio viaggio dell’esistenza a partire dal punto in cui si trova: un viaggio dalla morte del peccato alla vita, verso il destino dell’uomo. Oltre a ciò il libro fornisce un supporto per poter intraprendere una lettura teologica delle chiese, le cui strutture generali sono rimaste immutate dalla Controriforma in poi, sino alle trasformazioni liturgiche del Concilio Vaticano II. Inoltre in esso si illustra l’originale dialogo tra arte antica e arte contemporanea che insiste nella chiesa di San Fedele, permettendo al visitatore che compie tale viaggio di assistere al confronto tra gli artisti di ieri con autori contemporanei come Jannis Kounnellis, Mimmo Palladino, Nicola De Maria, David Simpson, Claudio Parmiggiani. Ancora il viaggio prorompe in questa esperienza; non si può restare ancorati al passato, ma abbiamo il dovere di intraprendere con fiducia un viaggio verso il futuro che ci appartiene.

Giovanni Porta


Alberto Rizzuti. Ascoltar leggendo

Carocci 2022


imagineAscoltar leggendo è un saggio di Alberto Rizzuti, professore ordinario di musicologia e storia della musica all’Università degli studi di Torino, pubblicato per la serie Biblioteca di testi e studi della casa editrice Carocci, con il contributo dell’Università degli studi di Torino, Dipartimento di Studi Umanistici, nel mese di marzo del 2022.

Il sottotitolo, Un viaggio d’istruzione musicale sulle note di Imagine, esplicita, insieme al titolo, lo scopo del libro: avvicinarsi a un capolavoro dell’arte musicale, quale è Imagine, non solo con le orecchie, ma anche con gli occhi, vale a dire affrontando un testo in musica. Orecchie e occhi: ascoltare leggendo, non limitandosi quindi solo ad un sentire la musica. Pur non volendo presentarsi nella veste di un manuale di teoria, né di storia della musica, il testo richiede un certo impegno per essere letto, non solo per comprendere la musica, anche per la sua interdisciplinarità: scienza, arte, storia, filosofia, religione, analisi linguistica sono presenti in modo trasversale in tutta l’opera. I dodici capitoli di cui si compone il testo, attraverso l’intersecarsi di metodo espositivo e narrativo, giocano sul nesso tra numeri, corpo umano e diversi aspetti della conoscenza.

Un testo complesso, dunque, ma originale nella sua completezza. Un viaggio dentro al viaggio di istruzione sulle note di Imagine, che intende rivolgersi ad un pubblico non necessariamente competente per istruirlo nella comprensione e nell’ascolto della musica. Riuscire ad imparare tutto ciò è come apprendere un’arte, ecco infatti che i dodici capitoli hanno tutti come titolo «L’arte di… »: l’arte di contare e raccontare; di riconoscere le qualità primarie del suono e le altre sue caratteristiche più importanti; di valorizzare il sentimento nell’ambito del rapporto tra toni e semitoni; di conoscere i concetti fondamentali necessari per la lettura di uno spartito; di riflettere sul valore temporale delle note; l’arte di utilizzare gli utensili indispensabili per la pratica e la lettura della notazione; di cogliere il nesso tra i moti dell’animo suscitati dall’arte dei suoni; infine, l’arte di mettere in circolazione le idee nella musica, in modo da non impedirne l’ibridazione e lo sviluppo. Orecchie sensibili, occhi curiosi e menti aperte sono ciò che serve per conoscere libri, dischi e partiture. Non resta che provare, afferma l’autore, avendo a cuore l’interesse a interrogare musicalmente il mondo, un invito, questo, rivolto ai lettori.

Roberta Foresta


Ognuno tenta una vita. Domenico Ciardi

Edizioni Qiqajon


ciardiOgnuno tenta una vita è una raccolta di poesie scritte dal 1997 al 2022 da Domenico Ciardi, monaco di Bose, per le edizioni Qiqajon. Nate nella fraternità di Ostuni, di San Gimignano e di Assisi le poesie di Domenico Ciardi, composte di quattro versi, sono piccole finestre che si affacciano sulla vita quotidiana, fatta di piccole cose, di incontri, di volti, della bellezza della natura, dell’arte, nelle quali si rivela l’essenza del vivere, come di un susseguirsi di luce e tenebre, di gioia e dolore. Il loro alternarsi nel tempo che passa, lascia un segno dentro l’uomo, una ferita che diventa apertura verso un’ulteriorità altra. In questo sguardo profondo sulla vita, l’orizzonte si allarga, rinasce la speranza, si dilata il desiderio nel cuore dell’uomo, «l’umano s’accresce», in una ricerca senza fine. Nel pensare, soffrire, gioire, nel cercare l’amore, oltre il guscio, vi è «la perla immortale». In questo «andare provvisorio» che è la vita, la poesia è respiro, balsamo, apertura al mistero: «telaio di parole affamato di vita / ramo che butta gemme se lo scaldi / scavo d’una città sepolta dentro il cuore/ un aquilone che altre mani forse rilanciano nel vento». Di luce preziosa è intessuta la storia di ognuno, in compagnia di stelle, quando avviene l’incontro con l’altro / Altro; ma anche di fatica, incredulità, di aridità, di cuori spaesati. Allora Ognuno tenta una vita (I) «quando la strada è lunga e molto il sole / quando il corpo sudato cerca un riparo d’ombra / quando nei volti incroci un breve sguardo / va in alto una domanda bruciata dal pianto». Ognuno tenta una vita (II) «quando la pioggia consola l’estate / in ogni arido stelo impolverato / e parlano vicino volti amati / ritorna voce per un ringraziamento». E un ringraziamento va a Domenico Ciardi per «l’infinito desiderio di bellezza» che desta la lettura delle sue poesie: «parole umane» che «s’accostano alle stelle».

Roberta Foresta