Massimiliano Mirto
SULLA BELLEZZA di Vladimir Sergeevič Solov’ëv
EDILIBRI, Milano, 2013
Premessa
Più che una rilettura si tratta qui di un vero invito alla lettura di questo piccolo saggio del pensatore russo Solov’ëv; a lasciarsi condurre per mano nel mondo dell’autore. Sappiamo oramai che non esiste una lettura scevra da pregiudizi, Gadamer docet; qui si tratta, piuttosto, nell’urto col testo (Anstoß), di fare emergere ed eliminare quei cattivi pregiudizi che ci impediscono di comprendere il testo stesso e il mondo che ne è lo sfondo. Sappiamo che leggere è sempre incontrare il mondo del testo a partire dal mondo del lettore, incontro che si dà in quella dialettica di “domanda e risposta” che è vero fondamento del Verstehen.Per questo motivo il breve scritto che segue non pretende né di esaurire il senso del testo né di indicare l’unica possibile pista ermeneutica ma di dare una chiave di lettura, frutto dell’incontro tra chi scrive e il testo stesso, tra il mondo di chi scrive e il mondo di Solov’ëv, senza rinunciare alla Verità del testo, anzi ponendosi alla sua scuola; verità che non solo c’è sempre ma che non può essere piegata alla soggettività del lettore, evitando quella che Vico definiva, con dire socraticamente ironico, la “Boria dei dotti”.
Tutto ciò per attingere alla lectio del testo, lectio che possa aristotelicamente declinarsi come “moris maiorum imitatio” e, allo stesso tempo, come “ars applicandi” al nostro esistere, oggi più che mai nebuloso ed incerto.
Leggere come rileggere
Il breve scritto, intitolato La bellezza nella natura, nell’arte e nell’uomo è la traduzione italiana di una serie di articoli di Vladimir Solov’ëv, pubblicati da Edilibri, a cura e con traduzione di Adriano Dell’Asta.
Il saggio, presentato in lingua italiana con una davvero pregevole traduzione, raccoglie tre articoli di Solov’ëv apparsi rispettivamente: il primo nel 1889 sulla rivista Voprosy Filosofii i Psicologhii (Problemi di Filosofia e Psicologia) con il titolo La bellezza nella natura; il secondo, intitolato Il significato universale dell’arte comparve, sempre sulla stessa rivista, nell’anno successivo. Infine, chiude il breve saggio l’ultimo articolo, dal titolo Il primo passo verso un’estetica positiva, che fu pubblicato, nella prima parte, sulla rivista Vestnik Evropy (Il messaggero dell’Europa), mentre la seconda parte è tratta da Sobranie Sočienij (Opere complete).
Comprendere un pensatore russo del calibro di Solov’ëv significa applicare a noi stessi, ermeneuticamente parlando, una vera e propria controrivoluzione copernicana (volendo rifarsi alla famosa metafora kantiana) o, se si preferisce, una periagoghè, volendo usare il linguaggio platonico. Questo significa uscire dalla dimensione del soggettivismo moderno senza cadere nella postmodernità liquida, la quale dopo i maestri del sospetto liquida in tutti i sensi, è proprio il caso di dirlo, l’intera tradizione occidentale ma senza dare risposte e/o indicare tragitti “umanamente” percorribili, cioè che conservino ancora l’umano. Per capire il Nostro allora, e in genere la maggior parte dei pensatori russi, va abbandonata la visione soggettivistica occidentale e moderna per cui l’idea è un cogitato del cogito. Detto ciò, si capisce meglio e subito lo spessore dell’incipit del saggio, il richiamo a Dostoevskij che Solov’ëv ben conosceva e dal quale era conosciuto.
Il bello è l’idea che si fa vedere, ricordava Platone nel Simposio;1 come questo sia presente negli scritti di Solov’ëv se ne accorgerà il lettore, quando avrà letto questo lavoro, e si sarà accorto di come Solov’ëv legga questo adagio platonico alla luce – è qui proprio il caso di dirlo – della rivelazione di Cristo. La Divinoumanità, termine caro al pensatore russo, intride il lavoro e la ricerca, lo indirizza, la fa convergere nel suo “luogo naturale” il Cristo vivo, luce delle genti. «La bellezza o idea incarnata è la metà migliore del nostro mondo reale […] è la piena libertà delle parti costitutive nella perfetta unità dell’intero»2 scrive Solov’ëv nel primo articolo del saggio e questo rimando all’unità lega l’idea al Bene, alla trascendenza. Il pensatore moscovita è di una chiarezza estrema, quando ribadisce che «Considerata nella sua assolutezza interiore, come l’assolutamente desiderabile o voluto, l’idea è il bene; considerata nella pienezza delle determinazioni particolari che abbraccia, l’idea è la verità; considerata nella perfezione o completezza della sua incarnazione, come realmente percepibile nell’essere sensibile, l’idea è la bellezza»3. Questo ci sembra, il vero manifesto della poetica e del pensiero russo in generale.
Come lascia intendere Dell’Asta nella sua Introduzione, sarebbe un errore intendere la bellezza solo come dimensione estetica, significherebbe lasciarsi sfuggire la lezione e il cuore stesso della riflessione dei pensatori russi sul tema. Infatti, la bellezza non va mai separata dalla teofania del divino e dalla Cristofania pasquale. La luce è il tema centrale della teologia ortodossa e soprattutto russa. Non è un caso, dunque, che Solov’ëv inizi citando Dostoevskij e la sua frase, forse più famosa: “La bellezza salverà il mondo”, presa dall’Idiota, vera immagine del pellegrino russo, del santo folle di Dio, tipica della tradizione religiosa del popolo russo. Già ma quale bellezza? A cosa si riferiscono sia lo scrittore sia il pensatore, entrambi moscoviti? Alla bellezza di Cristo! Di questa bellezza quella naturale, quella dell’arte e quella dell’uomo sono echi, riflessi. Non a caso la festa religiosa per eccellenza, il mistero dei misteri, per gli ortodossi è la risurrezione, e dunque la festa liturgica della Pasqua riveste un ruolo centrale nella liturgia della Chiesa d’Oriente; mentre per i cattolici è l’incarnazione, ed è per questo che il Santo Natale è più sentito nella liturgia della Chiesa d’Occidente. La teofania come Cristofania è la bellezza che rifulge nel creato e successivamente nell’arte.
Il secondo scritto, ha per tema, come rivela il titolo, il significato universale dell’arte. Secondo Solov’ëv l’uomo è il risultato del processo naturale ma a lui spetta il compito di completare il bello naturale e di sublimarlo nel bello dell’arte. Perché si chiama estetico, si chiede il Nostro, questo compito che l’uomo si dà o, meglio, questa risposta vocazionale alla sua stessa natura, che spinge l’uomo a riprodurre il bello nell’arte e per mezzo dell’arte? Dopo una approfondita analisi della quaestio, la risposta ci viene data dallo stesso autore alla fine dell’articolo quando egli stesso riconosce che «nel suo compito supremo, l’arte perfetta non deve incarnare l’ideale assoluto soltanto nell’immaginazione, ma, proprio nella realtà, deve spiritualizzare e transustanziare la nostra esistenza reale»4, dunque un vero passaggio alla sfera del religioso. Lo stesso Solov’ëv anticipa le critiche del moralista o del razionalista domandandosi retoricamente e rispondendo: «Se poi ci diranno che un compito simile trascende i confini dell’arte. Noi risponderemo: e chi mai ha stabilito questi confini? Nella storia non li troviamo di certo, mentre troviamo invece un’arte che muta nel processo dell’evoluzione»5.
Chiude il libro l’ultimo articolo il cui tema è la ricerca di un’estetica positiva. Il compito che si prefigge Solov’ëv è quello di ricondurre l’arte a quel processo universale dello spirito umano che è l’umanizzazione dell’uomo, l’arte non è fine a se stessa, non vive in un mondo altro di belle apparenze ma rimanda alla vita di cui esprime, sia pure in forma diversa dalle scienze, la verità profonda dell’essere. «… l’arte non è per l’arte, ma per la realizzazione di quella pienezza di vita che include necessariamente anche l’elemento specifico dell’arte, la bellezza, ma in un nesso sostanziale e intimo con tutto il rimanente contenuto della vita»6. Il primo passo verso un’estetica positiva, ovvero così intesa, è dunque proprio questo: ricondurre l’arte al mondo che l’ha partorita, rimetterla al suo posto, onde lasciarne verni fuori il contenuto di verità. «In Russia questo passo – scriveva Solov’ëv in quegli anni di fine Ottocento – è stato compiuto circa quarant’anni oro sono»7. Ma il primo passo è solo l’inizio del cammino, ci ricorda egli stesso.
Per certi aspetti, dunque, Solov’ëv ci pare vicino a S. Bonaventura, al S. Bonaventura di Itinerarium in mentis Deum; a quei pensatori occidentali cioè, che ancora non avevano separato la grecità dal Kerigma, la ratio dal Logos. Ma gli scritti dei pensatori russi, meglio chiamarli così per evitare di cadere nel pantano in cui è caduta la filosofia in Occidente, rifulgono della lezione dei Padri della Chiesa del primo millennio; non si avverte qui quella frattura tutta occidentale, di chi ha voluto una Chiesa senza grecità e una grecità senza Chiesa.
1. Cfr. PLATONE, Simposio, 211 B.
2. SOLOV’ËV Sergeevič Vladimir, Sulla bellezza, Edilibri, 2013, 48.
3. Idem, cit. 49.
4. Idem, cit. 106. Grassetto nostro.
5. Idem, cit. 106.
6. Idem, cit. 113.
7. Idem, 113 – 114.