Un’esperienza da Loreto

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Vito Punzi

Parto da una visita al Museo Pontificio di Loreto che si ripete puntuale ogni 29 settembre, dal 2018, anno nel quale l’Arcivescovo Delegato Pontificio, Mons. Fabio Dal Cin, decise, su mia proposta, di provvedere ad un nuovo allestimento di una parte dello stesso.

Protagonista di quella visita è un brasiliano da tempo in Italia, educato nel suo Paese alla fede cattolica, ma sollecitato ad una nuova comprensione della stessa da un dipinto imprevedibilmente incrociato con lo sguardo proprio nel Museo Pontificio: “San Michele scaccia Lucifero” di Lorenzo Lotto. Queste le sue parole: «Per la festa dei Santi Arcangeli ormai non posso fare a meno di tornare a vedere questo quadro, dal vivo. A San Paolo mi aveva sconvolto la figura del San Michele tradizionalmente proposto come guerriero spietato, implacabile con la sua spada rivolta contro un Lucifero dai tratti irrimediabilmente mostruosi. Trovavo e trovo ancora che in quella raffigurazione ci sia qualcosa di perverso, qualcosa che allontana la fede dall’umano. Diversi, entrambi del tutto diversi, semplicemente umani, Michele e Lucifero dipinti da Lotto. Incontrarli così conforta, rafforza la mia fede».

Facciamo un passo indietro. Torniamo al momento in cui si presentò l’opportunità di realizzare un nuovo allestimento del Museo Pontificio. L’indirizzo era chiaro: al di là della definizione in parte sviante di “museo” e del valore artistico delle tante e preziose collezioni, andava creato un contesto con relativo percorso di visita che fosse un continuo rimando all’imprescindibile relazione tra ogni singolo pezzo e il Santuario di Loreto. Un Santuario che, è utile ricordarlo, è definito nella sua specificità dalla presenza plurisecolare della reliquia della Santa Casa, cioè delle pietre che la tradizione vuole siano state parte della casa nazaretana di Maria, la madre di Cristo.

Tenendo conto di quell’indirizzo, quale sarebbe stato il modo migliore per presentare gli otto dipinti lasciati dal veneziano Lorenzo Lotto (1480-1556 ca.) al Santuario lauretano? Per definire l’allestimento di quelle tele non si poteva prescindere dalla vicenda umana del pittore, decisosi, dopo un lungo peregrinare fisico e spirituale, di fissare finalmente dimora a Loreto, facendosi oblato nel 1554, dunque donando alla Santa Casa se stesso e tutte le sue “robe”, dipinti compresi.

Fatta la scelta, anche a motivo delle sue dimensioni, di riportare la grande pala raffigurante “San Cristoforo con Bambino, Rocco e Sebastiano” in Basilica, cioè lì dove originariamente si trovava, la mia proposta per le altre sette opere lottesche è stata quella di collocarle in un’unica sala museale secondo la loro disposizione originaria, nella Cappella del Coro della Basilica lauretana, così com’essa venne descritta da Giorgio Vasari a metà Cinquecento nel suo Le Vite. L’unica sala disponibile era di dimensioni relativamente contenute e questo ha fatto sì che vi fossero dubbi sulla bontà della proposta. Personalmente ero convinto che, unitamente alla scelta di un adeguato colore per i pannelli di supporto ai quadri e di un’efficace illuminazione per i dipinti, la “ristrettezza” dello spazio sarebbe stato d’aiuto al futuro visitatore per partecipare, attraverso le forme e i colori dei dipinti, dell’intimità di Lorenzo, artista dall’inquieta eppur solida fede cristiana.

Lotto 1
Altro elemento d’aiuto alla valorizzazione delle opere lottesche sarebbe stato l’apparato didascalico. Ogni dipinto lottesco meritava supporto testuale sintetico, qualcosa che non poteva essere l’insieme dei nudi dati storico-tecnici, ma neppure una scheda in stile catalogo d’arte.

Tornando al “San Michele scaccia Lucifero” con cui abbiamo aperto, ne propongo di seguito, a mo’ d’esempio, la didascalia presente nel Museo:

SAN MICHELE SCACCIA LUCIFERO (Circa 1545, olio su tela, cm 176 x 135)
Definito dallo stesso Lotto come “pala de un San Michele con batere e ca ciare Lucifero” (nel “Libro di spese diverse”) il dipinto raffigura San Michele Arcangelo avvolto dal chiarore di una nube illuminata dalla luce divina e nell’atto, apparente, di “caciare” Lucifero in un abisso di tenebra (la lotta tra i due viene ricordata in Apocalisse 12.7, così come in Isaia 14, 12.15. in Giuda 6 e in Corinti II 11.14). Dalle forme efebiche, il decaduto, o meglio, il “decadente”, nulla possiede dei tratti mostruosi con cui era stato raffigurato in precedenza e che lo caratterizzeranno in seguito. Un vero unicum, il Lucifero lottesco. Di Michele condivide tratti, lineamenti. E la pelle, così chiara, angelica, perché raggiunta, ancora, dalla luce.
Pur con la spada sollevata e intento a spezzare il bastone del nudo decadente, Michele sembra compiere piuttosto un gesto estremo di carità: l’offerta della sua mano sinistra, come a voler trarre Lucifero a sé. Come a farsi strumento di salvezza. Anche se nudità, coda ritorta e mani aperte in un gesto di estrema difesa sembrano indicare un destino ormai segnato, scelto. Nuvole, fronde, cespugli, dirupo. Un contesto di natura, un paesaggio esteriore, all’apparenza. Tuttavia, perfetta rassomiglianza tra le due figure e gestualità simmetricamente disegnata suggeriscono lo svolgersi di lotta e gesto caritatevole in un luogo interiore. Un cielo interiore. In quella nuvola, che tanto somiglia a un cuore, l’istante della scelta, della libertà. Luce o tenebra. Bene o male. Nell’istante fissato da Lotto su questa tela il coesistere dentro la nuvola-cuore di bene e male. Indissolubilmente.

Lotto 2Redatte le didascalie delle altre sei opere lottesche presenti in sala secondo lo stesso criterio, il risultato che con frequenza si è manifestato dal 2018 ad oggi tra i visitatori è stato sorprendente, perché al di là di qualsiasi aspettativa. Oltre ai tanti apprezzamenti verbali espressi al termine della visita (me ne sia permesso uno, veniale se si vuole, ma a suo modo indicativo: “la sola Sala Lotto merita il biglietto”), ne sono testimonianza i commenti scritti da molti nel “libro degli ospiti”. Tra questi ne ho scelto uno tra i più recenti: “Superlativa la sala dei dipinti di Lotto. Un’oasi di silenzio e meditazione, anche grazie ai bellissimi commenti contenuti nelle schede”.

Un commento scelto non per autocelebrazione, ma perché utile, con quella sua sottolineatura su di una sala museale trasformata in oasi di silenzio e meditazione che a mio parere rappresenta un invito destinato a noi tutti: fare della bellezza strumento e via di pellegrinaggio per incontrare la Verità rivelata.